RDC, meme per esprimere ironia, protesta, derisione del potere

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Lesley Nicole Braun e Ribio Nzeza Bunketi Buse pubblicato su The Conversation]

Da quando le persone hanno iniziato a documentare la loro quotidianità attraverso le immagini, i meme sono diventati espressioni universali della cultura contemporanea. Si tratta di immagini spiritose accompagnate da un testo che, a seconda del grado di comicità, possono essere modificate e diffuse rapidamente. Ricordandoci di come l’umorismo sia anche contagioso.

In passato, anche i vignettisti africani hanno fatto ricorso all’umorismo per coinvolgere i lettori e i loro modi di dire sono diventati argomenti di conversazione in tutti i luoghi pubblici come autobus affollati e bar. Durante l’epoca coloniale, infatti, in molti Paesi africani le vignette e le pitture popolari sono stati fondamentali nella lotta per l’Indipendenza.

Anche nel periodo postcoloniale, i fumetti continuano a fungere da strumenti che, in maniera implicita e talvolta anche esplicita, deridono e contestano gli abusi di potere.

Confrontando i fumetti e i meme si può notare una certa similarità. Tuttavia, l’anonimato del meme, garantito dalla qualità virtuale della sua diffusione, consente diverse forme di partecipazione.

Ad esempio, le immagini ritoccate con Photoshop che ritraggono i politici in situazioni compromettenti (per esempio con i calzoni abbassati) offrono una visione carnevalesca dell’arbitrarietà del potere. Questi meme spingono le persone a schernire i potenti e anche chi sottosta al loro potere.

Secondo alcune stime, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) sono circa 5,3 milioni gli utenti Internet attivi, ma solo coloro che dispongono di risorse finanziarie godono dell’accesso a tali tecnologie. A causa poi della diffusione della censura nel Paese, la sfera del digitale con il suo anonimato crea uno spazio in cui poter criticare il potere. L’economia di queste immagini virali rappresenta una minaccia per il Governo al punto che quest’ultimo, durante i periodi di campagna elettorale, si ritrova spesso a ordinare il blocco della Rete.

All'interno di un cybercafé a Kinshasa. Cedric Kalonji in licenza CC.
All’interno di un cybercafé a Kinshasa. Cedric Kalonji in licenza CC

Negli ultimi anni si è registrato un aumento dell’interesse accademico per i contenuti digitali che circolano su Internet. Eppure, ad oggi, in Africa non esistono studi che analizzino la fenomenologia dei meme e di altri contenuti mediatici “virali”. Dal 2017, io e il mio collega, abbiamo iniziato a fare ricerche sui meme e sul loro modo di diffondersi nella capitale congolese, Kinshasa.

Questo studio si è concentrato sulle caratteristiche culturali delle immagini digitali che circolano nella RDC, e ha dimostrato come queste nascondano preoccupazioni più grandi per i cambiamenti sociali, le interferenze straniere e le nuove forme di connessione a Internet.

Il pondu, Versace e i cinesi: esempi di meme

I tanti meme raccolti esprimono una specie di risata autoreferenziale, un’autoironia sarcastica che caratterizza le immagini. Ad esempio, in un meme troviamo un ritratto dello scrittore ottocentesco francese Victor Hugo sovrapposta a due foto del pondu, il piatto nazionale della cucina congolese, e una citazione attribuita a Hugo che dice: “Una vera donna sa come si cucina il pondu.”

 

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Un altro meme raffigura un uomo in total look Versace accanto a un carrello con ammucchiati dei bagagli che riportano il logo del famoso brand. Nella didascalia si legge: “Quando lo zio congolese viene a farti visita per una settimana.” Queste immagini, riuscendo a esprimere le affinità culturali della civiltà congolese, attraverso un’illustrazione o meglio una caricatura, attirano l’attenzione non solo di coloro che vivono nel Paese ma anche di quelli che risiedono all’estero. Nel caso del meme preso in esame si propone lo stereotipo dei congolesi ossessionati dalla moda.

Ci sono poi una miriade di immagini che riguardano il popolo cinese e spaziano da leggere provocazioni sui luoghi comuni culturali ad altre contenenti accuse più gravi di abuso di potere. Un meme raccolto nel nostro studio mostra un manichino di un negozio cinese nella RDC che imita la tipica silhouette dei congolesi.  Altri, invece, ricordano stereotipi razziali più importanti. Per esempio, sotto la foto di una venditrice ambulante cinese di ratti grigliati compare la domanda “Hai già mangiato?”. Il meme ridicolizza la cucina orientale.

Il fatto poi che nei meme si intrecciano, alimentandosi a vicenda, contenuti digitali e altre forme di comunicazione orale, quali i pettegolezzi, rappresenta un potenziale pericolo. Nel caso della donna citata poco sopra, l’immagine può essere interpretata come una notizia legittima piuttosto che come una frecciatina scherzosa.

Immagini simili potrebbero essere impiegate per manipolare le opinioni delle persone, specialmente di quelle inconsapevoli della complessità della produzione di contenuti online. Quest’aspetto evidenzia dunque l’importanza di promuovere l’alfabetizzazione digitale nel Paese.

Preoccupazioni tecnologiche

Sono sempre più numerose le ipotesi avanzate da alcuni studiosi sulla possibilità dei meme e dei loro contenuti virali di alterare le opinioni personali a tal punto da parlare di “manipolazione”. Recenti studi di psicologia hanno sollevato la questione dell’azione svolta dal destinatario del meme e suggeriscono che, a volte, l’esposizione alle teorie complottiste è sufficiente per influenzare in modo significativo i pensieri altrui. Prendiamo, ad esempio, i meme sui cinesi che circolano in tutta l’Africa. Molti mirano alla comicità ma altri diventano veicoli di fake news che condizionano, a loro volta, le percezioni individuali.

I virus biologici possono contagiare ma anche la tecnologia può farlo. Le credenze locali sul fenomeno della viralità convergono sull’idea che le immagini in sé siano potenzialmente virulente in quanto in grado di infettare la mente delle persone. Ad esempio, è frequente sentir dire da un cittadino congolese: “Non infettarmi il cellulare con quel tuo video. Non voglio essere contaminato da quelle immagini.”

Con quest’ultima affermazione non ci si riferisce tanto a un virus digitale quanto a ciò che si crede possano causare le immagini stesse. Data la minaccia di focolai di Ebola, nonché di Covid-19, il linguaggio della “contaminazione” resta di particolare rilevanza.

Inoltre, poiché sempre più persone, idee e tecnologie continuano a circolare, le preoccupazioni sulla vicinanza sociale saranno ancora percepibili in un numero crescente di racconti. Quest’ultimi appaiono anche nei meme che le persone realizzano, fanno circolare e di cui ridono.

È innegabile come l’ambiguità della tecnologia digitale contribuisca alle nostre relazioni interpersonali. I timori sulla contaminazione, sia essa culturale o biologica, continueranno a crescere e a essere alimentati dal dominio digitale, aumentando l’incertezza riguardo le forze strutturali che circolano nel mondo.

Dal momento che le tecnologie impiegate per accedere e creare contenuti Internet diventano sempre più fruibili dai cittadini congolesi, i contenuti prodotti a livello locale non soltanto continueranno a moltiplicarsi e a interagire con le tendenze globali ma anche a esprimere critica nei confronti della più ampia sfera politica.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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