Desaparecidos: l’ambasciatore argentino, 350 ancora senza nome
Il 25 maggio in Argentina è festa nazionale. Il riferimento è ai fatti storici della Revolutión de Mayo di 200 anni fa, quando il vicerè spagnolo venne deposto e fu istituita la Prima Giunta Rivoluzionaria. È anche la giornata mondiale dedicata ai bambini scomparsi, anche loro desaparecidos, la cui ricerca – grazie all’Associazione 24 marzo e alle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo – non è mai stata interrotta.
Voci Globali ha intervistato Roberto Manuel Carlés, ambasciatore della Repubblica d’Argentina presso la Repubblica Italiana, d’Albania, di Malta e della Serenissima Repubblica di San Marino.
Come spesso avviene per i Paesi dell’America Latina, anche l’Argentina è un laboratorio permanente di rapidi mutamenti e rivoluzioni. Con la sconfitta di Mauricio Macri e il ritorno al governo delle formazioni peroniste e di sinistra, l’Argentina è entrata in una nuova e inedita fase di sviluppo e cambiamento.
Gli storici e profondi rapporti con l’Italia – che vanno ben oltre la nota vicenda Maradona – hanno raggiunto il loro apice per l’influente figura del Papa gesuita Jorge Mario Bergoglio. In Plaza de Mayo, a Buenos Aires, le “Madri” e le “Nonne” alla ricerca dei propri figli e nipoti rapiti hanno lanciato nel 2015 la scintilla del movimento femminista “Non una di meno“ che sta ispirando le diverse e storiche correnti del femminismo nel vecchio continente e non solo.
I diritti civili fanno passi da gigante, basti pensare che di recente la nota e popolare ex presidente della Repubblica Argentina, l’attuale vice-presidente, Cristina Fernández De Kirchner, ha fatto approvare in Parlamento “El Cupo laboral trans” [quota lavorativa trans] un provvedimento che prevede l’impiego di almeno l’1% di persone transgender nel settore pubblico. Più nota, invece, l’approvazione del diritto all’interruzione di gravidanza da parte della Camera e del Senato lo scorso dicembre 2020.
Sembra cambiato il mondo dagli anni spietati della dittatura del generale Jorge Rafael Videla. Quelli furono gli anni delle “sparizioni”, un fenomeno così atroce che ha dato origine alla parola-etichetta desaparecidos, un’espressione tristemente nota ed entrata, a volte impropriamente, nel vocabolario comune.
Tra il 1976 e il 1983 – gli anni della dittatura militare – si calcolano più di 30mila desaparecidos: uomini, donne e bambini fatti sparire nel nulla, rapiti e/o esiliati solo perché invisi al regime. Fu così che sin dagli anni ’70 nacquero le Madres (madri) e le Abuelas (nonne) de Plaza de Mayo, dal nome della piazza principale di Buenos Aires dove si radunavano in protesta. Proteste organizzate con lo scopo di avere notizie dei propri figli, dei propri nipoti rapiti e scomparsi.
Fino alla svolta. Quando la dittatura militare cedette al peso della sconfitta nella guerra de “Las Malvinas”: alla Presidenza entrò il democratico Alfonsìn e nel 1984 venne pubblicato lo storico rapporto Nunca más (mai più) da parte della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas. La Commissione era nota con il nome della Comisión Sabato dal nome del suo presidente Ernesto Sabato, scrittore e fisico argentino figlio di immigrati italiani.
Il vero cambiamento di paradigma avvenne, però, solo con la stagione della sinistra democratica di Néstor Kirchner che arriva alla presidenza nel 2003 mentre il Paese è ancora stordito dal disastro del default economico del 2001. Con Néstor Kirchner – e la già evocata e influente consorte Cristina – si inaugurò la stagione della verità e della giustizia con la cancellazione delle leggi di impunità vigenti. Così ebbe inizio l’esperienza della Commissione di Verità e Riconciliazione, tra le prime esperienze della storia – assieme a quella sudafricana – ancora studiata da filosofi, sociologi e scienziati politici che si occupano di giustizia internazionale e di transizione.
