Blockchain in Africa, tra criptovalute, diritti di proprietà, elezioni

Alioune Badiara Thiam, in arte Akon, è un cantante e produttore discografico statunitense di origine senegalese. Il suo nome, però, nell’ultimo periodo risulta legato ad una questione ben diversa dalla musica. Infatti, è l’ideatore e promotore della prima “crypto city” africana: Akon City. Un progetto da sei miliardi di dollari di cui si parla da più di due anni e di cui ha posto la prima pietra il 31 agosto scorso.

Akon City sorgerà nei pressi dell’aeroporto di Dakar. Il progetto prevede la costruzione – da completarsi in dieci anni – di una città futuristica su un’area di circa 500 ettari con zone agricole, un porto turistico per navi da crociera e edifici dal design moderno. Ma la novità più rilevante è certamente l’utilizzo, all’interno della città, di una valuta basata su tecnologia blockchain: l’Akoin. Essa sarà utilizzata per qualsiasi transazione, dal comprare i biglietti per i trasporti al pagare le tasse, dai dazi di importazione allo shopping.

Il cantante statunitense di origine senegalese Akon. Foto di Web Summit su Flickr in licenza Creative Commons

La blockchain, letteralmente “catena di blocchi”, consente di gestire informazioni in maniera sicura e affidabile, senza il bisogno di un controllo centralizzato. Decentralizzazione e disintermediazione fanno quindi sì che, per valute e transazioni basate su questa tecnologia, non sia necessaria la mediazione di banche e operatori finanziari. Bitcoin, creata nel 2009, è la criptovaluta più famosa e diffusa, ma l’interesse verso questa tecnologia è crescente. Jon Karas, cofondatore di Akoin, ha infatti dichiarato:

(…) gli strumenti e i servizi blockchain saranno tra gli elementi fondamentali alla base della crescita dell’Africa nei prossimi decenni. Le cose a cui la gente può accedere attraverso questa tecnologia hanno la capacità di attuare un cambiamento permanente e monumentale.

Nel continente africano, il panorama degli utilizzi di questa tecnologia è variegato, e non riguarda solo le criptovalute. In Sierra Leone, ad esempio, si sono svolte nel 2018 le prime elezioni al mondo con un sistema basato su blockchain. La società svizzera Agora ha sviluppato una piattaforma di voto in grado di garantire maggiore trasparenza e ridurre la possibilità di brogli e frodi elettorali. A riguardo, il direttore operativo di Agora, Jaron Lukasiewicz, ha affermato:

(…) un Paese come la Sierra Leone può minimizzare le conseguenze di elezioni controverse utilizzando software come questo.

In Ghana, pur essendo vietate le criptovalute in quanto non ancora approvate, le blockchain si stanno rivelando capaci di un’applicazione di grande utilità sociale. Nel Paese, un complicato sistema misto di diritto fondiario e l’80% dei piccoli proprietari terrieri non dispongono ancora di documenti e titoli scritti di proprietà delle loro terre, aprendo la strada ad abusi e land grabbing. Una startup locale, Bitland, basata su blockchain, mira a mappare l’intero territorio nazionale e registrare tutti i titoli di proprietà “tradizionale” dei fondi, favorendo quindi il loro riconoscimento.

Contadino in Ghana. Foto di Kofi Acquah su Flickr in licenza Creative Commons

Spostandoci in Africa orientale, il Kenya’s Young Enterprenours Network ha sviluppato una nuova criptovaluta, lo YENTS, il cui lancio è previsto per questo mese, novembre 2020. Essa sarà legata allo scellino kenyota. I suoi creatori sottolineano l’importanza dello YENTS per lo sviluppo delle innovazioni nel mercato economico locale. L’idea di estendere il suo utilizzo anche in altri Paesi è tuttavia problematico, viste le restrizioni previste dalle leggi di molte Nazioni del continente.

Il maggiore ostacolo, infatti, restano le normative nazionali per nulla armonizzate sulla questione. Come illustra un recente rapporto, l’atteggiamento dei vari Paesi africani nei confronti della tecnologia blockchain è assai diverso. In Marocco, Algeria, Libia, Zambia, Zimbabwe e Namibia le criptovalute sono vietate. Mentre molti altri Stati si mostrano abbastanza indifferenti sia nei confronti della blockchain che delle criptovalute.

Oltre ai già citati esempi di Senegal e Sierra Leone, le blockchain trovano una normativa favorevole in Sudafrica e in Tunisia, dove la valuta nazionale viene operata anche su blockchain tramite l’eDinar, gestito dalle Poste tunisine. Inoltre, il progetto della Tunisia Economic City prevede, similmente ad Akon City, l’adozione di valuta blockchain all’interno della città.

Il panorama degli utilizzi delle blockchain e degli orientamenti dei legislatori africani nei loro confronti è dunque molto variegato. Ma per poter sviluppare al massimo il proprio potenziale è necessario che si giunga a un approccio più coordinato da parte delle normative nazionali del Continente.

Umberto De Magistris

Laureato in Giurisprudenza a Genova, cultore della materia in diritto comparato, si occupa in particolare della storia dei sistemi giuridici in Africa subsahariana. Ha lavorato in un centro d'accoglienza per richiedenti asilo e, dopo esperienze di ricerca in Sud America e Kazakistan, collabora a progetti di cooperazione allo sviluppo in Africa Occidentale.

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