Il ruolo delle donne nei conflitti armati e nei processi di pace

Quest’anno si celebra il ventesimo anniversario della Risoluzione 1325 delle Nazioni Unite su donne, pace e sicurezza. Tale risoluzione fu approvata all’unanimità nel 2000 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Un atto che rappresenta un cambiamento della prospettiva delle Nazioni Unite rispetto a certi temi. Si tratta, infatti, della prima risoluzione approvata dall’organizzazione a menzionare, in maniera esplicita, l’impatto che le guerre hanno sulle donne e il loro contributo nelle risoluzioni dei conflitti armati e nell’attuazione della pace.

Donne, pace e sicurezza, foto su Flickr in licenza Creative Commons

In breve la risoluzione mirava a riaffermare l’importanza del ruolo della donna, sia nella prevenzione che nella risoluzione dei conflitti, nonché nei negoziati di pace e nei processi di costruzione e mantenimento della stessa.

La risoluzione esorta tutti gli attori coinvolti nei processi di pace (Stati, istituzioni, organizzazioni internazionali, per citarne alcuni) ad aumentare la partecipazione delle donne e a utilizzare una prospettiva di genere in tutti i negoziati e trattative per la pace e la sicurezza.

Alle donne viene riconosciuta una forte capacità di peace-building, di dialogo tra le diverse fazioni coinvolte in un conflitto; viene riconosciuta loro anche la capacità di aumentare la trasparenza e il carattere inclusivo e sostenibile dei processi di pace.

Altro punto importante del testo redatto dalle Nazioni Unite, è l’invito nei confronti dei Paesi coinvolti nei conflitti armati ad adottare misure speciali per proteggere le donne dalla violenza di genere, in particolare dallo stupro e da altre forme di violenza sessuale.

Al fine di garantire l’attuazione degli enunciati esposti nella risoluzione, l’Interagency Network on Women and Gender Equality ha deciso di istituire l’Interagency Task Force on Women, Peace and Security.

La risoluzione in esame serviva anche per rafforzare il valore della Convention on the elimination of all forms of discrimination against women (CEDAW), elaborata e ratificata nel 1985 dalle Nazioni Unite.

Qual è il vero problema che ci si trova ad affrontare? Le donne svolgono ruoli decisivi nell’ambito della pace e della sicurezza, ma troppo spesso lo svolgono “dietro le quinte”, e nei processi di pace ufficiali raramente emergono.

La retorica della “donna debole” che ha bisogno di protezione continua a circolare nelle nostre società, e per molti sembra quasi assurdo che possano essere proprio loro le persone coinvolte per portare avanti trattative decisive per l’interruzione di guerre e diatribe.

Nonostante ciò, negli ultimi anni abbiamo avuto diversi esempi di donne forti che, sia al tavolo delle trattative sia sul campo di battaglia, hanno giocato un ruolo decisivo per la costruzione della pace.

Anche se, tra il 1992 e il 2019, le donne hanno costituito in media il 13% dei negoziatori, il 6% dei mediatori e il 6% dei firmatari di importanti accordi di pace – percentuali decisamente basse – si può comunque affermare che  in questi ultimi vent’anni ci sono stati progressi, anche se lenti.

La parità di genere è ancora un obiettivo lontano, però abbiamo alcuni esempi significativi che è giusto ricordare. In che modo le donne sono state coinvolte nei processi decisionali riguardanti la pace?

Donne invisibili – Uguaglianza di genere, Wikimedia Commons

Tra le storie di donne forti che hanno ricoperto un ruolo significativo nella lotta per la costruzione della pace troviamo Rajaa Altalli. Rajaa è una donna siriana, che all’età di dodici anni subisce l’arresto del padre da parte del Governo siriano perché membro di un partito politico.

Da bambina forse non pensava di poter avere grandi sogni, e invece oggi è una delle più forti sostenitrici dell’inclusione sociale delle donne nei processi di pace in Siria; è stata anche nominata membro del Comitato consultivo delle donne da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria.

Nel 2007 inizia la crisi in Siria e Rajaa Altalli decide di documentare i soprusi che si verificano davanti ai suoi occhi; nel 2011 co-fonda una ONG per la difesa della pace.

Con questa organizzazione oggi si batte per creare spazi aggregativi per le donne, per dare loro modo di sedersi e decidere come portare avanti l’agenda di pace. Lei stessa afferma:

Abbiamo dovuto spingere per la partecipazione delle donne in ogni fase, dall’inizio del processo di pace fino alla sua costituzione.

Anche nelle Filippine c’è una donna molto determinata: Miriam Coronel-Ferrer, diventata capo negoziatore del Governo nel 2014 e prima donna al mondo a guidare e firmare un importante accordo di pace che, dopo quattro decenni, ha posto fine al conflitto tra il Governo filippino e l’MILF (Moro Islamic Liberation Front).

Un’altra esperienza emblematica è quella di Sandra Vera, che in Colombia, all’età di 14 anni, entra a far parte del più influente gruppo ribelle del Paese: le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Dopo ben 9 anni all’interno del gruppo armato, decide di ritirarsi e di cambiare vita: è il momento di offrire un futuro migliore ai giovani e alle donne del suo Paese.

La guerra portata avanti dalla Colombia contro le FARC termina ufficialmente con un accordo di pace nel 2016, che pone fine ad una guerra durata cinque decenni e che ha ucciso più di 260.000 persone.

Sandra Vera ha giocato un ruolo molto importante nei processi di mantenimento della pace, grazie alla sua lunga esperienza all’interno del gruppo. Nel 2017 infatti inizia a lavorare presso l’agenzia governativa responsabile del reinserimento di circa 10.000 ex membri delle FARC. Ha dichiarato:

Fare la pace significa fornire alternative autentiche alla violenza. […] Costruire la pace non è solo qualcosa che si fa con gli accordi, ma con le persone sul campo, e ovviamente le donne sono la chiave per questo.

Dunque il contributo delle donne sul campo è fondamentale e deve essere riconosciuto.

L’anniversario della risoluzione delle Nazioni Unite ha spinto molti Paesi a fare una stima della disuguaglianza di genere. Nel continente africano, per esempio, l’Istituto di ricerca Timbuktu ha fatto un punto sulla situazione in Africa sul tema della disparità di genere, al fine di implementare le giuste misure per lo sviluppo della partecipazione femminile alla vita sociale e politica.

In Africa solo 25 Paesi negli ultimi vent’anni hanno adottato un Piano d’Azione Nazionale per attuare le misure previste dalla risoluzione ONU. Sembra che gran parte del continente africano abbia avuto finora poco interesse a farlo nonché scarsità di risorse.

Le donne però non hanno iniziato a partecipare solo ai processi decisionali riguardanti pace e sicurezza. Ci sono donne che sono scese sul campo di battaglia per difendere la libertà. È quello che è successo in Kurdistan, dove donne coraggiose hanno scelto di combattere l’ISIS. Sono state definite da molti “partigiane dell’umanità”.

Combattente curda, foto Flickr in Licenza Creative Commons

Le guerriere curde hanno fronteggiato l’ISIS, proteggendo in qualche modo l’Europa, e hanno anche contrastato l’esercito turco quando quest’ultimo ha invaso il Rojava. Queste combattenti sono diventate simbolo di resistenza, di lotta per la libertà e di difesa dei diritti delle donne.

Antonella Di Matteo

Attivista per i diritti umani, Youth Worker, appassionata di Africa e migrazioni. Laureata alla magistrale in Diritti Umani e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia. Si occupa di europrogettazione. Volontaria per SCI Catalunya grazie al programma degli European Solidarity Corps.

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