L’emergenza da Covid-19 ha superato il milione di casi confermati e mezzo mondo è ormai confinato in casa. Nelle ultime due settimane ha messo in ginocchio anche la Nazione più ricca e industrializzata del pianeta: gli Stati Uniti d’America.
A livello nazionale, finora si contano quasi 10.000 decessi e 350.000 contagi, con il picco ancora lontano, previsto a New York City addirittura fra circa un mese, dove i casi positivi sono già 68.000 e i morti oltre 2.500, superando quelli dell’11 settembre. Senza contare che, per una serie di motivi contingenti, è plausibile che la conta ufficiale dei morti sia inferiore alla realtà. E fino alla metà dei contagiati potrebbe essere asintomatica, ha spiegato ieri Anthony Fauci, il maggiore esperto di malattie infettive nella task force presidenziale. Intanto, Wall Steet è in caduta libera e in meno di due settimane sono scomparsi 10 milioni di posti di lavoro. Questi dati confermano che si tratta del Paese maggiormente colpito a livello globale.
Nonostante il preavviso di qualche settimana, visto quanto accaduto prima in Cina e poi in Europa, la pandemia ne va ricalcando, in maniera pericolosamente amplificata, la stessa tragica parabola. Né si è fatto tesoro delle lezioni derivanti specificamente dal caso Italia, come dettagliato in un ampio studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Harvard Business Review.
Uno scenario oltremodo preoccupante che invece si sarebbe potuto e dovuto quantomeno attenuare, secondo molte fonti qualificate. Pochi giorni fa lo stesso Fauci aveva annunciato che si temono “milioni di casi e fino a 250.000 morti“. Dichiarazioni nient’affatto fantasiose, anzi forse troppo prudenti, ma che gli hanno garantito ampio supporto insieme ad aperte minacce sui social media, tant’è che ora si trova sotto scorta.
Ma il punto inequivocabile è che silenzi, ritardi e contraddizioni dell’amministrazione Trump hanno messo a nudo la totale assenza di prevenzione e di un piano di coordinamento a livello federale, in primis rispetto all’approvvigionamento delle apparecchiature mediche vitali.
Per esempio, dopo un primo invio ai vari Stati di 11,6 milioni di mascherine e altre protezioni a fine marzo, sembra che i magazzini federali siano praticamente a secco. Innescando una folle concorrenza tra le varie entità locali e statali, con la corsa al rialzo dei prezzi per la delizia dei fornitori.
E c’è voluto un mese dai primi casi emersi a New York, dove al momento i ventilatori disponibili bastano solo per pochi giorni, per imporre finalmente anche in Florida la direttiva di restare a casa. Solo nel fine settimana scorso si sono aggiunte Alabama, Georgia, Missouri, mentre ciò non vale ancora per North e South Dakota, Nebraska, Iowa e Arkansas, ed è solo parziale in altri quattro Stati. Nonostante le ultime cifre e quanto accaduto nel mondo, l’ordine di stay-at-home non copre l’intero territorio nazionale, pur se al momento interessa almeno 311 milioni di americani.
Un quadro che, se visto da fuori appare quantomeno caotico, vissuto dall’interno rivela l’ulteriore politicizzazione di una tragedia annunciata, con la recidiva assenza di linee-guida valide per tutti e lo scaricabarile da parte dell’amministrazione centrale. Quella che si respira in giro è un’aria di rassegnazione e fatalismo, ben sapendo che questa crisi enorme capita con il presidente peggiore della storia americana.
È sempre più lampante lo scollamento tra i circoli istituzionali di Washington e il cittadino medio, ancor più se della fascia medio-bassa. Se è vero che la crisi del coronavirus è politica e continuerà a essere politicizzata, in Usa forse più che altrove, diventa cruciale informare in maniera corretta e smascherare le fake news, pur nell’evoluzione della pandemia. Altrimenti resta solo l’equilibrismo politico, giocato letteralmente sulla pelle delle persone e che peserà non poco sulle prossime elezioni presidenziali di novembre (ammesso e non concesso che procederanno come previsto, visto che la convention dei democratici è stata già rinviata a dopo ferragosto).
Comunque sia, tra aggiornamenti continui sul web e rilanci d’ogni tipo sui social media, in risposta al dilagante caos politico-amministrativo crescono le iniziative di base di taglio propositivo e collaborativo. Fra i tanti esempi, il quotidiano Boston Globe ha lanciato Boston Helps, per mettere direttamente in contatto chi può offrire aiuto con chi ne ha bisogno, soprattutto pagando per far recapire la spesa o un pasto a qualcuno che non può permetterselo nell’area metropolitana di Boston.
L’azienda che stava preparando la tendopoli per il popolarissimo megafestival Coachella, rinviato come altri eventi pubblici, ha trasformato l’intera struttura in uno dei villaggi medici operativi nell’area di Los Angeles. Oltre a siti per donazioni e raccolta-fondi, come già in Italia e altrove, il web pullula di concerti dal salotto di casa e workshop artistici, sedute yoga e meditazioni guidate.
