Il tabù delle mestruazioni nel mondo tra isolamento e punizioni

Spesso ci dimentichiamo del potere che possono avere le parole e di come queste possano suscitare in noi emozioni e paure.

Quale donna non si è mai imbarazzata almeno una volta nel dire a qualcuno di avere le mestruazioni? Tanti i modi di dire: “ho le mie cose“, “sono indisposta“, “sono in quei giorni“. E quante volte, invece, è capitato agli uomini di arrossire al solo sentir nominare la parola mestruazioni o assorbenti?

Ciò è dovuto al senso di vergogna ed inadeguatezza che con gli anni è stato associato a questo fenomeno fisiologico e non certo sovrannaturale.

Considerare le mestruazioni alla stregua di un “disturbo” ha origini antiche ed è un modo di pensare più radicato di quanto si creda.

Le religioni in questo hanno fatto la loro parte: nei secoli hanno avvalorato la tesi secondo cui le donne sono “colpevoli” di avere le mestruazioni. Sono immonde, impure e fragili. Sulla base di alcuni testi sacri è stata concepita l’idea della debolezza della donna, basata appunto sul fatto di avere le mestruazioni per sette giorni al mese.

Lo spiega bene Giuliana Sgrena nel suo libro “Dio odia le donne”: un excursus nei testi sacri delle principali religioni monoteiste che mira a delineare come queste abbiano nei secoli rafforzato la tesi secondo cui le donne siano inferiori agli uomini.

In un capitolo in particolare – “Donna Immonda” è il titolo – Sgrena descrive il destino delle donne, segnato dall’avere le mestruazioni e di come questo le renda “sporche” agli occhi degli uomini. A stabilire che la donna durante il ciclo è impura sono i testi sacri.

In molte culture e religioni questo periodo biologicamente naturale viene usato per stigmatizzare la donna condannandola all’isolamento e alla vergogna.

Religione, Flickr su licenza Creative Commons

Il Corano, per esempio, parla delle mestruazioni nella Sura II, 222 rivolgendosi agli uomini:

Esso [il ciclo mestruale] è una sofferenza. Evitate dunque [di giacere con] le vostre donne, durante il ciclo mestruale e aspettate che si purifichino prima di giacere con loro. Quando poi si purificano, accostatele nel modo in cui Allah vi ha prescritto.

Se il Corano afferma che le donne durante il loro “periodo di sanguinamento” non possono avere rapporti sessuali con gli uomini, alcuni hadith [brevi narrazioni su fatti o detti del Profeta, aggiunti al Corano 200 anni dopo la morte di Maometto, NdR] proibiscono alle donne mestruate di pregare, praticare il Ramadan (i giorni del digiuno vengono recuperati in seguito), toccare il Corano, entrare in moschea e fare il pellegrinaggio alla Mecca.

Anche l’Ebraismo si esprime sul sangue mestruale: nella Torah, il Levitico proibisce i rapporti sessuali con una niddah (termine che significa “scostata, separata” e indica la donna con le mestruazioni) e non solo:

Una donna che ha un flusso di sangue nel suo corpo sarà una niddah per sette giorni, e tutti quelli che la toccano saranno ritualmente impuri fino al tramonto (Levitico 15-19).

Una donna nello stato ritualmente impuro di niddah, tu non ti avvicinerai per rapporti sessuali (Levitico 18-19).

Dunque, la legge ebraica proibisce letteralmente qualsiasi contatto fisico tra uomini e donne durante i giorni delle mestruazioni. Questo in particolare tra marito e moglie, in nome del concetto di Taharath Hamishpacha, “purezza familiare“, che costituisce il fondamento del matrimonio ebraico laddove l’dea di purezza riguarda la santità spirituale e non l’igiene personale (stando all’interpretazione tradizionale dei concetti di Tumà e Taharà, impurità e purità).

Sono due i temi che ricorrono più spesso in relazione alle mestruazioni: uno è quello dell’isolamento a cui le donne vengono destinate, quasi come fosse una punizione per qualcosa che non possono controllare; un altro è quello della sessualità, in quanto agli uomini viene severamente proibito di giacere accanto alla propria moglie durante i famosi sette giorni e di avere rapporti sessuali, in quanto il solo contatto fisico potrebbe renderli impuri.

Ci troviamo ancora una volta alla riduzione della donna a puro oggetto del desiderio sessuale dell’uomo.

