Iran, non si fermano le persecuzioni contro minoranze religiose

[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Haidar Khezri, pubblicato su OpenDemocracy]

Nel 1979 le guardie iraniane distruggono la Casa del Báb, uno dei santuari della fede Baha’i. Due anni dopo il sito viene raso al suolo e sostituito da una piazza pubblica.

Il 3 febbraio scorso la Repubblica Islamica ha condannato a morte sette curdi sunniti, già reclusi da dieci anni con l’accusa di Moharebeh (“Guerra contro Dio”) e per attività di propaganda antigovernativa.

All’inizio di quest’anno, l’Iran ha ufficialmente negato ai cittadini della minoranza Baha’i il documento di identità, privandoli di fatto di tutti diritti a esso legati. È scomparsa inoltre la dicitura “altre religioni” dai moduli amministrativi ufficiali.

Criminalizzare le minoranze religiose

La Costituzione iraniana riconosce come religione di Stato la Twelver Ja’fari School of Shi’a Islam [la corrente principale dello sciismo, denominata dei Duodecimani]. Le uniche religioni minoritarie riconosciute sono lo zoroastrismo, il cristianesimo iraniano e l’ebraismo.

Di conseguenza fedeli di altro credo, come sunniti, Ahl-e Ḥaqq , Erfan-e Halgheh e Baha’i, di fatto non sono tutelati dai principi costituenti. Esecuzioni, esilio, carcere: tutte queste minoranze (in particolare i convertiti), hanno sofferto soprusi di ogni genere, ma è innegabile un accanimento nei confronti di sunniti e Baha’i nel corso degli ultimi quarant’anni. A quanto affermano attivisti per i diritti umani, nel 2019 i Baha’i sono stati al primo posto della triste classifica dei gruppi perseguitati, seguiti da sunniti e cristiani.

La religione Baha’i nasce in Iran, eppure le università del Paese, su disposizione del Governo, respingono gli studenti che la praticano. Inoltre, i cimiteri Baha’i sono stati distrutti e l’attuale leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha confiscato le proprietà delle famiglie di questa minoranza.

A quanto afferma Javaid Rehman, relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica Islamica:

Durante gli ultimi quarant’anni quella Baha’i è diventata la più consistente minoranza religiosa non musulmana non riconosciuta nella Repubblica Islamica dell’Iran, con 350mila seguaci oggetto di gravi forme di repressione e vittimizzazione.

Allo stesso modo, solo nell’agosto 2016, in Iran sono stati giustiziati venticinque curdi sunniti con l’accusa di Moharabeh. Nel 2018, il Paese è diventato il secondo al mondo per numero di esecuzioni dopo la Cina. Sebbene tali condanne siano diminuite negli ultimi anni, principalmente per le modifiche alle leggi sui crimini legati alla droga, non c’è stata nessuna inversione di tendenza per quanto riguarda la persecuzione delle minoranze etniche e religiose.

Decine di cristiani, inclusi i convertiti, sono stati vittime di molestie, detenzioni arbitrarie e arresti, con l’unica colpa di aver praticato la propria fede. Il rapporto di Amnesty International del 2019 denuncia continui raid all’interno delle chiese.

Nonostante tutto questo, molti dei funzionari iraniani sospettati di aver in qualche modo contribuito a esecuzioni extragiudiziali di massa coprono ancora oggi posizioni di potere all’interno del sistema giudiziario iraniano. Nel 2017, per esempio,  Alireza Avaei è stato nominato ministro della Giustizia.

Nel 2019 l’Ayatollah Khamenei ha scelto Ebrahim Raisi a capo della magistratura. Raisi – come anche Avaei e il suo predecessore, Mostafa Pour Mohammadi, ministro della Giustizia dal 2013 al 2017 – era un membro delle “Commissioni della morte”, che ordinavano l’esecuzione extragiudiziale di migliaia di prigionieri, inclusi i curdi nel 1988.

La sua nomina ha spento qualsiasi speranza di salvezza per i prigionieri politici, specialmente quelli appartenenti a minoranze etniche e religiose. Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran, ha affermato che:

La nomina di Raisi a capo della magistratura manderà un messaggio preciso: lo Stato di diritto non ha alcun valore in Iran, e chi ha partecipato a uccisioni di massa verrà premiato.

