Asia Pacifica, 2 miliardi di persone affamate dal coronavirus
[Agenda 20 gennaio – 2 febbraio 2021. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]
Giustizia sociale – Stime allarmanti sulla salute alimentare nella regione asiatica
“Lo scoppio del Covid-19, la conseguente mancanza di dignitose opportunità lavorative e l’incertezza dei mercati alimentari, hanno determinato un peggioramento della disuguaglianza sociale, poiché le famiglie più povere con redditi in calo continuano a modificare la loro dieta scegliendo soluzioni alimentari più economiche e cibi meno nutrienti”. In altre parole, quasi 2 miliardi di persone nell’Asia Pacifica – soprattutto donne e bambini – non riescono a seguire diete sane. Frutta, verdura, prodotti lattiero-caseari sono ormai inaccessibili per gran parte dei meno abbienti. E gli effetti in termini di malnutrizione stanno diventando devastanti. Questo è quanto emerge dal terzo rapporto annuale “Asia and the Pacific Regional Overview of Food Security and Nutrition”, redatto da FAO, UNICEF, OMS, WFP e pubblicato il 20 gennaio. Secondo i dati, la situazione già esistente nel 2019 – che vedeva circa 350 milioni di individui denutriti o deperiti, di cui oltre 100 milioni di bambini – sarà purtroppo destinata a peggiorare se non si interviene con programmi volti a garantire la concreta sicurezza alimentare della regione.
Africa – Darfur, accesso vietato ai giornalisti mentre si aggrava l’instabilità nella zona
Il Sudanese Journalists Network – vincitore, nel 2020, del premio Reporter senza Frontiere per la libertà di stampa – con un comunicato del 26 gennaio ha fortemente criticato la decisione delle autorità sudanesi di vietare l’accesso a giornalisti locali e corrispondenti stranieri in Darfur. A suo avviso, le motivazioni addotte dal ministro della Cultura e dell’Informazione non sono né credibili né condivisibili. “Il deterioramento della sicurezza nella regione costituisce soltanto un pretesto” – si legge nel documento. “Questa deplorevole scelta della MI (Military Intelligence) è un’ulteriore prova delle grandi sfide che il Governo di transizione deve affrontare” per pacificare il Paese. E intanto, “le libertà del popolo sudanese sono in grave pericolo”. L’ovvio sospetto è che si voglia impedire alla stampa di documentare quanto accade nell’area, dove dal 2003 è in atto un conflitto che – sebbene venga ormai da anni definito “a bassa intensità” – continua a mietere vittime, incancrenendo la crisi umanitaria e rendendo instabile l’intero Stato africano. Di recente, sono ripresi gli attacchi armati da parte dei miliziani Janjaweed in alcuni quartieri della capitale del Darfur occidentale, El Jenina.
Ambiente – Cambiamento climatico, impennata di casi nelle aule di giustizia
Negli ultimi tre anni, i contenziosi climatici hanno subito una forte accelerazione, trasformando le corti nazionali in luoghi deputati a svolgere un ruolo fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. Invero, i casi in detta materia, dal 2017 a oggi sono quasi raddoppiati, passando da 884 ricorsi presentati in 24 Paesi a 1.550 trattati in 38 Stati, compresi quelli europei. Non solo, questa nuova tendenza “sta spingendo Governi e aziende a meglio rispettare gli impegni assunti” nelle sedi internazionali nonché “a fissare obiettivi più ambiziosi tesi a mitigare il climate change”. I dati, alquanto incoraggianti, arrivano dal “Global Climate Litigation Report: 2020 Status Review“, rilasciato dall’UNEP il 26 gennaio. “I cittadini si rivolgono sempre più spesso ai tribunali per esercitare il loro diritto a un ambiente sano“, ha affermato Arnold Kreilhuber, direttore ad interim della Divisione legale dell’UNEP. I contenziosi riguardano soprattutto: i “diritti climatici” intesi in stretta connessione al diritto alla vita, al cibo, all’acqua; il “greenwashing” aziendale; lo sfruttamento dei combustibili fossili nel sottosuolo.
Diritti umani – ONG siriana denuncia alla CPI gli abusi greci contro i profughi
Il Syria Justice and Accountability Centre (SJAC) – organizzazione indipendente con base a Washington, impegnata a documentare le violazioni dei diritti umani in Siria – ha presentato, il 28 gennaio, una comunicazione alla Corte Penale Internazionale (CPI) per chiedere l’avvio di un’indagine sui possibili crimini contro l’umanità perpetrati dalla Grecia lungo il confine turco e nei centri di identificazione delle isole egee ai danni dei profughi siriani (e non solo). La richiesta è supportata da dichiarazioni dirette di testimoni e vittime, prove documentali e video. “È necessario tanto riconoscere la vittimizzazione costante dei rifugiati che la responsabilità dei suoi autori”, ha sottolineato Mohammad Al Abdallah, Direttore esecutivo del SJAC. A partire dal 2016, la Grecia ha dato vita a una serie di pratiche legislative, esecutive, giudiziarie volte a privare di fatto richiedenti asilo e rifugiati dei propri diritti. Nei campi ellenici, questi sono costretti a vivere in modo a dir poco squallido. In mare, vengono respinti nonostante il principio di non-refoulement. E sussistono “evidenze di come gli agenti di Frontex abbiano partecipato o siano stati complici di tali abusi“.
Politica internazionale – La liason Cina-Israele turba gli USA
Secondo il Jewish Institute for National Security of America (Jinsa) – think tank statunitense – il consolidamento dei rapporti economici tra Cina e Israele potrebbe seriamente compromettere il solido legame di quest’ultimo con gli Stati Uniti. In uno studio pubblicato l’1 febbraio, il Jinsa evidenzia come Pechino, ormai da qualche anno, stia investendo in modo significativo nello sviluppo di infrastrutture chiave israeliane, alcune delle quali sono poste in aree limitrofe a siti militari americani. Nel 2019, ad esempio, è stato siglato un accordo tra la città di Haifa e la compagnia cinese Shangai International Port Group per la costruzione di un grande porto marittimo nel Mediterraneo. La crescente preoccupazione di Washington è legata alla concreta possibilità che la Cina riesca ad espandere, attraverso una strategia commerciale mirata, la propria influenza in Medio Oriente, andando così a destabilizzare le dinamiche geopolitiche globali. Anche se in via ufficiale, le autorità statunitensi si limitano a “bacchettare” lo storico alleato facendo leva sulle condivise questioni di sicurezza regionale.