Il pianeta Terra è a pezzi, all’uomo la parte di carnefice e vittima
Quanto incide l’uomo, con le sue azioni quotidiane, sull’integrità della natura e sulle funzioni essenziali per la vita dell’ambiente? La risposta al quesito, purtroppo, è: tanto. I segni sono tutti visibili nel deterioramento dell’ecosistema, diventato ormai un allarme per il mondo.
Eppure, gli uomini sono soltanto un anello della catena, non il più importante, ma uno dei tanti che interagisce nell’equilibrio tra vita e natura. Gli esseri umani rappresentano solo lo 0,01% della biodiversità globale.
A detta di Robert Watson, esperto ONU: “la continua perdita di biodiversità minerà la nostra capacità di riduzione della povertà, la sicurezza alimentare e idrica, la salute umana.”
Secondo il rapporto del 2019 della piattaforma intergovernativa sulla biodiversità (Intergovernmental Panel on Biodiversity and Ecosystem Services – IPBES), il deterioramento senza precedenti e accelerato della natura avvenuto negli ultimi 50 anni è stato guidato da mutamenti nell’uso della terra e del mare, dallo sfruttamento di esseri viventi, dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dalle specie invasive.
Cinque fattori chiave ai quali, a loro volta, si sono man mano aggiunti comportamenti sociali sempre più orientati al consumo, diventato consumismo e scelte di governance degli Stati, specialmente i più sviluppati.
Il risultato è stato un’alterazione preoccupante della biodiversità. Per quale motivo questo è un problema? Innanzitutto perché diversità biologica significa abbondanza e varietà di vita sul pianeta. La definizione comprende molto di più delle semplici creature che siamo soliti considerare. Lo ha spiegato chiaramente Rebecca Shaw, capo scienziato del World Wildlife Fund (WWF).
Senza le api che impollinano le colture e gli alberi che trasformano l’anidride carbonica in ossigeno, le attività umane di base come mangiare e respirare diventano più difficili. Ma anche il declino delle piante medicinali e delle mangrovie che proteggono le coste possono impattare negativamente sulla vita dell’uomo. E ancora, una diminuzione di lombrichi, funghi o microbi del suolo limita la quantità di nutrienti del terreno e il numero di buchi attraverso cui scorre l’acqua piovana, bloccando la crescita delle colture e ostacolando la capacità dell’umanità di nutrirsi.
Non prestare attenzione a tutte le complesse interazioni nel suolo e pensare che possiamo semplicemente mettere fertilizzanti o pesticidi e far sì che rimanga lo stesso terreno produttivo nella prossima generazione, è sciocco.
Questa l’amara considerazione di Rebecca Shaw.
Il rapporto ha rilevato che circa un quarto, ovvero 1 milione, delle specie animali e vegetali conosciute sono in via di estinzione. Le specie autoctone che vivono negli habitat terrestri sono diminuite, in media, di almeno il 20% dal 1900 ad oggi. Più del 40% delle specie di anfibi, quasi il 33% dei coralli che formano la barriera corallina e oltre un terzo di tutti i mammiferi marini sono minacciati.
Le stime parlano del 10% di insetti a rischio. Circa il 9% dei 5,9 milioni di specie terrestri stimate al mondo hanno un habitat naturale insufficiente per la sopravvivenza a lungo termine, con la certezza che le parti perdute non saranno ripristinate.
Una delle cause più significative dell’estinzione di specie animali è la perdita di habitat, in gran parte distrutto dall’attività umana. La costruzione di dighe, autostrade, canali, l’urbanizzazione e l’agricoltura incidono notevolmente su flora e fauna. Anche quando parti dell’ecosistema rimangono intatte creando delle isole, l’habitat risultante può essere troppo piccolo per supportare una specie. L’integrità dell’ecosistema è diminuita del 30% a causa proprio del deterioramento di habitat naturali sulla terra.
E la deforestazione continua ad essere uno dei fenomeni più preoccupanti per la distruzione della biodiversità. Le foreste coprono ancora circa il 30% dell’area terrestre del mondo, ma stanno scomparendo a un ritmo allarmante.
Tra il 1990 e il 2016, secondo la Banca mondiale, il pianeta ha perso 1,3 milioni di chilometri quadrati di foresta, un’area più ampia del Sudafrica. Circa il 17% della foresta pluviale amazzonica è stata distrutta negli ultimi 50 anni e recentemente le perdite sono aumentate.
