Covid in Africa, ora è il momento della collaborazione tra Stati

[Traduzione a cura di Silvia Godano dall’articolo originale di Dorothy Tembo su Inter Press Service]

Il coronavirus ha raggiunto da settimane il continente africano e i Paesi si stanno attrezzando per controllarne la diffusione e per fare in modo che i loro fragili sistemi sanitari possano reggere. Le immagini arrivate dall’Europa e dalla Cina, tuttavia, offrono diversi motivi di preoccupazione al riguardo.

Oltre alle sfide sanitarie, gli Stati africani stanno già toccando con mano le conseguenze economiche della diffusione del virus. Da un lato, la domanda di materie prime e prodotti è calata a causa della chiusura di molte aziende in Europa, Asia e America. Dall’altro, anche l’accesso africano a componenti industriali o a beni di vario tipo (incluse le attrezzature sanitarie) sta risultando decisamente difficoltoso.

Inizialmente, l’Africa si è concentrata sul rallentamento del contagio con misure quali la chiusura delle frontiere. Queste decisioni sono state adottate all’indomani del giuramento del neocostituito Segretariato generale dell’Area di Libero Scambio Continentale Africana (African Continental Free Trade Area, AfCFTA). Un passo storico, teso a incrementare l’integrazione economica tra gli Stati del continente.

Il coronavirus potrebbe rappresentare un rischio per il progetto continentale, ma al contempo costituire un’occasione per rafforzare la collaborazione tra gli Stati. I leader hanno l’opportunità di accelerare politiche specifiche, per esempio consolidando le iniziative di integrazione regionale che sono già state avviate: in tal modo si potrebbero raggiungere risultati utili in breve tempo.

Dorothy Tembo è direttore esecutivo ad interim dell’International Trade Centre (ITC). Foto Flickr UNCTAD – Creative Commons

La chiusura dei confini può lanciare messaggi molto diversi a seconda di come questa chiusura viene eseguita. Se i leader di nazioni vicine bloccano le frontiere contemporaneamente, come nel caso del Portogallo e della Spagna, danno un segnale di collaborazione nella lotta alla pandemia.

Ridurre il traffico di persone mantenendo i confini aperti per lo scambio di merci è un segno di fiducia condivisa nell’importanza data alle attività economiche e commerciali. Soprattutto quelle che forniscono beni di prima necessità per la vita quotidiana delle persone. In Africa una collaborazione di questo tipo potrebbe rivelarsi cruciale, specialmente per le sedici nazioni senza sbocco sul mare.

La crisi potrebbe anche fornire ai leader africani l’occasione per guardare alle value chain (catene di valore) a livello regionale da una prospettiva differente. I mercati europei, asiatici e del Nord America possono contare su catene di approvvigionamento regionali affidabili.

In Africa, invece, l’integrazione nei mercati internazionali implica primariamente l’integrazione a livello globale più che regionale: i Paesi africani forniscono infatti le materie prime che vengono lavorate in altre aree del mondo.

La possibilità di creare delle catene di valore in regioni africane, però, esiste specialmente per quanto concerne la produzione di autoveicoli o il settore aerospaziale nel Nord Africa. Progettare strategie regionali significa però siglare accordi, per esempio su quale componente debba esser prodotto in una determinata area, e spesso i politici hanno difficoltà a stringere simili intese.

Ma l’eccezionale natura della pandemia potrebbe rappresentare anche un terreno fertile per incrementare collaborazioni regionali, per esempio nel settore farmaceutico, o per quanto riguarda beni come i disinfettanti, le apparecchiature diagnostiche o gli indumenti protettivi. Si tratta di decisioni da prendere e attuare molto rapidamente.

I leader africani possono agire all’unisono anche per affrontare le conseguenze economiche del coronavirus: attualmente nessuno sa quali saranno gli effetti dell’epidemia sul Prodotto Interno Lordo mondiale, ma è evidente che vi sarà un impatto significativo.

Ad oggi si stima una perdita tra 1,5 e 2 punti percentuali sul PIL a livello globale e anche per la regione africana. Tuttavia non è improbabile che la perdita sia maggiore.

Il settore dei viaggi è stato il primo a subire l’impatto della pandemia. Le compagnie aree stanno faticando e il turismo è stato colpito duramente. In Paesi quali la Tunisia, l’Egitto e il Kenya il settore rappresenta rispettivamente il 14%, l’11% e il 10% del Prodotto Interno Lordo: la battuta d’arresto sarà significativa. Per compagnie aeree regionali dal traffico relativamente limitato, inoltre, potrebbe essere un vero disastro.

La chiusura delle attività produttive in Europa e in Cina, specialmente nei settori tessile, calzaturiero e impiantistico colpirà duramente le catene di approvvigionamento, con conseguenze significative per il continente africano. Anche le attività che nel continente sono tradizionalmente affidabili, come la floricoltura, potrebbero subire gravi colpi.

