L’identità in 60”, l’Altro si racconta sui social e sbaraglia i tabù
Identità, religione e appartenenza culturale. Se non avete mai visto un TikTok in cui vengono affrontati questi tre temi dovreste chiedervi cosa ci sia di sbagliato nel vostro algoritmo. Sono sempre di più gli account di giovani e giovanissimi che raccontano la loro vita in video da 60 secondi, introducendo la loro quotidianità a chi, curioso, fa domande e vuole conoscere. Il risultato è un’enciclopedia dei nuovi italiani, i ragazzi delle seconde e terze generazioni.
Così i social media permettono il dialogo, ne amplificano la portata, educano alla diversità e al rispetto dell’Altro. È il caso di Shaimé e Tasnim, le due ragazze dietro agli account TikTok @WithShay e @Alitasnim, dove ogni giorno vengono date risposte a domande sulla religione, sul velo e tutto ciò che è poco conosciuto dell’Islam, non solo per la Generazione Z.
Con rispettivamente più di 182K e 188K followers, le due ragazze si presentano come il volto dei giovani musulmani italiani e se ne fanno portavoce. A chi le critica perché indossano il velo rispondono con ironia e creano aggregazione intorno a situazioni comuni originate da pregiudizi e poca conoscenza.
Fin dall’inizio, sia Shaimé sia Tasnim, tra un trend e l’altro, hanno sempre indossato il velo nei loro video: con l’aumentare dei followers, sono aumentate sempre più anche le domande, fino a quando entrambe le ragazze hanno deciso di iniziare a chiarire i dubbi di chi, più o meno per caso, trova i loro video tra quelli suggeriti nei Per te. Una per una, le domande trovano risposte e i tabù cadono.
Ma le curiosità non si fermano al velo e vanno oltre, legandosi alle notizie di cronaca. Un esempio è uno degli ultimi video di risposta di Tasnim. Alla ragazza viene chiesto di esprimere la propria opinione sulla comunità LGBTIQ+, spiegandone anche il punto di vista dell’Islam. In poche e semplici parole e poco meno di 60 secondi, Tasnim dà una risposta dettagliata, descrivendo ciò che è scritto nel Corano e fornendo la sua opinione. Con la genuinità di una ragazza poco più che ventenne e senza barriere, conclude il suo video con un: “Per quanto riguarda me, cosa devo pensare? Ho amiche lesbiche e amici gay. Anche loro potrebbero giudicarmi per il velo, ma non avrebbe proprio senso”.
Bastano una fotografia o un video e poche parole a rendere tangibile ciò che Stuart Hall (1932-2014) ha teorizzato con i suoi studi sull’identità culturale. L’identità culturale è infatti un processo, una creazione, un continuo cambiamento. Non si tratta di entità eterne e unificate, ma sono anzi appartenenze che seguono lo spirito del tempo e, per questo, sono continuamente in evoluzione. È possibile quindi dividere le identità culturali in un sistema binario “loro/noi”, “passato/presente”? Seconde e terze generazioni lo stanno spiegando a suon di post sui social media: no, non è possibile.
Le parole dello studioso trovano verità in un post su Instagram di Mariam, sorella minore di Tasnim. In poche righe e con un video ironico, la ragazza spiega quanto sia per lei naturale da sempre sentirsi italiana. Riferendosi anche alle sue sorelle, tutte nate in Italia e di origini egiziane, scrive che essere italiane va ben oltre passare da un passaporto verde a uno rosso, ma che significa sognare, leggere, scrivere e pensare in italiano, essere cresciuti nel Belpaese e sentire propria la cultura italiana.
L’identità non si ferma all’appartenenza culturale e va ben oltre, fino all’identità religiosa. Un esempio è Aisha Romano, rientrata in Italia a maggio dopo 18 mesi di prigionia tra gli estremisti somali. Tornata nel suo Paese, la ragazza si presenta alle scalette dell’aereo con il capo coperto dal velo. Un’immagine che è entrata nelle case dei suoi concittadini, dando fin da subito avvio a ipotesi e teorie sulla conversione della giovane cooperante, arrivando fino a condannare e discriminare la ragazza. Da qui la decisione di Aisha di partecipare al progetto del programma europeo “YES” per contrastare l’odio nei confronti dei musulmani e la discriminazione religiosa, diventando ponte e dialogo per costruire le basi per una maggiore comprensione e consapevolezza.
È importante tuttavia sottolineare che, seppur si tratti di un linguaggio fresco e aperto al dialogo, comunicare attraverso i social media ha dei limiti. Nonostante i video e le fotografie siano da inserire all’interno del contesto più ampio del profilo, è inevitabile sollevare punti critici. Viene quindi da chiedersi se un prodotto digitale di pochi secondi o qualche riga possa realmente descrivere realtà molto complesse. Il rischio è quello di condurre un’analisi superficiale, che non raggiunga il cuore delle questioni.
Identità, religione e cultura si incontrano nelle nuove generazioni e si raccontano, in ogni caso, con inediti linguaggi dovuti ai social network. Nonostante i limiti che questo tipo di comunicazione può comportare, a rafforzarsi è il dialogo. È così che si crea una maggiore consapevolezza dell’Altro: le parole delle nuove generazioni, a modo loro.