Secondo l’ONU e FAO, ogni anno perdiamo oltre 7 milioni di ettari di foresta. Sono tutti attribuiti alle attività umane. Le ripercussioni negative di questo trend sono evidenti. Circa 250 milioni di persone che vivono nelle aree forestali e della savana dipendono proprio dall’ambiente naturale per sussistenza e reddito. In alcune parti del sud-est asiatico, la deforestazione ha causato la migrazione di parte della popolazione nelle aree urbane, accelerando il sovraffollamento delle città.
L’80% degli animali e delle piante terrestri vive in foreste e la loro distruzione minaccia specie tra cui l’orangutan, la tigre di Sumatra e molti uccelli. E senza volatili, per esempio, la dispersione di semi per la crescita di nuove piante rischia di essere compromessa.
La rimozione degli alberi priva la foresta di porzioni del suo ombrello naturale, il quale blocca i raggi del sole durante il giorno e trattiene il calore nella notte. Senza il normale svolgimento di questa funzione, gli sbalzi di temperatura possono essere estremi, impattando negativamente su flora e fauna. E sull’uomo.
Inoltre, se si considera soltanto la foresta pluviale sudamericana, questa influenza i cicli idrici regionali e forse anche globali, ed è la chiave per l’approvvigionamento idrico delle città brasiliane e dei Paesi vicini.
Se la deforestazione tropicale fosse un Paese, secondo il World Resources Institute, si classificherebbe al terzo posto per emissioni di anidride carbonica, dietro la Cina e gli Stati Uniti.
Tutto questo perché sta succedendo? Il disboscamento illegale è la causa principale. Ogni anno vengono abbattuti oltre 15 miliardi di alberi illegalmente. Il Myanmar ha il più alto tasso di disboscamento selvaggio, peri all’85%, mentre il Perù arriva secondo con l’80%.
Poi ci sono gli incendi boschivi causati dall’uomo, spesso per fare nuovo spazio all’agricoltura. Per esempio, per coltivare l’olio di palma l’Indonesia, maggiore produttore al mondo, si è aggiudicata il titolo di Fastest Forest Destroyer (Distruttore di foresta più veloce al mondo) nel 2008.
Una cornice, questa, di un quadro attuale piuttosto desolante, considerando anche l’esplosione del coronavirus, pandemia non del tutto slegata alla distruzione dell’ecosistema. La sintesi di David Quammen, divulgatore scientifico, è eloquente:
Invadiamo foreste tropicali e paesaggi selvaggi, che ospitano così tante specie di animali e piante, e all’interno di quelle creature, così tanti virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi; uccidiamo gli animali o li mettiamo in gabbia e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi e liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, questi virus hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso, quell’ospite siamo noi.
Ecco dunque che oggi, più che mai, l’imperativo per l’umanità deve essere conservare la natura. E preservare il clima, anche se ormai i tempi sono davvero stretti. L’allarme arriva dai ghiacciai.
L’Antartide e la Groenlandia hanno perso abbastanza ghiaccio negli ultimi 16 anni per riempire il lago Michigan, secondo i risultati di una nuova missione della NASA da poco resi noti. In altre parole, oltre 5.000 gigaton di ghiaccio si sono sciolti (un gigaton è pari a un miliardo di tonnellate, abbastanza per riempire 400.000 piscine olimpioniche), spingendo il livello del mare in tutto il mondo.
L’osservazione satellitare ha mostrato come le massicce calotte glaciali ai confini del pianeta si stiano sciogliendo, minacciando di impattare sulla vita di milioni di persone sulle coste di tutto il mondo. Alcuni studi elaborati sui dati provenienti dai satelliti, hanno rilevato che nell’estate del 2019, la calotta glaciale si è sciolta a un ritmo quasi record e molto più velocemente rispetto alla media dei decenni precedenti. Le cifre hanno suggerito che nel solo luglio il ghiaccio superficiale è diminuito di 197 gigaton, equivalenti a circa 80 milioni di piscine olimpiche.
L’ecosistema sta sempre più faticando a mantenere il suo funzionale equilibrio, vitale innanzitutto per l’uomo. Governanti e cittadini del mondo non hanno ancora molto tempo per agire.