Anche il Cristianesimo si è servito delle mestruazioni per creare disuguaglianze e impedire alle donne di occupare posizioni autorevoli. Ci sono molti tabù all’interno della Chiesa che escludono le donne dall’assumere posizioni di una certa importanza all’interno della gerarchia ecclesiastica. Ciò accade perché anche nella Bibbia viene affermato che le donne sono impure, soprattutto durante il loro ciclo mestruale.

L’Induismo ha costruito negli anni una figura della donna “inquinata” e un’idea delle mestruazioni come una maledizione che bisogna combattere con l’isolamento. Il ciclo infatti viene visto come un evento privato che la donna deve vivere da sola. In molti Paesi e culture esse vengono isolate nelle cosiddette “menstrual hut” (capanne mestruali), che si trovano per lo più in luoghi isolati e senza accesso a servizi igienici.

Capanna Chhaupadi, “menstrual hut”. Flickr su licenza Creative Commons

Ha fatto molto discutere ciò che è accaduto in Nepal, dove donne e ragazze, ritenute impure, nel loro periodo di mestruazioni venivano sottoposte allo “chhaupadi”, ovvero alla pratica di isolamento nelle capanne mestruali per evitare di contaminare il resto della popolazione (maschile). Qui la credenza religiosa si fonde con le tradizioni socio-culturali.

Questa pratica, che rientra nella violenza di genere e che mette in pericolo la vita di molte donne, è stata al centro di diversi dibattiti e campagne di sensibilizzazione di Amnesty International. Pur essendo stata dichiarata fuorilegge nel 2018, le donne in Nepal continuano a morire dopo essere bandite da casa e isolate nelle specifiche capanne. Non è raro infatti che le capanne prendano fuoco e le donne, colte di sorpresa, perdano la vita al loro interno. Purtroppo, poiché non tutti i decessi vengono registrati, non è certo il numero delle donne che muoiono a causa di questa pratica.

Uno studio condotto sull’argomento ha rilevato che in Nepal nel 2019 il 77% delle donne ha praticato lo chhaupadi, pur essendo illegale e conoscendo la sua pericolosità.

Se una pratica così dannosa è però anche ben radicata in una cultura, cosa bisogna fare? In che modo si può attuare un cambiamento nel modo di percepire le mestruazioni?

L’istruzione è il primo elemento chiave su cui bisogna lavorare: la salute della donna non deve essere un tabù, ma deve essere spiegata nelle scuole così che le ragazze non vengano sorprese dall’arrivo del primo ciclo.

È ciò che è successo in Etiopia, dove Sara Eklund, madre etiope e padre americano, ha fondato il primo marchio africano di coppette mestruali per aiutare le donne, sia dal punto di vista economico che igienico-sanitario: “Noble cup”coppette eco-sostenibili.

L’imprenditrice del Corno d’Africa non si è limitata a questo: alla creazione e distribuzione delle coppette alle ragazze e donne etiopi, accompagna una serie di incontri educativi sulla biologia femminile e le mestruazioni.

UNICEF in Etiopia, Flickr su licenza Creative Commons

Vivendo in Etiopia, sa bene quanto sia difficile e costoso procurarsi gli assorbenti; infatti nel suo Paese il 25% delle donne in età riproduttiva non ha accesso a tali prodotti a causa dell’alto costo ed è costretta ad utilizzare prodotti alternativi fai-da-te come pezzi di stoffa o giornali, scomodi e assolutamente non igienici.

Inoltre, nelle scuole spesso non ci sono bagni privati né acqua corrente, e manca un sistema di smaltimento dei rifiuti adeguato. Essendo difficile per le ragazze affrontare il periodo del ciclo mestruale nelle scuole, il 17% di loro perde le lezioni.

Sara ha deciso, dunque, di agire su diversi livelli, quello educativo e quello economico, perché purtroppo in molti Paesi gli assorbenti sono beni di lusso e non vengono percepiti come essenziali.

Le coppette mestruali sono state una scoperta innovativa e utile, poiché hanno un costo accessibile, durano cinque anni e non creano rifiuti inutili.

Noble cup ha fatto un passo avanti nella lotta contro la cosiddetta “povertà mestruale” : un fenomeno abbastanza diffuso, non solo in Etiopia, e che ha sempre ricadute sulla vita scolastica delle ragazze.