Abbiamo incontrato a Roma l’ambasciatore Roberto Emanuel Carlés e gli abbiamo chiesto quali sono le storie di quegli anni della dittatura a partire dal 1976 e come quegli anni si raccontano oggi.
Sono cresciuto in un periodo in cui ancora vigevano le leggi di impunità (gli anni ’80) per i protagonisti della dittatura. C’è poi stato un grande processo nell’85 ma solo contro il vertice del governo militare e della dittatura, poi dal 1987 sono state promulgate queste due leggi di impunità per tutti i responsabili e per tutti i reati tranne per quello di appropriazione dei minori.
Quei minori che per la maggior parte erano nati da madri sequestrate nei centri clandestini. Durante gli anni della mia formazione non ricordo una presenza nelle scuole né un esercizio di memoria permanente come quello a cui assistiamo oggi. C’era però un lavoro e una lotta quotidiana delle madri, delle nonne e dei figli che portavano avanti la battaglia e perseguivano la giustizia attraverso proteste pacifiche. Soprattutto negli anni ’90 si sono poi svolti i processi per l’appropriazione di minori e, in seguito, i processi per la verità.
Tali processi – sebbene non potessero risolversi con condanne, vista l’esistenza di quelle due leggi che garantivano l’impunità – hanno però permesso di capire e raccontare ciò che era accaduto in quegli anni. Nel 2004 è stata dichiarata la nullità di quelle leggi sull’impunità; nullità poi confermata anche dalla Corte Suprema di Giustizia nel 2015. Così sono iniziati i processi per crimini contro l’umanità e si sono aperte le porte alla giustizia ma anche a un grande processo sociale di consapevolezza.
Dopo la morte di Perón avvenuta nel 1974, in Argentina nasce la “tripla A“, l’Alianza Anticomunista Argentina da una frangia della destra ‘fascista’ appartenente al peronismo del tempo. Così già dal ’75 si iniziarono a registrare i primi desaparecidos e da lì fenomeno iniziò a espandersi fino a travalicare i confini nazionali. Quanto l’anticomunismo ha inciso sulla nascita e gli sviluppi della dittatura argentina?
In parte ha inciso. In quegli anni c’era un discorso come quello che vediamo in altri Paesi, si parlava per esempio di voler tornare ai valori della società tradizionale, occidentale e cristiana; una prospettiva piuttosto astratta accanto alla quale cresceva una cultura contro le guerriglie urbane. Erano gli anni della “scuola delle Americhe” o “scuola di Panamá“ dove molti militari si sono addestrati a reprimere le opposizioni sociali. Nella scuola si insegnava a combattere “i sovversivi” attraverso la tortura e un potere punitivo esercitato segretamente. C’era dunque sicuramente un anticomunismo usato come narrativa, ed era più uno “spauracchio”. Il “pericolo” del comunismo non era reale: quando c’è stato il colpo di Stato militare le organizzazioni di sinistra o di lotta armata non avevano nessun peso o potere reale proprio perché già smantellate in precedenza.
L’Italia della P2 ma anche quella del Partito Comunista, come si comportò, e quali sono i rapporti oggi?
Purtroppo nel mondo, in generale, c’è questa tendenza alla continuità nell’esercizio del potere e delle autorità dello Stato, e questo è sempre un problema. L’Italia è stata molto accogliente con gli argentini esiliati e che avevano bisogno di un luogo dove vivere, e questo è un fatto riconosciuto. Poi, però, dal punto di vista degli imprenditori e del potere economico il discorso è diverso, ma questo vale per tutto il mondo. Non sono i potenti né le grandi aziende quelle che fanno la lotta per i diritti umani. Ma c’è stata una solidarietà enorme da parte dei partiti politici e degli “attivisti sociali” in termini di accoglienza per chi ne aveva bisogno.
