4 Novembre 2024

Kenya, le donne raccontano il reclutamento di Al-Shabaab

[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Fathima Azmiya Badurdeen su The Conversation]

Donne in attesa di consulenza medica offerta dall’Amison, in seguito agli scontri con Al-Shabaab nel 2013 vicino Mogadiscio. Foto di AMISON da Flickr, licenza CC.

Il coinvolgimento diretto di donne e ragazze nel terrorismo è motivo di crescente interesse in quanto le strategie di reclutamento sono cambiate. In Kenya, per esempio, sta emergendo la tendenza ad aderire a reti terroriste come Al-Shabaab. Il reclutamento di membri femminili è evidente soprattutto nelle regioni costiere e nord-orientali, ma è stato segnalato anche in altri Paesi.

Donne e ragazze sono state individuate nei ruoli di reclutatrici, addette alla logistica, tramiti finanziari, spie per le attività terroristiche e, in alcuni casi, di menti strategiche dietro gli attentati o di coordinatrici delle cellule operative.

Il gruppo di Al-Shabaab, che significa “i giovani”, è apparso verso la metà degli anni 2000 come diramazione di un movimento jihadista che aveva raggiunto il suo picco durante la guerra civile somala negli anni ’90. Espulso da Mogadiscio nel 2006, ha continuato a perseguire il suo fine principale: fondare uno Stato islamico in Somalia tramite azioni violente. Ha attuato ripetuti attacchi letali in Somalia, ma anche in Kenya e Uganda; nazioni, queste ultime, che contribuiscono con le loro truppe alla missione dell’Unione Africana in Somalia.

In uno dei miei studi precedenti, avevo rilevato che le donne a volte partecipano di propria volontà in quanto l’ideologia estremista ben si accorda con i loro valori culturali di stampo religioso. In altri casi la volontà di associarsi deriva invece dai benefici economici accordati a chi appartiene o entra nel gruppo. Inoltre, le donne vengono a volte obbligate o forzate tramite intimidazioni o inganni.

Invece, nel mio studio più recente ho esaminato i diversi modi in cui si pratica il reclutamento al fine di analizzare le diverse motivazioni delle donne e delle ragazze che si uniscono ad Al-Shabaab nella regione costiera del Kenya. In particolare, ho cercato di stabilire il grado di “volontarietà” della loro decisione; in altre parole, si sono associate di loro volontà?

Ho intervistato 36 tra donne e ragazze che erano tornate nelle loro case dai campi di addestramento o che avevano lasciato il network. Ho stilato 16 casi di donne e ragazze che hanno spiegato la loro volontarietà nell’adesione al reclutamento di Al-Shabaab.

Lo studio ha svelato come le dinamiche di genere – relative alla sottomissione e alla subordinazione all’interno delle famiglie e delle comunità – contribuiscano al reclutamento di Al-Shabaab. Tuttavia, sono individuabili anche motivazioni politiche e ideologiche.

Offrirsi volontario per Al-Shabaab

Che cosa intendiamo per “volontario”?

Il reclutamento è sempre considerato volontario nel caso una donna o una ragazza, senza alcun obbligo, scelga di prendere parte ad Al-Shabaab. Al contrario, è considerato non volontario se attuato con modalità ingannevoli o coercitive.

Tuttavia, devo precisare che “volontario” e “involontario” non si escludono sempre a vicenda. Ho scoperto che le reclute a volte cambiano le loro idee originarie a seconda della lealtà, delle interazioni sociali, della vicinanza ideologica e delle circostanze mutevoli all’interno e al di fuori della rete di Al-Shabaab.

Inoltre, è necessario esaminare aspetti differenti del processo decisionale attuato in autonomia. Alcune delle donne che si uniscono ai gruppi terroristi lo fanno per affermarsi all’interno di un sistema patriarcale e oppressivo, abboccando all’amo di una possibile emancipazione all’interno di questo utopico califfato.

Nell’ambito del mio studio sono emerse quattro circostanze principali come cause dell’adesione ad Al-Shabaab.