Il Washington Post propone un’esauriente infografica sul rapido propagarsi del coronavirus e su come “appiattire la curva”, disponibile in 13 lingue, italiano incluso.
Invece il progetto Folding@home riprende le pratiche dell’open science e dell’open source, invitando a offrire la potenza di calcolo del proprio pc per collaborare alla messa a punto del vaccino. Il relativo software usa le risorse inutilizzate del computer, mentre lo si usa o quando è in pausa, insieme a quelle di molti altri ricercatori e cittadini di ogni parte del mondo, per elaborare i dati raccolti e disseminarli in maniera aperta e condivisa.
C’è poi una petizione su Change.org che chiede l’immediata e stringente quarantena (lockdown) dell’intero Paese per cinque settimane, unica via per salvare migliaia di vite e stimolare la ripresa economica. Lanciato da un gruppo di ricercatori, imprenditori, professionisti e cittadini motivati, in pochi giorni il documento ha quasi toccato le 5.000 firme.
Intanto nelle comunità rurali del Nord California l’andirivieni quotidiano appare decisamente più rarefatto, mentre il governatore Gavin Newsom ordina lo stop per le attività non essenziali e la chiusura dei parcheggi dei maggiori parchi e spiagge statali, generalmente piuttosto affollati. Molti supermercati dedicano l’orario di prima mattina agli ultra 65enni e installano apposite protezioni in plexiglas per i cassieri. Tuttora introvabili beni di prima necessità, quali: carta igienica, disinfettanti vari, pasta e perfino farina e lievito (idem nei megastore online, da Amazon in poi). Ennesima falla di un sistema produttivo e distributivo considerato di qualità ineccepibile.
Come risvolto positivo, c’è il diffuso ritorno a pane e torte casalinghe, fenomeno ormai sconosciuto da queste parti, grazie a ricette condivise via sms o sui siti localizzati di NextDoor, rete di social network assai popolare. Tanti cittadini motivati pubblicano annunci per barattare una tazza di farina o di zucchero con lievito o latte, da lasciare rigosamente sul portico di casa in base al social distancing. Mentre tanti si offrono di fare la spesa o altre commissioni urgenti per chiunque non possa uscire di casa. Il grande ritorno della “community” radicata nell’immaginario americano, che però fa a pugni con l’estrema urbanizzazione del territorio, in particolare nella vaste aree metropolitane sulla East e West Coast.
Altro importante provvedimento in California, l’immediato stanziamento di 150 millioni di dollari alle amministrazioni locali per l’assistenza ai senza tetto, dall’allestimento di appositi centri-raccolta all’acquisto di alberghi e roulotte inutilizzati per offrire loro un posto sicuro durante la quarantena. E per evitare che si rechino inutilmente al pronto soccorso, che per molti (fino al 40% secondo una recente indagine) rimane l’unica forma di servizio medico e/o tipicamente il modo di passare la notte al coperto.
Secondo un altro sondaggio, la California conta circa un quarto della popolazione nazionale di homeless, oltre 151.000 persone, con un incremento del 16,4% rispetto al 2018. Problema pesante per il quale Newsom aveva già promesso di dedicare ampie risorse nel corso dell’anno, ora enormemente aggravato dalla pandemia. E a conferma della forte presenza statale in questo frangente delicato, pochi giorni fa Newsom ha tenuto anche una sessione di domande-risposte dal vivo su Twitter.
Né meno caotico appare l’ambito dell’imprenditoriale locale. La nota catena di articoli per il fai-da-te artistico Hobby Lobby, con proprietà notoriamente di fede cristiana e balzata alle cronache per le posizioni antiabortiste, giorni fa ha riaperto i suoi 10 negozi in Colorado, incurante dell’ordine di chiusura generale. Lo stesso aveva fatto in Ohio, e in entrambi i casi ci sono volute le formali lettere cease-and-desist delle autorità.
Invece a Portland, in Oregon, a metà marzo Powell’s Books, leggendario capostipite delle librerie indipendenti americane fin dal 1971, era stato costretto a chiudere per due mesi i battenti dei suoi sette negozi. Licenziati temporaneamente anche gran parte degli impiegati. Tuttavia il sito web è rimasto attivo, con varie offerte e spedizioni gratuite sopra i 25 dollari. Nel giro di dieci giorni, uno tsunami di ordinazioni da ogni angolo del Paese ha portato alla riassunzione di 100 addetti a tempo pieno e con tutti i benefici. Buone speranze anche per gli altri, visto che gli acquisti online procedono a gonfie vele. Come ha spiegato Emily Powell, che da 10 anni gestisce con successo tutta l’attività con un occhio di riguardo per l’attenta enclave di clienti, appassionati e staff: “I tanti messaggi d’incoraggiamento, gli inviti a resistere e il fiume di ordinazioni ci hanno fatto rimanere senza fiato“.
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