[Agenda 25 giugno – 8 luglio 2020. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]
Diritti umani – Numero record di Stati che impiegano bambini soldato
Gli Stati Uniti aggiungono Camerun, Libia e Nigeria nella blacklist dei Paesi dove i minori vengono reclutati come combattenti, portando così il numero dei Governi coinvolti da 11 a 14. Il dato emerge dal report annuale “2020 Trafficking in Person” (p. 34), pubblicato dal Dipartimento di Stato USA il 25 giugno. Secondo il documento, l’utilizzo diretto di bambini soldato è da attribuire in particolare ai gruppi armati irregolari operanti in diversi contesti conflittuali dell’Africa e del Medioriente. In questi casi, la responsabilità delle istituzioni statali risiede nel fatto di non fare abbastanza per arginare il fenomeno. C’è poi da considerare che in alcuni Stati sono proprio le forze governative ad arruolare e sfruttare i bambini nell’ambito di operazioni militari. È quel che accade – rileva il report – in Afghanistan, Yemen, Iraq e Siria. L’inserimento nella blacklist comporta una serie di limitazioni all’assistenza fornita dagli USA in materia di sicurezza. La Casa Bianca può però decidere una deroga alle restrizioni. Non a caso, lo scorso anno, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Mali e Somalia hanno comunque ricevuto 17 milioni di dollari in addestramento ed equipaggiamenti militari.
Ambiente – Registrato picco di radiazioni nella Regione baltica
La CTBTO (Organizzazione globale del trattato sul divieto dei test nucleari) ha rilevato livelli inconsueti di radioattività in un’ampia area dell’Europa nord-orientale. Il 26 giugno, Lassina Zerbo, Segretario Generale dell’Organizzazione, ha pubblicato su Twitter una mappa che mostra i Paesi coinvolti dalla presenza di isotopi radioattivi di origine artificiale. Tra questi figurano l’Estonia, la Lettonia e la Russia. I valori registrati non risulterebbero pericolosi per la salute umana o l’ambiente. L’origine dell’impennata resta però ancora un mistero, nonostante i protocolli internazionali vincolino gli Stati a segnalare eventuali anomalie. Si sospetta il malfunzionamento di una centrale nucleare russa. L’Istituto Nazionale olandese per la Sanità Pubblica e l’Ambiente ha dichiarato, infatti, che in base ai suoi calcoli “i radionuclidi provengono dalla Russia occidentale“. Mosca smentisce, facendo sapere che i due impianti presenti nella zona interessata (Leningrado e Kola) stanno funzionando in regime normale. Tuttavia, la Russia più volte ha negato incidenti radioattivi. Intanto, l’Arpa Lombardia ha reso noto che dai controlli effettuati in Italia dopo il picco “non risulta al momento alcun valore anomalo” nell’aria.
Giustizia sociale – Covid-19 e insicurezza alimentare. Il triste divario tra ricchi e poveri
Il 29 giugno, il World Food Programme (WFP) ha annunciato l’avvio di un piano massivo per fronteggiare la nuova ondata di fame generata nel mondo dal coronavirus. Al contempo, ha lanciato un appello per ottenere fondi. Nei prossimi sei mesi servono, infatti, quasi 5 miliardi di dollari per poter sostenere 83 Paesi a medio e basso reddito, dove gli effetti socio-economici della pandemia stanno diventando sempre più devastanti. Ben 138 milioni di persone – contro i 97 milioni dello scorso anno – si trovano in condizioni di grave insicurezza alimentare. Una cifra destinata a crescere entro la fine del 2020. In America Latina, per esempio, la crisi sanitaria ha fatto triplicare il numero di individui che necessitano di assistenza alimentare dopo aver perso il proprio posto di lavoro. “La battaglia contro il coronavirus – ha dichiarato David Beasley, Direttore del WFP – si sta spostando dal mondo ricco a quello povero”. Pertanto, “fino a quando non esisterà un vaccino, il cibo è il miglior antidoto per evitare il caos“. Se aumenta la fame, “potrebbero amplificarsi – ha concluso – disordini sociali, proteste, migrazioni e conflitti”.
Politica internazionale – Solidarietà dall’America latina per la causa palestinese
In una dichiarazione congiunta, rilasciata il 2 luglio, 320 personalità di spicco del mondo accademico, istituzionale e politico latinoamericano hanno condannato il piano di annessione israeliano della Cisgiordania, invitando la comunità internazionale ad adottare efficaci contromisure nei confronti di Israele.”Supportiamo le richieste del popolo palestinese – si legge nella nota – di interrompere i rapporti commerciali e la cooperazione militare” con il Paese mediorientale. Sarebbe, inoltre, opportuno “revocare gli accordi di libero scambio; vietare il commercio con gli insediamenti illegali e perseguire tutti gli attori complici di tale regime di occupazione“. Tra i firmatari della lettera: il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel (Argentina), gli ex presidenti Lula da Silva, Dilma Rousseff (Brasile), Pepe Mujica (Uruguay), Fernando Lugo (Paraguay), Ernesto Samper (Colombia). L’ex ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, ha precisato: “l’annessione del territorio palestinese non costituisce solo una violazione del diritto internazionale e una minaccia alla pace. Ma altresì un’aggressione verso tutti gli uomini e le donne che hanno combattuto contro il colonialismo e l’apartheid“.
Africa – Mali, si apre il dialogo tra istituzioni e movimento di protesta
Il 5 luglio, il presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita, ha incontrato Mahmoud Dicko – leader del “Movimento 5 giugno” – per discutere della crisi economica e politica nonché del deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese. Al termine della riunione, sulla pagina Facebook dell’imam Dicko, è stato pubblicato un comunicato per invitare i cittadini a partecipare alla grande mobilitazione del 10 luglio, dal momento che “Keita continua a fare orecchie da mercante rispetto ai problemi del popolo maliano”. Le proteste sono iniziate ai primi di giugno, dopo che i risultati delle elezioni parlamentari – tenutesi nei due turni del 29 marzo e del 19 aprile – hanno attribuito la vittoria all’RpM (Raggruppamento per il Mali), partito legato al presidente. Entrambe le tornate sono state caratterizzate da insicurezza, rapimenti e aggressioni indiscriminate nei confronti dei votanti. Nonostante il dispiegamento di 1600 osservatori indipendenti, i seggi elettorali sono stati teatro di saccheggi e minacce di morte. Sono inoltre cresciuti gli attacchi dei gruppi armati e le violenze interetniche. Mentre, l’economia è andata sempre più peggiorando per la mancanza di riforme, di finanziamenti per i servizi pubblici e per il dilagare della corruzione.