Le chiamavano locas (pazze) o addirittura terroriste, chi sono in realtà le madri e le nonne di Plaza de Mayo?
Loro nascono come madri e nonne che chiedono soltanto di sapere dove fossero i loro figli e nipoti. Come sappiamo sono “nate” intorno alla Plaza de Mayo. Donne coraggiose e consapevoli anche di correre un rischio minore rispetto agli uomini. Sebbene anche alcune di loro siano scomparse e siano state uccise. Sono state loro – definite pazze – a portare avanti la battaglia sin dall’inizio della dittatura. L’Argentina nei loro confronti ha un dovere di gratitudine.
Molti degli ormai ex bambini venivano portati via dalle madri incinta rapite e dati in adozione a persone vicine al regime o ai militari. Così alcuni di questi bimbi per anni hanno pensato di vivere con i loro padri e madri, quando in realtà erano i loro rapitori, carcerieri o erano molto vicini a questi ultimi. Può raccontarci qualche storia?
Sì, conosco molti casi anche di persone vicine a me. Comunque, “mettersi alla ricerca” crea sempre il dubbio ed è una decisione difficile – dal punto di vista umano – quella di andare a cercare la verità. Però è anche un bisogno, un’esigenza umana quella di scoprire chi sei e da dove vieni. Noi cerchiamo di incoraggiare questa ricerca: si stima che siano ancora più di 350 le persone non ancora ritrovate. Se qualcuno ha un dubbio sulle proprie origini, è bene che si metta alla ricerca. Se ci si trova all’estero indichiamo di fare segnalazione attraverso i consolati se invece si è in Argentina, ci si può mettere in contatto con la Commissione nazionale per le identità o con l’associazione Abuelas.
Chi ha pagato per quei crimini, e chi non ha pagato?
Il potere militare ha pagato senz’altro, quelli che non hanno dato tutte le risposte sono sicuramente il potere economico e parte delle autorità ecclesiastiche. Ci sono stati casi di sacerdoti che hanno minimizzato la gravità di quello che stava accadendo e in alcuni casi incoraggiato i militari a fare il loro lavoro, con l’idea che era la volontà di Dio. Non c’è stata vera giustizia e senza dubbio il potere economico non ha dato tutte le risposte.
Com’è l’Argentina di oggi e come sono i rapporti con l’Italia?
L’Argentina di oggi è una società egualitaria ma non è merito di un Governo in particolare. C’è tradizionalmente un senso di uguaglianza molto forte nella nostra cultura. Dieci anni fa siamo stati il primo Paese a realizzare il matrimonio egualitario e nel 2020 il diritto all’aborto. Il movimento delle donne è stato fortissimo e si vedono i cambiamenti a livello micro-sociale, non solo manifestazioni, cortei, ma nella quotidianità. È possibile vedere tutto questo semplicemente andandosene in giro per le strade. In poco tempo è cambiato molto. L’Argentina di oggi è una società moderna con le tipiche divisioni che la caratterizzano – secondo la logica dei social – quella per cui tutte le discussioni si polarizzano. Forse in Italia questo si vede meno perché ognuno parla al suo pubblico nei mezzi di comunicazione, la gente consuma l’informazione più che per informarsi per confermare pregiudizi. Questo è un fenomeno dei nostri tempi e polarizza la società, impedendo il dialogo. È la logica dell’algoritmo, per cui nelle reti “social” trovi ciò che cerchi già e ciò che vuoi vedere. È un dialogo tra sordi e mi auguro che anche questo riusciremo a superarlo un giorno.
In chiusura proponiamo un video realizzato dal Governo argentino per la ricerca dei “nipoti” che ancora restano sconosciuti: “Aiutaci a trovarti, #ArgentinaTeBusca”.