La “pandemia dell’acqua” ucciderà 4 mln di persone entro 2020

[Traduzione a cura di Gaia Resta dall’articolo originale di Vladimir Smakhtin pubblicato su Inter Press Service]

Bambini si lavano le mani prima di mangiare, Buchanan City, Liberia, 25 giugno 2016. Foto tratta da Flickr Creative Commons di Dominic Chavez/World Bank Collection

Mentre la pandemia di COVID-19 si diffonde, si intensificano le istruzioni su come lavarsi le mani e su altre misure da adottare per la prevenzione. Tali raccomandazioni sono importanti, ma hanno ben poco valore per il 40% dell’umanità che non ha accesso agli elementi necessari per il lavaggio delle mani: acqua e sapone.

Nella maggior parte degli Stati africani o in India, la percentuale è ancora più alta: tra il 50% e l’80% della popolazione. Persino molti ambulatori non dispongono di servizi per l’igiene delle mani, per un isolamento sicuro e per lo smaltimento dei rifiuti sanitari.

Nei Paesi meno sviluppati i servizi idrici di base sono assenti nel 55% degli ambulatori, ai quali si stima si rivolgano 900 milioni di persone, più delle popolazioni di Stati Uniti ed Europa messe insieme.

Ogni anno oltre 1 milione di decessi tra neonati e mamme è legato a nascite avvenute in condizioni prive di igiene. In generale, servizi igienici insufficienti e mancanza di acqua potabile causano la morte di oltre 3,4 milioni di persone l’anno.

Questa crisi sanitaria in atto, una “pandemia legata all’acqua” (definizione non riconosciuta in modo ufficiale) esiste da generazioni ma, a differenza del COVID-19, a stento genera qualche riga tra le notizie dal mondo.

Non sarebbe giusto dire che nulla è stato fatto al riguardo, ma i progressi sono così lenti che i soggetti più vulnerabili probabilmente continueranno a morire senza aver mai saputo cosa significhi disporre di acqua pulita a una distanza di 5 minuti a piedi, tanto meno di un rubinetto in casa.

Dal Duemila questa invisibile pandemia ha fatto più vittime della Seconda Guerra Mondiale nel più totale silenzio.

Con questo ritmo nei prossimi 10 anni ucciderà altre 40 milioni di persone, più o meno come gli abitanti del Canada. Eppure, entro questo periodo dovrebbero essere raggiunti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile secondo l’agenda delle Nazioni Unite per il 2030. Tra i 17 obiettivi ce n’è uno che si prefigge di “garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e igiene per tutti”.

Durante la crisi della Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS) del 2002-2003, i contagiati furono circa 8.100 e i morti quasi 800. Il COVID-19 è molto meno letale, ma ha già provocato un numero di contagiati 25 volte maggiore. Di conseguenza, le perdite di vite umane sono 10 volte superiori di quelle causate dalla SARS e in continuo aumento.

Il COVID-19 provocherà molti altri morti entro il 2020, malgrado tutti gli sforzi dei medici e le misure già adottate dai Governi del mondo. Comunque, il bilancio delle vittime sarà minimo se confrontato ai 4 milioni di persone che si stima moriranno quest’anno per la mancanza di acqua, servizi e pratiche igieniche (WASH, acronimo inglese di Water, Sanitation and Hygiene).

Inoltre, i decessi dovuti a questa “pandemia dell’acqua” non finiranno sulla prima pagina dei giornali e ovviamente riguarderanno persone in condizioni di povertà. Quest’ultime non commerciano e non viaggiano all’estero, non hanno né mutui né assicurazioni. Lo spietato mondo dei mercati finanziari mostra ben poco interesse per loro.

La “water pandemic” risulta anche più angosciante in quanto molti dei presupposti per la sua eliminazione esistono già. Sappiamo quante persone non dispongono degli elementi WASH e dove vivono. E sappiamo anche, esattamente, cosa si può fare: le tecnologie necessarie sono disponibili, comprese quelle a basso costo. Il problema risiede fondamentalmente nella mancanza di finanze e volontà politica, due elementi naturalmente interconnessi.

Questa pandemia, inoltre, non è particolarmente “attraente” e non così tanto visibile tra le miriadi di altri problemi che affliggono molti Paesi. Anche un politico dignitoso che ponga la questione in cima alle sue priorità sarà facilmente distratto dai problemi del suo mandato.

Rispetto ai finanziamenti, circa 20 anni fa occorrevano una media stimata di 24 miliardi di dollari l’anno nell’arco di un decennio per portare acqua sicura e servizi igienici a basso costo a tutti coloro che ne avevano bisogno all’epoca (considerando anche la crescita demografica).

Nonostante si trattasse di una sottostima, quel numero comunque non è stato mai raggiunto. E l’ammanco di circa 17 miliardi di dollari corrisponde alla spesa annuale in cibo per animali di Europa e Stati Uniti.

I numeri assoluti necessari adesso non sono cambiati molto: circa 28 miliardi di dollari l’anno (dal 2015 al 2030) per estendere i servizi base del progetto WASH a tutti coloro che ne sono sprovvisti.

Per rendere, poi, tali servizi “gestiti in maniera sicura”, “disponibili con continuità” e “migliorati”, il finanziamento totale necessario è di 114 miliardi di dollari. Tuttavia, a quattro anni dall’avvio degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, possiamo dire di non essere stati in grado di raggiungere i livelli finanziari necessari anche soltanto ai servizi di base.

Per poter centrare i propositi ONU entro il 2030 avremo ovviamente bisogno di molto altro in questo decennio, ma è difficile dire con ottimismo che questo avverrà, anche se l’investimento richiesto rappresenta circa il 3% della spesa totale annua della NATO nel settore militare.

Sarebbe da ingenui pensare che improvvisamente tutto il mondo si concentrerà sull’epidemia causata dalla mancanza di acqua. Ammettiamolo, per risolvere un grosso problema di sviluppo come la carenza di elementi WASH sono necessari stabilità politica e assenza di corruzione. Due fattori, questi, che mancano in molte aree in cui la situazione è più critica. Quindi, probabilmente e sfortunatamente, ci sarà solo un lento progresso.

L’attuale crisi per il coronavirus può “aiutare” l’accelerazione di questo progresso? Potrebbe, se il virus dovesse colpire seriamente i Paesi con un basso livello di WASH, e se questo, a sua volta, determinasse un aumento ulteriore dei rischi e dei livelli dell’infezione negli Stati più ricchi.

Solo allora i fondi potrebbero cominciare ad arrivare, mossi dall’interesse personale delle popolazioni più fortunate del mondo. Tutti devono “interiorizzare” la preoccupazione per la mancanza di acqua e igiene perché il problema si risolva. Viene da chiedersi se potrà mai succedere.

Per il momento, almeno proteggetevi dal COVID-19. Pulite le vostre scrivanie e lavatevi le mani, se siete abbastanza fortunati da avere l’acqua.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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