“Il disegno che stai vedendo spiega tante cose su di me” – Buba Sima, rifugiato.
Per anni siamo stati bombardati dalle immagini degli sbarchi di migranti sulle coste italiane. Sulla responsabilità politica ed etica del giornalismo nel produrre timore e confusione si potrebbe redigere un trattato ma qui è bene glissare.
Il fatto è che i mass media tendono a non raccontare quelle esperienze virtuose, che pur esistono in Italia, ma restano sconosciute, mi riferisco ai programmi della cosiddetta “seconda accoglienza”.
Per seconda accoglienza si intende un programma di inserimento sociale e di integrazione riservato a coloro che vengono dichiarati rifugiati (titolari di asilo o protezione sussidiaria) cioè coloro che l’Italia ha già riconosciuto come persone “meritevoli” di protezione da parte dello Stato italiano.
A queste persone è dunque consentito l’accesso al sistema SPRAR il cui nome è stato modificato dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che intendeva abolirlo salvo poi accorgersi della sua natura virtuosa.
Così il decreto sicurezza si è limitato a cambiargli il nome, appunto da “SPRAR” (Sistema per richiedenti asilo e rifugiati) a “SIPROIMI” (Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati). Sostanzialmente lo SPRAR ha mantenuto la sua funzionalità e solidità; l’unico nefasto cambiamento del decreto degno di nota è che i titolari di protezione umanitaria – e altre forme di tutela – non possano più accedere a tali programmi di integrazione provocando non pochi problemi alle persone interessate nonché alle Prefetture.
In generale, la permanenza nello SPRAR per un rifugiato è fissata nel limite massimo di 1 anno. Durante questo anno la persona accolta deve realizzare, con l’aiuto degli operatori, un progetto individuale con l’obbiettivo della riconquista di un’autonomia da parte della persona stessa.
Sì, è possibile che un giovane ragazzo rifugiato benefici del sistema SPRAR a tal punto da integrarsi nella società, ovviamente non è sempre scontato. Il buon risultato è garantito dalla collaborazione dell’ospite, da operatori qualificati, strutture idonee, un programma ben definito e, non ultimo, la capacità di saper spendere le risorse economiche in maniera ragionata ed efficiente.
In qualche caso si può raggiungere l’eccellenza come è stato per la storia di Edil, proveniente dall’Africa occidentale, ospite di un centro SPRAR che ha intrapreso il percorso di riconoscimento del titolo di studio conseguito all’estero (laurea breve) e, in seguito, si è iscritto a un corso di laurea magistrale dell’Università La Sapienza di Roma che tutt’ora frequenta.
I numeri in Italia. Sono gli enti locali, i Comuni a decidere di aprire uno SPRAR nel proprio territorio di competenza bandendo una gara che sarà affidata a un ente auspicabilmente esperto detto “attuatore”. Nel 2019 i Comuni coinvolti sono stati 1.800 e risultano finanziati 844 progetti, affidati a 746 enti locali titolari di progetto. In totale i posti finanziati sono stati 33.625 (28.686 ordinari, 4.255 per minori non accompagnati, 684 per persone con disagio mentale o disabilità). I dati riportati sono reperibili nella tabella presente sul sito ufficiale della rete SPRAR/SIPROIMI.
La rete SPRAR/SIPROIMI è coordinata dal Servizio Centrale del ministero dell’Interno. I principali strumenti per l’integrazione sono l’insegnamento della lingua italiana nonché la possibilità di accedere a corsi di formazione professionali, l’orientamento e la collaborazione continua con i servizi esistenti del territorio.
Lo SPRAR prende, lo SPRAR da: attraverso il sostegno di borse lavoro è possibile inserire i beneficiari del programma SPRAR in aziende grandi o piccole tramite l’attivazione di tirocini formativi che possono risolversi in contratti di lavoro con le aziende stesse. È importante ragionare sulla formazione e le capacità della persona e sulle esigenze dell’azienda per raggiungere un buon risultato.
Se la persona sottoscrive un contratto di lavoro, potrà accedere a un altro livello di benefici tra cui la possibilità di affittare una stanza e un appartamento i cui costi, per il primo periodo, possono essere sostenuti sempre dal sistema SPRAR. In caso contrario sarà elargito un minimo contributo detto, appunto, “una tantum” per poter affrontare le prime spese necessarie all’autonomia.
Molte grandi aziende sono state coinvolte dall’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) in un’opera di informazione e sensibilizzazione sulla popolazione rifugiata ma anche sulle opportunità offerte dagli organismi che se ne occupano: dalla mediazione, all’orientamento al lavoro, la risoluzione di conflitti e, si diceva, il sostegno alla formazione anche in azienda.
Non è tutto rosa e fiori: A volte le esperienze vissute nel Paese di origine, nelle carceri libiche, durante la traversata del Mediterraneo o persino in Italia sono causa di profondi disagi psicologico-esistenziali che possono sfociare in potenti sintomatologie in grado di pregiudicare l’effettiva progettualità messa in campo. In questi casi il supporto psicologico e psichiatrico è fondamentale e va messo in campo il prima possibile, ma non è scontato che la persona riconosca il valore di tale strumento o superi la vergogna dovuta alle lenti del pregiudizio con le quali ancora il mondo guarda alla “salute mentale“.
Non solo, i traumi possono acuire le difficoltà del percorso di integrazione: Issouf è maliano, ha 25 anni ed è praticamente analfabeta. Questo genera spesso difficoltà nelle comunicazioni, nella comprensione delle procedure da espletare. Spesso si generano conflitti culturali e generazionali che possono ostacolare la buona riuscita del progetto, ma una buona équipe, l’utilizzo di mediatori linguistico – culturali e l’alleanza con il sistema pubblico e privato dei servizi del territorio possono decisamente aiutare.
Certamente esistono territori ed esperienze più o meno virtuose: si sono verificati episodi di malagestione, il famoso sistema della cooperative – senza fare di tutta l’erba un fascio – ha portato il fenomeno sotto gli occhi di tutti. Inoltre molti enti del terzo settore hanno dovuto riconvertire i propri servizi per aggiudicarsi i bandi dell’accoglienza e restare a galla.
Questo è accaduto laddove c’erano poche esperienze di enti già specializzati in migrazione e protezione dei rifugiati in grado di concorrere contro alcune “cooperative colosso”, che possono offrire garanzie al finanziatore anche nell’anticipo di denaro ma non – ad esempio – la qualità del personale impiegato. Per fortuna – ci sentiamo di dire – che tali situazioni rappresentano una minoranza rispetto agli esempi positivi, casi che però rischiano di infangare quanto di buono esiste.
Ma lo SPRAR non è fatto solo di cooperative e operatori, è soprattutto abitato da quei rifugiati che vengono chiamati “utenti” o “beneficiari”.
Buba Sima è uno di questi, ospite a Roma nel progetto SPRAR “Roma città aperta”, ha vissuto quello che solo lui realmente conosce ma adesso è tutta progettualità e resilienza. Buba è un artista del Gambia, ha una formazione come tecnico informatico e è esperto in riparazioni. Sogna di realizzarsi in Italia e tra qualche mese inizierà un corso avanzato con la Fondazione Vodafone, seguirà un tirocinio. Speriamo davvero di ritrovarcelo dietro un bancone quando ci consiglierà quale modello di cellulare acquistare, forte di una dissertazione improvvisata sulla “convenienza qualità – prezzo”.
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