Nella maggior parte dei Paesi che impongono il lockdown è probabile che il settore dei servizi debba affrontare conseguenze molto pesanti. Dalla ricezione alberghiera allo sport, dalle attività ricreative al commercio al dettaglio: l’imposizione del blocco colpisce maggiormente proprio questi settori.

Inoltre, il drastico calo dei prezzi del petrolio – dovuto a fattori indipendenti al coronavirus e ora rinforzato dalla domanda negativa causata dalla diffusione della pandemia – scatenerà altri shock economici. Esportatori di greggio quali la Nigeria vedranno le loro entrate ridursi.

Africa E-Commerce Week 2018. Foto UNCTAD – Flickr Creative Commons

Quanto tempo resisteranno le economie dei Paesi africani in una situazione di drastico calo delle attività o di assenza di entrate? E quanti posti di lavoro sono in pericolo? Queste le domande che si pongono i responsabili politici degli Stati africani.

Per molte piccole e medie imprese (PMI), impreparate a reagire a una tempesta di questo calibro, la speranza di vita è di pochissime settimane. Per le piccole aziende il rischio di fallimento o comunque la drastica perdita di competitività è molto più alto che per quelle grandi.

Ora, siccome le piccole e medie imprese impiegano il 70% della popolazione attiva nella maggior parte dei Paesi, il licenziamento di molti lavoratori non farà altro che aggravare la recessione economica causata dalla pandemia.

La consapevolezza che nel contesto dell’attuale epidemia le piccole imprese potrebbero fungere da detonatori della recessione economica ha spinto i Governi di tutto il mondo a lavorare alacremente per ridurre lo stress delle PMI. Sono state introdotte misure con lo scopo di aiutarle ad affrontare i rischi finanziari a breve termine e le implicazioni nel lungo periodo.

Misure che dovrebbero prevenire la bancarotta, incoraggiare gli investimenti e permettere alle economie di risollevarsi nel più breve tempo possibile. Stiamo parlando di finanziamenti agevolati, riduzione della pressione fiscale, sovvenzioni, incentivi all’impiego e altre misure indirette.

Prestiti a basso interesse e finanziamenti agevolati, finalizzati a risolvere i problemi di liquidità a breve termine, sono tra le misure più popolari annunciate negli ultimi giorni. Tuttavia l’esperienza dello shock petrolifero degli anni Settanta ha insegnato che misure di questo tipo possono avere un impatto molto limitato nell’attuale contesto di bassi tassi di interesse e di shock dell’offerta.

Al contrario gli strumenti più efficaci nella prevenzione della bancarotta potrebbero essere quelli finalizzati a ridurre i costi per le piccole e medie imprese, come gli sgravi fiscali. D’altra parte è necessario anche continuare sulla strada degli investimenti nel settore del commercio digitale delle agevolazioni: i Paesi che metteranno in atto queste misure saranno i primi a riprendersi dopo la crisi.

Le misure sopra citate richiedono ovviamente ingenti stanziamenti di fondi: l’operazione sarà più facile per gli Stati con un maggiore margine di bilancio. Sfortunatamente i livelli del debito pubblico mondiale sono in continuo rialzo a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Inoltre, sebbene larga parte del debito mondiale si concentri nelle nazioni industrializzate, nell’ultimo decennio il suo incremento è stato più consistente nei Paesi in via di Sviluppo.

In questo contesto, potrebbe essere necessaria un’azione concertata tra i leader affinché gli sforzi a sostegno delle piccole e medie imprese non abbiano ripercussioni negative sui mercati finanziari.

La storia ci ha spesso mostrato che le più significative collaborazioni internazionali possono nascere proprio durante o in conseguenza di una crisi. La Prima guerra mondiale portò alla creazione dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), mentre le Nazioni Unite furono fondate in seguito alla Seconda guerra mondiale. Anche l’Unione Europea fu una conseguenza di quel conflitto.

Con la creazione dell’Area di Libero Scambio Continentale Africana i Paesi protagonisti hanno già riconosciuto che maggiore sarà l’integrazione tra gli Stati, più forte sarà il continente. Un impegno analogo per dare una risposta condivisa alla pandemia e alle sue conseguenze economiche potrebbe essere di grande giovamento per l’Africa.

Una tale risposta dovrebbe includere un rinnovato impegno sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, sul multilateralismo e sugli aiuti garantiti a coloro che sono più gravemente colpiti: piccole imprese, donne, giovani e comunità vulnerabili.

L’International Trade Centre (ITC) è pronto a sostenere sforzi in questa direzione, che sarebbero senz’altro attinenti al suo mandato: favorire la competitività delle piccole imprese nei Paesi in via di Sviluppo, sostenere le donne imprenditrici e le persone alla base della piramide economica.

Silvia Godano

Laureata in Filosofia Politica e Comunicazione Interculturale, vive da alcuni anni in Germania, dove si occupa di politiche per l’integrazione, dialogo interculturale e migrazioni. È inoltre giornalista pubblicista, traduttrice e viaggiatrice per passione.

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