Anche in Kenya con gli anni qualcosa è iniziato a cambiare.  Dal 2017  il Governo ha cominciato ad attuare una politica basata sulla distribuzione di assorbenti alle ragazze in età scolastica. L’obiettivo è fare in modo che non perdano le lezioni. Questa azione, che inizialmente era circoscritta solo a chi frequentava la scuola, è diventata più inclusiva nel 2019, quando è stato approvato un altro provvedimento incentrato sulla salute mestruale e l’igiene: la National Menstrual Hygiene Management (MHM) policy. Così facendo il Governo si è impegnato a offrire supporto alle donne e alle ragazze per affrontare l’arrivo delle mestruazioni nonché la fornitura dei prodotti essenziali.

Donne in Kenya che esaminano le coppette mestruali, Flickr su licenza Creative Commons

Con queste decisioni il Kenya ha ufficialmente riconosciuto la salute mestruale e l’igiene come una questione di diritti umani, inserendole nell’agenda politica del Paese.

Purtroppo con l’arrivo del Covid-19 la situazione sembra aver fatto dei passi indietro. Il Governo ha dovuto attuare misure per contrastare la diffusione del virus e, da uno studio svolto a Nairobi, sembra che le donne stiano ancora avendo problemi ad accedere ai prodotti necessari per affrontare il ciclo mestruale. Il denaro non sembra dunque essere sufficiente per provvedere alla lotta al Covid-19 e al sostegno delle donne nel periodo mestruale.

Anche in Sudafrica, attiviste alla guida di organizzazioni no profit si sono impegnate per il superamento della povertà mestruale e del tabù vigente sul tema mestruazioni. Anche in questo Paese la povertà mestruale è connessa alla mancanza di accesso ai prodotti sanitari necessari, all’acqua e ai servizi igienici.

Il Governo sudafricano, pur avendo eliminato nel 2019 l’imposta del 15% sui prodotti mestruali, non è riuscito a risolvere del tutto il problema. Il 30% delle ragazze sudafricane continua ad avere problemi a procurarsi assorbenti e per questo rinuncia ad andare a scuola.

Questo assenteismo forzato purtroppo mette in atto un effetto a catena su tutta la popolazione, in quanto pone le donne in una posizione inferiore rispetto agli uomini, che hanno invece la possibilità di frequentare sempre la scuola e non rimanere indietro negli studi.

Come ha affermato Bongani Majola, presidente della Commissione sudafricana per i diritti umani:

Non sono solo le ragazze e le donne a beneficiare di una corretta igiene mestruale, la società in generale e le economie nazionali possono trarre vantaggio da una migliore gestione delle mestruazioni.

Sulla scia di queste parole, alcune ONG sudafricane (Qrate ZA, The Cora Project, The Siyasizana Foundation) si sono impegnate ad abbattere la barriera esistente sul tema delle mestruazioni: non solo si sono occupate di provvedere alla fornitura di assorbenti ma hanno anche organizzato incontri per responsabilizzare le donne ed istruirle sulle mestruazioni.

Il ciclo non deve essere visto come un impedimento per la donna ma deve essere normalizzato, così da perdere il suo potere “negativo”.

Anche in Europa si mira a sconfiggere la povertà mestruale, in quanto la famosa “tampon tax” fatica a scomparire.

In Francia la ministra dell’Istruzione Frederique Vidal, constatando che una studentessa su tre non può permettersi l’accesso ai costosi assorbenti, ha annunciato:

che nei centri sanitari e negli ostelli studenteschi del Paese saranno disponibili, nei prossimi mesi, distributori che offrono assorbenti gratuiti.

Manifestazione parigina contro la tassa sugli assorbenti, Flickr su licenza Creative Commons

Prima della Francia, però, è arrivata la Scozia, Paese precursore nella lotta alla povertà mestruale. Nel 2020, infatti, il Parlamento scozzese ha votato all’unanimità il provvedimento per offrire l’accesso universale gratuito ai prodotti sanitari necessari durante il ciclo mestruale. Così facendo la Scozia è stato il primo Paese a fare questo importante passo avanti. Quanti altri la seguiranno?

Smettere di considerare le mestruazioni un tabù e garantire l’accesso ai prodotti necessari è il primo passo per liberare le donne dallo stigma che le accompagna. Non stiamo infatti parlando di “affari da donna” bensì di qualcosa di più grande che riguarda tutte e tutti e che dovrebbe essere considerato un diritto imprescindibile.

Antonella Di Matteo

Attivista per i diritti umani, Youth Worker, appassionata di Africa e migrazioni. Laureata alla magistrale in Diritti Umani e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia. Si occupa di europrogettazione. Volontaria per SCI Catalunya grazie al programma degli European Solidarity Corps.

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