La scelta di Raisi è arrivata subito dopo le presidenziali del 2017, quando Hassan Rouhani, suo avversario in corsa per la rielezione a presidente, ha guadagnato i voti delle minoranze etniche, specialmente dei curdi. Dopo le elezioni parlamentari dello scorso febbraio e con l’avvicinarsi delle votazioni presidenziali del 2021, la persecuzione delle minoranze religiose ha di fatto esasperato il conflitto tra conservatori e “riformisti” in Iran.

Guardie della Rivoluzione e Moharebeh

La stragrande maggioranze delle più alte cariche dell’IRGC (il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) ha cominciato la propria carriera nel 1980, quando i curdi si sono ribellati alle imposizioni della legge islamica, mettendo per la prima volta in crisi lo stesso organo della rivoluzione. Anche la maggior parte degli attuali massimi giudici rivoluzionari ha iniziato la propria storia nelle regioni curde.

A seguito della famigerata fatwa, promulgata dall’Ayatollah Khomeini nel 1980, oltre tremila tra curdi e altri dissidenti sono stati uccisi. L’Ayatollah Khalkhali, noto durante la rivoluzione come “il giudice delle impiccagioni”, venne messo alla guida dei nuovi tribunali istituiti in quel tempo. Su suo ordine, centinaia di curdi furono giustiziati con l’accusa di Moharebeh. Khalkhali ha spesso condannato a morte gli imputati in processi sommari nei quali ha agito sia da giudice che da procuratore, senza giuria o avvocati difensori.

Gli attuali giudici rivoluzionari, come Abolqasem Salavati, Mohammad Moghiseh e Ali Razini, hanno invocato la Moharebeh nella repressione delle recenti proteste in Iran, in particolare quelle del 2009. Lo scopo era raggiungere una completa distruzione dell’opposizione, in particolar modo delle minoranze etniche e religiose, usando accuse aleatorie e approssimative da un punto di vista giuridico, come quella della “guerra contro Dio”, termine creato appunto per la salvaguardia dei musulmani e usato a discapito delle opposizioni.

Nel 2016 ad esempio, il giudice rivoluzionario Abolqasem Salavati ha accusato Narges Mohammadi, un’attivista iraniana per i diritti umani e vicepresidente del Defenders of Human Rights Center, di collaborare con l’IS (Stato Islamico). Narges Mohammadi è una delle più note sostenitrici dei diritti umani in Iran. Ha vinto l’Alexander Langer Award 2009, il premio Per Anger 2011, il premio della città tedesca Weimar nel 2016 e il premio Andrei Sakharov nel 2018 per la difesa dei diritti umani.

La storia ha dimostrato che in Iran, durante i periodi di crisi nazionale e globale, si intensifica la persecuzione dei gruppi religiosi minoritari. Il regime della Repubblica Islamica e l’IRGC stanno ancora facendo i conti con le conseguenze del movimento di protesta sorto tra il 2019 e il 2020, che ha scosso le città di tutto l’Iran, provocando la morte di 1500 iraniani.

Inoltre, il Paese è stato scosso dall’uccisione di Qasem Soleimani da parte di un attacco aereo USA, che ha portato le tensioni tra Stati Uniti e Iran a un passo dalla guerra e ha causato l’abbattimento del volo 752 dell’Ucraina da parte iraniana, provocando la morte di tutte le 176 persone a bordo.

Con l’inasprimento delle tensioni tra Iran e Stati Uniti aumenteranno sicuramente gli abusi del Governo iraniano nei confronti della popolazione, e soprattutto delle minoranze religiose. Gli arresti e le violenze subite dai dissidenti non devono passare inosservati. Esecuzioni e processi sommari sono pratiche disumane, ingiuste e brutali e come tali vanno condannate dalla giustizia.

Stefania Gliedman

Traduttrice freelance, appassionata di lingua e cultura russa, si interessa principalmente alle tematiche collegate all’Europa Centro-orientale.

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