Difesa della fede

Al-Shabaab si nutre della narrazione sul Kenya come di uno Stato cristiano che opprime i musulmani in Somalia e nel Kenya stesso. Questa interpretazione si allinea a quella della marginalizzazione globale  dei musulmani. Durante le interviste sono emerse motivazione politiche e religiose, così come il desiderio esplicito di sostenere o difendere i fratelli musulmani.

Due donne hanno fornito come motivazione quella di essere le mogli di due martiri e di voler fare la loro parte per sostenere la umma musulmana, cioè la comunità dei fedeli. Diciannove intervistate hanno spiegato come l’ideologia abbia influenzato la loro decisione di sostenere la causa di Al-Shabaab. Queste decisioni smentiscono i racconti dei media kenyoti in cui ingenue ragazze vengono manipolate tramite l’immagine romantica della sposa o moglie di un jihadista.

Aisha, all’epoca 25enne che aveva lasciato Al-Shabaab dopo due anni, ha detto:

Ho letto molto. È stato triste vedere come i musulmani venissero trattati come un gruppo di seconda classe. Non volevo che la mia gente soffrisse, sentivo il bisogno di agire. Volevo essere loro di aiuto in Somalia.

Reazione a una crisi personale

Il reclutamento di Al-Shabaab fa presa anche sul desiderio di vendetta da parte di quegli individui che considerano lo Stato come il mandante delle ingiustizie patite nelle loro vite. Un evento critico nella vita di queste donne e ragazze, come l’uccisione di un caro da parte della polizia, è in genere un momento chiave fondamentale. Alcune donne entrano nelle reti estremiste per vendicare la morte di un marito, di un fidanzato o di un figlio per mano delle forze dell’ordine del Governo.

È provato che i reclutatori si insinuano in reti già esistenti di donne che soffrono, tra le quali ci sono anche parenti di membri di Al-Shabaab caduti in missione. Il condizionamento del gruppo viene sfruttato per influenzare o costringere le donne a seguire la causa del parente deceduto.

Stretti rapporti interpersonali

Le interazioni quotidiane con famigliari, amici e coetanei hanno determinato la decisione di unirsi alla rete in 9 dei 16 casi. L’autonomia di una donna nei rapporti coniugali può essere limitata al punto da spingerla a seguire i passi del marito o di altre figure maschili influenti della famiglia.

La decisione di aderire è autonoma soltanto se è una scelta personale. Tuttavia, la scelta potrebbe essere obbligata nell’ambito dei rapporti coniugali e famigliari. Questo accade quando una donna si mostra sottomessa al volere dei membri della famiglia.

L’ideologia si trasmette nei campi di addestramento

Alcune donne vengono reclutate contro la loro volontà. Comunque, dopo un lungo periodo di tempo in un campo di addestramento o di associazione con i terroristi, 3 delle 16 donne coinvolte in questo studio hanno abbracciato l’ideologia e si sono offerte volontarie per far parte di Al-Shabaab.

Mary, convertita all’Islam, era stata reclutata da un’amica con l’inganno di un lavoro in Somalia. All’epoca era il 2015 e lei aveva 18 anni. All’interno del campo l’hanno messa ai lavori forzati e l’hanno obbligata all’indottrinamento religioso.

Dopo alcuni giorni ero esausta. Stavo imparando la religione… In un certo senso stavo iniziando ad accettarla. Sentivo che era giusto lottare per la nostra libertà [dei musulmani]. Era come un obbligo morale. Volevo far parte della rete di Al-Shabaab.

Conclusione

L’analisi delle motivazioni politiche e ideologiche dietro l’adesione delle donne ad Al-Shabaab dimostra che in alcuni casi le donne decidono autonomamente sulla base della loro reazione ai motivi di risentimento della comunità musulmana.

Però, entrano in gioco anche altri fattori strutturali e culturali come l’organizzazione patriarcale delle famiglie e delle comunità. Il processo decisionale di alcune donne si è allineato a comportamenti e ruoli subordinati. Queste donne, appartenenti soprattutto alle comunità musulmane sulla costa, hanno raccontato di essere soggette ai tradizionali ruoli di genere; è dunque implicito il loro rispetto per le regole sociali.

Ma non tutte le donne che sono entrate in Al-Shabaab avevano vissuto in una condizione di totale asservimento prima del reclutamento. Alcune reduci conducevano una serena vita famigliare o erano felicemente appagate.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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