21 Novembre 2024

Come la pandemia ha cambiato la nostra percezione del tempo

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Felix Ringel pubblicato su The Conversation]

La pandemia di Covid-19 ha cambiato totalmente le nostre vite. Prendiamo ad esempio un aspetto fondamentale della quotidianità come la percezione dello spazio: la nostra mobilità è stata fortemente limitata, ridotta a fare passeggiate o jogging a pochi chilometri da casa. Ma il lockdown, anche se in maniera meno evidente, ha influenzato anche la nostra concezione temporale.

In qualità di antropologo del tempo, mi occupo di studiare come gli esseri umani si relazionano con esso, in particolar modo durante i periodi di crisi. Quella attuale legata al coronavirus, come molte altre, potrebbe essere analizzata in termini di privazione della nostra temporal agency, ovvero la capacità di strutturare, gestire e manipolare la percezione del tempo. Molti di noi, ad esempio, pare abbiano già perso questa abilità, tanto da chiedersi quale giorno della settimana sia. Sembra un po’ come se il tempo si fosse fermato.

La caratteristica più importante della nostra percezione temporale durante un momento di crisi è ciò che l’antropologa Jane Guyer ha definito presentismo forzato, ovvero la sensazione di essere bloccati nel presente unita all’incapacità di pianificare il futuro.

Al momento, non sappiamo quando potremo rivedere i nostri cari o quando riusciremo ad andare in vacanza. In termini più drastici, molti di noi non sanno neppure quando torneranno a lavorare o, a dirla tutta, se avranno ancora un’occupazione. Nel mezzo di questa crisi, è difficile immaginare un futuro diverso dal presente.

Ingannare il tempo

Quindi, come possiamo cavarcela? Ritengo che questa crisi ci abbia stimolati a essere più creativi nell’organizzazione temporale. In un certo senso, molti di noi stanno perfino “ingannando il tempo“, come abbiamo sostenuto io e Roxana Moroşanu in uno studio pubblicato di recente. Il tempo lo acceleriamo e lo rallentiamo, lo sottomettiamo ai nostri interessi e lo riorganizziamo in diversi modi.

Il tempo del coronavirus, in realtà, può comprendere diverse fasi, quali ″il tempo del lockdown″, ″il tempo della quarantena″ o ″il tempo del telelavoro″. Ecco le nuove realtà che abbiamo imparato a vivere. Le lezioni che ne abbiamo tratto sono profondamente personali e differiscono in ogni famiglia. Eppure, raccontano tutte di un’esperienza condivisa in tutto il mondo.

Didattica a distanza. Flickr/Michael Saffle in licenza CC
Didattica a distanza. Flickr/Michael Saffle in licenza CC

Negli ultimi mesi, avremo di certo messo in atto da soli molte strategie temporali. Queste possono includere la costruzione di nuovi ritmi e di nuove strutture temporali. Esercizi giornalieri, riunioni settimanali di famiglia su Zoom, il bicchiere di vino delle sei o la torta del week end sono tutte azioni che segnano il passare del tempo. E ancora la didattica a distanza che ha richiesto nuovi orari, per non parlare delle continue sollecitazioni.

L’orologio del capitalismo

Per molti questa sensazione di essere bloccati non è nuova. Coloro che non riescono a stare al passo dei flussi globali, sempre più rapidi, di denaro, idee, merci e persone spesso si sentono lasciati indietro. I critici del capitalismo hanno dunque sostenuto che abbiamo bisogno di rallentare il tempo.

Nella mia opera sulle città post-industriali, ho esaminato le nostre relazioni con il futuro durante i periodi di crisi economica. Tali crisi sono parte integrante del capitalismo, come aveva affermato Marx più di 150 anni fa. Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale, il sistema del Welfare State le ha ampiamente tenute a bada.

Ma le riforme neoliberiste del capitalismo degli anni Ottanta hanno portato allo smantellamento dello stato sociale. I Governi nazionali hanno smesso di sostenere i piani economici quinquennali. La produzione Just-in-Time e l’avvento di nuovi sviluppi tecnologici, come Internet, hanno condotto verso un’accelerazione del tempo senza precedenti.

A livello temporale, il neoliberalismo ha messo in crisi l’umanità già da diversi decenni. Senza una sicurezza occupazionale e con i mercati in continua evoluzione, molti di noi si sforzano di pianificare il futuro, ma restano intrappolati nel presente. Il modo per vincere questo immobilismo è di ″caversela alla meno peggio″ o come dicono più eroicamente gli inglesi ″mantieni la calma e vai avanti″.

Molte città post-industriali, come quelle in Galles e nell’Inghilterra Nord-orientale, non hanno più la capacità di pianificare prospettive collettive. Dopo anni di boom industriale e di alti tassi di occupazione, ora molti abitanti sentono che le loro città sono “prive di futuro.

Lo smantellamento delle industrie locali, come quella mineraria, ha aumentato la disoccupazione e generato livelli inaspettati di migrazione da quelle zone. I giovani e le persone istruite si trasferiscono in cerca di lavoro, mentre coloro che restano assistono al lento declino della loro città.

Per superare la mancanza di lungimiranza e la condizione di presentismo forzato, le amministrazioni locali hanno dovuto recuperare la pianificazione del futuro anziché limitarsi a reagire agli eventi. Nonostante il continuo declino, i cittadini hanno dovuto chiedersi: come vogliamo che sia la nostra città tra cinque anni?

Riprendersi il futuro

Questa domanda è valida anche per la situazione attuale. Ora è il momento di pensare a come sarà la vita nel futuro post Covid-19. Dobbiamo “ingannare il tempo” più di quanto si faccia nei nostri contesti familiari.

Visto che un vaccino o una cura davvero adeguata contro il Covid-19 non sono ancora pronte, dobbiamo cercare di toglierci dalla testa la sensazione di essere intrappolati nel presente. Abbiamo bisogno di entrare in contatto con le emergenti politiche che riguardano il tempo, le quali determineranno il nostro futuro prossimo.

Presto, per esempio, assisteremo a diversi tentativi, tutti da valutare con attenzione, di dichiarare finita la pandemia, basandoci su differenti elementi, quali il numero basso di nuove infezioni.

Al termine di questa crisi dovremo, inoltre, porci domande più importanti:  come risolvere l’attuale emergenza climatica? O ancora, in che modo impedire l’insorgenza di disuguaglianze sociali in un periodo di recessione economica imprevista? Come possiamo evitare l’arrivo di un’altra pandemia? Anche la “politica del tempo” giocherà un ruolo fondamentale in retrospettiva: i Governi hanno agito tempestivamente?

Visto che la crisi causata dal coronavirus ci ha permesso di vivere un’esperienza temporale molto diversa, sarà interessante capire se gli aspetti di questa nuova normalità, quali il telelavoro o il fenomeno della mobilità ridotta, resteranno anche in futuro.

Anche se questa situazione rappresenta soltanto una pausa involontaria dai tempi capitalistici, dovremmo riconsiderare i regimi temporali di crescita, declino e accelerazione caratteristici del periodo neoliberista e responsabili di aver plasmato la vita sulla Terra.

L’esperienza del coronavirus ci ha insegnato un nuovo concetto di temporalità e di flessibilità. L’umanità riuscirà a superare questa crisi, ma ce ne saranno altre. Forse allora, sarà confortante sapere che possiamo e dobbiamo “ingannare il tempo” e pianificare il futuro, anche quando ci sentiamo intrappolati nel presente.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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