[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Tina Magazzini, Tariq Modo, Anna Triandafyllidou, Thomas Sealy pubblicato su OpenDemocracy]
Uno scenario paradossale va rapidamente prendendo piede in Europa: le chiese appaiono sempre più vuote a seguito di un crescente disinteresse nei confronti della religione, ma si assiste nel contempo a un’irruzione impetuosa di quest’ultima nei media, nella politica e nella vita di ogni giorno, sotto forma di denigrazione delle minoranze religiose, quella islamica in particolare.
Sono due i fattori che si troverebbero alla base del paradosso. In primo luogo, c’è l’affievolirsi negli europei del sentire la religione come principio fondamentale di identità, contrariamente a quanto accade per le minoranze, e soprattutto per la comunità islamica.
In relazione a ciò, si assiste a una crescente islamofobia che prende di mira i musulmani, sospettati di non essere “cittadini leali”, ma di far parte delle correnti più estremiste e conservatrici. E poi, il paradosso è radicato nella convinzione sempre più condivisa in Europa che la religione non dovrebbe far parte della sfera pubblica.
Nell’ambito del progetto GREASE, finanziato dall’UE, abbiamo analizzato i modi in cui la religione viene gestita nei vari Paesi. Abbiamo così scoperto che oggi in Europa esiste una quantità sconcertante di modelli Chiesa-Stato, oltre che di sistemi politici, legali e istituzionali per la gestione della diversità religiosa.
Questa realtà così molteplice rende estremamente difficili, se non inutili, i tentativi di parlare di un approccio condiviso per la governance delle diversità religiose. Detto questo, non mancano le similitudini.
Comuni a tutti gli Stati europei sono, ad esempio, l’autonomia politica e la salvaguardia delle libertà religiose fondamentali, ma anche la presenza di forme di collegamento tra Stato e religione, nonché il favorire, con diverse modalità, alcune tradizioni religiose.
Queste connessioni si manifestano a livello simbolico, nel caso, per esempio, di Paesi che hanno una o più “Chiese nazionali”, o attraverso tipi di accordi istituzionali che favoriscono maggiormente alcune confessioni invece di altre.
La tendenza verso la secolarizzazione politica e istituzionale, che da tempo accompagna il progressivo indebolirsi del cristianesimo, è palese in tutta Europa, anche se in forme marcatamente diverse, e non dà segni di inversione di tendenza. Continuano a verificarsi, per esempio, la frattura o l’allentamento dei legami tra Chiesa e Stato e in partiti politici come i cristiani democratici sbiadisce o scompare la dimensione confessionale, sia alla base che nei consensi. Allo stesso tempo, aumenta la vicinanza allo Stato di alcune Chiese ortodosse.
Sono sempre di più coloro che guardano con soddisfazione il proprio Paese e l’Europa come realtà post-cristiane. Tuttavia, a modo proprio e da punti di partenza diversi, gli Stati europei si trovano ad affrontare lo stesso quesito: come adattare le attuali relazioni tra Stato e Chiesa e le norme del secolarismo a una diversità extra-cristiana mai vista prima nel Continente?
Le politiche relative all’identità musulmana sono diventate motivo di particolare preoccupazione per gli Stati europei con comunità islamiche numerose. Sono due i “momenti politici” che hanno svolto un ruolo chiave in tale ambito, dando un contributo a definire la governance di questa religione: il primo è stato il 1989, l’anno della questione Rushdie in Gran Bretagna, e dell’affaire du foulard islamico in Francia. Tali eventi hanno segnato una svolta per la presenza della religione nella sfera pubblica.
Il secondo è la “guerra al terrore”, che per certi aspetti è ancora in corso, ma che è iniziata con gli attentati dell’11 settembre. Gruppi e controversie che un tempo venivano descritti in termini di razza o di “estraneità”, ora vengono ridefiniti nel significato religioso. E così la sistemazione della comunità islamica nella società è diventata la questione principale del multiculturalismo e della diversità religiosa, acquistando anche una connotazione politica.
Le risposte alle richieste di riconoscimento delle nuove comunità religiose e delle loro esigenze hanno acquistato una dimensione nazionale. Quasi tutti i Paesi dell’Ovest europeo hanno scelto di enfatizzare l’integrazione nazionale, promuovendo l’immagine di un “Islam nazionale”, di un “Islam francese” o di un “Islam tedesco”, invece che di un semplice “Islam in Francia” o ‘Islam in Germania”.
Va notato che, nei casi riguardanti la libertà religiosa, la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) di norma deferisce le interpretazioni ai singoli Paesi, usando il principio del “margine di discrezionalità”.
Tra gli esempi più significativi in tal senso si ricordano il caso in cui alla Francia viene contestato il cosiddetto divieto del burqa in nome della tutela dell’ordine pubblico (S.A.S contro Francia), e quello della controversia in Italia sulla presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche (Lautsi contro Italia), a cui lo Stato italiano ha risposto affermando che il crocifisso è un simbolo culturale, non tanto religioso. In entrambi i casi, la CEDU ha deliberato in favore dei rispettivi Governi, accogliendo le nozioni presentate da questi ultimi.
Questa stessa preoccupazione trova terreno anche nell’Europa dell’Est, sebbene i fattori in gioco siano diversi, considerati i differenti percorsi storici. Ad esempio, in parti dell’Europa ortodossa esistono popolazioni islamiche con radici antiche, come quelle in Russia, Bulgaria e Grecia, mentre in aree cattoliche e protestanti come Polonia e Lituania, anche se le comunità seguaci dell’Islam sono esigue, sussistono sentimenti anti-musulmani.
Tutti gli Stati europei quindi sono alla ricerca di un equilibrio tra forme di privilegio della maggioranza e le sfide sollevate dal nuovo e complesso pluralismo religioso.
A vent’anni dall’11 settembre e a più di trenta dall’affare Rushdie, l’Europa è ancora alle prese con forze e dilemmi contrastanti che si scontrano nell’ambito delle istituzioni pubbliche e delle identità nazionali, che possono essere così riassunte:
- Le Chiese cristiane sono ancora privilegiate, anche se in varie forme, e il cristianesimo – o il retaggio cristiano – pervade la maggioranza delle culture nazionali e sfere pubbliche;
- Molti Paesi sono caratterizzati da una pluralità di culto, con la religione islamica che occupa il secondo posto in termini di diffusione e con un cristianesimo in continuo declino anche a livello di identità personale;
- Il rapido processo di secolarizzazione non dà segnali di rallentamento a lungo termine, e alcuni Paesi hanno una maggioranza di individui che dichiarano di non avere alcuna identità religiosa.
In questo scenario, una delle domande chiave per il futuro è quali saranno le permutazioni, le alleanze e le dinamiche all’interno di questo triangolo. Verrà confermata ad esempio l’idea di Papa Giovanno Paolo II, secondo cui la distinzione principale è quella tra le religioni – principalmente quelle abramitiche – e i non religiosi?
Oppure prevarrà il pensiero di Papa Benedetto, che riconosce lo stesso concetto di ragione sia nel cristianesimo che nella tradizione illuminista, da cui l’Islam è escluso? A meno che il destino del cristianesimo sia quello di diventare un’identità europea scevra di spiritualità, come già accade nella destra neo-nazionalista e populista.
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