Senegal, l’esperimento dei 4 Comuni dove tutti erano francesi

Il Senegal è stato il trampolino da cui è partita l’avventura coloniale francese nell’Africa sub-sahariana. La presenza dei francesi in Africa Occidentale ebbe inizio nel 1659, quando si stabilirono a Saint Louis. I portoghesi arrivarono nel territorio dell’odierno Senegal nel XVI secolo e iniziarono la tratta degli schiavi. Successivamente inglesi e francesi si disputarono il Senegal (Saint-Louis e Dakar), finché non venne assegnato in via definitiva alla Francia nel 1814.

Nelle colonie africane, l’amministrazione francese decise di applicare la politica dell'”assimilation. Essa mirava ad estendere e diffondere la cultura francese tra gli abitanti delle colonie, al fine di renderli gradualmente cittadini francesi a tutti gli effetti e cancellando al tempo stesso storia e culture locali. Nei libri di scuola del Senegal e della Costa d’Avorio gli studenti leggevano “i nostri antenati, i Galli“, come ricorda Jacques Binet in un articolo sull’insegnamento della storia nelle colonie africane.

I progetti degli amministratori francesi, tuttavia, dovettero scontrarsi con una realtà sociale e culturale estremamente più complessa del quadro semplicistico e tribale dipinto dai primi etnografi ed etnologi (spesso al servizio della missione coloniale) e le cose andarono diversamente da quanto previsto.

Pianta di Dakar del 1888. Immagine in licenza Creative Commons

Verso la fine del XIX secolo, il Senegal divenne teatro di un esperimento rimasto unico, ovvero quello dei Quattro Comuni. Saint Louis, Dakar, Rufisque e Gorée diventarono comuni francesi a tutti gli effetti, e i loro abitanti, i cosiddetti “originaires“, ottennero la cittadinanza francese. I risultati, tuttavia, saranno diversi da quanto auspicato dai francesi per una serie di ragioni, legate anche alla cultura giuridica, che si rivelò un’arma a doppio taglio.

Il diritto fu infatti una delle armi al servizio dei funzionari coloniali. Terminata la conquista territoriale, la presenza francese passò dal fondarsi sulla forza ad un fondamento giuridico e il sistema giudiziario divenne uno strumento di politica coloniale. Ben consci di non poter imporre da un giorno all’altro un sistema giuridico europeo, i francesi applicarono il doppio binario giuridico, mantenendo quindi le “giurisdizioni indigene” presenti.

Con il decreto del 10 novembre 1903 iniziò una riorganizzazione generale del sistema giudiziario in Africa Occidentale Francese, dove vennero istituite numerose giurisdizioni indigene: tribunali di villaggio presieduti dagli chefs de village, tribunali di provincia, composti da uno chef de province assistito da due assesseurs indigenes, e una chambre d’homologation.

Questo sistema giocava però a favore dell’interesse coloniale. Il capovillaggio veniva designato dall’amministrazione coloniale e, a livello di provincia e nella chambre, il ruolo di giudice veniva svolto dai magistrati, assistiti da assesseurs indigénes o assesseurs coutumiers con semplice funzione consultiva. La chambre fungeva da Corte d’Appello per i tribunali indigeni, era competente in materia penale per i delitti gravi, controllava la corretta applicazione del diritto indigeno (potendo essere adita dai giudici in qualsiasi momento) e verificava che tutte le sentenze non fossero contrarie ai “principi della civilizzazione francese“. Tale decreto ufficializzò inoltre la divisione tra gli abitanti delle colonie: da una parte i citoyens francais, soggetti al Code Civil e ai tribunali francesi, dall’altra, i sujets soggetti al loro diritto indigeno.

In questo contesto di diversità di status giuridici personali si inserisce la vicenda dei Quattro Comuni e la causa del fallimento delle politiche di assimilazione: l’Islam. Già dall’undicesimo secolo, infatti, sovrani di vari regni e imperi dell’Africa Occidentale abbracciano l’Islam e iniziano a diffonderlo. Tuttavia, a partire all’incirca dal XIV secolo, un nuovo tipo di Islam inizia a diffondersi nella zona: quello delle confraternite sufi, che proprio in Senegal avranno (e hanno tuttora) il loro massimo sviluppo.

Mappa di Senegal, Gambia e Madagascar. Immagine in licenza Creative Commons

La vicenda dei Quattro Comuni affonda le radici nella Rivoluzione del 1848. La Seconda Repubblica Francese decise di concedere alle colonie di eleggere un rappresentante all’Assemblea Nazionale, e le elezioni che si tennero a Saint Louis e Gorée furono la prima volta in cui il popolo di una colonia venne coinvolto attivamente in un’attività politica.

Cavalcando quest’onda, nel 1872 un decreto dichiarò Saint Louis e Gorée “communes de plain exercise”, raggiunti da Rufisque nel 1880 e Dakar nel 1887. I loro abitanti, detti originaires, ottennero la cittadinanza francese. Questo, però, implicava anche l’applicazione nei confronti degli originaires del Codice Civile francese, ed è qui che iniziarono i “problemi”. Gli originaires, infatti, erano di fede musulmana e chiedevano che ai Quattro Comuni venisse applicato il modello algerino dove, per quanto riguardava il diritto civile, la popolazione rimaneva soggetta al diritto islamico.

Iniziò così un lungo braccio di ferro tra originaires e amministrazione coloniale, la quale seguì politiche altalenanti per quanto riguarda la “questione islamica”. In alcuni momenti facendo concessioni (già nel 1857 Faidherbe istituì a Saint Louis un tribunale islamico) per il timore di inimicarsi la popolazione e creare sempre di più uno “Stato nello Stato”, in altri ribadendo l’applicazione del Codice Civile e cercando di controllare la diffusione dell’Islam al fine di sedare preventivamente possibili rivolte.

Quello che è certo è che queste vicende ci regalano un’immagine di una società inedita. Gli originaires non si riconoscevano pienamente nella cultura della tradizione locale e abbracciavano un Islam diverso da quello delle logiche rurali delle confraternite delle campagne, con un particolare senso della monumentalità delle moschee nei contesti urbani.

Tuttavia, non si piegarono mai all’assimilazione culturale imposta dal riconoscimento dei Quattro Comuni. Il Codice Civile venne fortemente osteggiato, il Wolof venne sempre più utilizzato come lingua al posto del francese. In questo paradosso, il progetto di globalizzazione e assimilazione ebbe come risultato quello di creare una nuova, vibrante e vitale società inedita, pluralista, con un forte desiderio di partecipare alle vicende del mondo secondo i propri schemi.

Umberto De Magistris

Laureato in Giurisprudenza a Genova, cultore della materia in diritto comparato, si occupa in particolare della storia dei sistemi giuridici in Africa subsahariana. Ha lavorato in un centro d'accoglienza per richiedenti asilo e, dopo esperienze di ricerca in Sud America e Kazakistan, collabora a progetti di cooperazione allo sviluppo in Africa Occidentale.

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