4 Novembre 2024

Portezuelo del Viento, la diga che minaccia la Pampa argentina

[Traduzione a cura di Rosamaria Castrovinci dall’articolo originale di Darío Aranda pubblicato su OpenDemocracy]

la diga sul fiume Atuel
La diga sul fiume Atuel. Foto dell’utente Flickr Gollmar – Licenza Creative Commons

Pubblicizzata come “l’opera del secolo“, la diga Portezuelo del Viento (a Mendoza) sta ricevendo in realtà numerose critiche da parte di ampi settori della società della Pampa argentina a causa dell’impatto che avrà sul fiume Colorado (che attraversa cinque province).

Si teme il ripetersi della storia del fiume Atuel già sbarrato a Mendoza, che ha condannato l’Ovest pampeano alla siccità, alla povertà e agli sfollamenti. Le proteste vogliono mettere in guardia su un possibile disastro sociale, economico e ambientale. Tra l’altro, vi è ache una sentenza del 2017 al riguardo, emanata dalla Corte Suprema, che continua a restare incompiuta.

Nel luglio del 2019, il presidente Mauricio Macri ha firmato il decreto 519/2019 attraverso il quale il Governo nazionale si è fatto interamente carico dei 1.023 milioni di dollari per la costruzione della diga Portezuelo del Viento sul Río Grande, nella provincia di Malargüe. Tutto ciò di comune accordo con l’allora governatore Alfredo Cornejo, che la definì “l’opera del secolo“.

La diga è una costruzione faraonica che prevede la realizzazione di una parete di cemento di 180 metri. Migliaia di ettari di terra finiranno sott’acqua (l’intera città di Villa Las Loicas sarà inondata) e bisognerà cambiare il percorso della strada nazionale 145 e della provinciale 226. Sarà necessaria anche la ricollocazione di Villa Las Loicas e di tutte le altre aree che verranno sommerse dal bacino.

Il Governo sostiene ufficialmente che l’opera fornirà energia a 130.000 persone. Tuttavia, diverse voci critiche stanno mettendo in guardia sulla possibilità che l’energia prodotta venga utilizzata dalle grandi multinazionali minerarie (che hanno dozzine di progetti a Mendoza).

Il Río Grande, sul quale verrà installata l’opera, è l’affluente principale del fiume Colorado, che attraversa anche le province di Neuquén, Río Negro, La Pampa e Buenos Aires. Essendo un fiume interprovinciale è gestito dall’amministrazione del Comitato Intergiurisdizionale del Río Colorado (Coirco), formato dalle cinque province.

La maggioranza della popolazione pampeana rifiuta il progetto poiché teme di rivivere la vicenda del fiume Atuel, che da Mendoza arrivava a La Pampa. Nel 1917 si cominciò a cambiare il suo flusso naturale e il canale principale dell’Atuel andò perso. Negli anni ’30 si iniziò a tagliare il corso dell’affluente Rio Butalò e negli anni ’40 il Governo nazionale costruì la diga El Nilhuil a Mendoza, che arginò il fiume e interruppe l’afflusso del torrente La Barda, l’ultimo a raggiungere La Pampa.

La zona prosperosa delle province dell’Ovest fu così condannata: le città Santa Isabel, Victorica, Algarrobo del Aguila, La Humada, Limay Mahuida, Puelches, Gobernador Duval e 25 de Mayo subirono un grave saccheggio poiché furono danneggiati più di 300.000 ettari di terreno. La storia dell’Atuel, che tutti i pampeani conoscono, viene da sempre definita il furto del fiume.

Per decenni, Mendoza ha negato l’amministrazione interprovinciale dell’Atuel. Nel dicembre del 2017, la Corte Suprema ha ordinato il raggiungimento di un accordo tra le province e la nazione. Tuttavia, a più di due anni da quella sentenza, La Pampa non ha ancora riottenuto il suo corso d’acqua.

Héctor Gómez, presidente della Fondazione Chadileuvú (Fuchad) ha dichiarato di non essere contrario alla costruzione della diga Portezuelo, purché sia realizzata diversamente da come sta avvenendo adesso, ovvero senza un approccio normativo condiviso nei confronti della gestione del fiume. Ha anche chiesto se l’obiettivo principale di Mendoza fosse quello di trasferire l’acqua dal Río Grande all’Atuel, poiché in tal caso, come da lui dichiarato, “si causerebbe un danno molto grave“.

Gómez ha spiegato che il fiume Colorado ha attualmente la metà della portata che aveva nei decenni scorsi, e questo ha già prodotto un aumento della salinità e problemi di scarsità idrica. Il presidente della Fondazione Chadileuvú ha affermato che:

In una situazione di crisi idrica non dovrebbe essere minimamente considerata la costruzione di una diga. È il momento meno opportuno per questo genere di progetto, che non farà altro che aggravare le criticità già presenti.

La sua lotta per i corsi d’acqua della provincia dura da più di 35 anni. È risaputo che, senza il fiume Colorado, si produrrà un disastro sociale, economico e ambientale. A tal proposito, nel febbraio dello scorso anno, si è tenuto un incontro a Santa Rosa per coordinare le azioni da intraprendere con le organizzazioni del Río Negro, Neuquén, San Juan, Mendoza e Buenos Aires.

Lo scorso 17 e 18 gennaio si è svolto poi a Catriel (Río Negro) il “Primo incontro interculturale in difesa dell’acqua” alla presenza di decine di organizzazioni sociali, ONG e delle comunità Mapuche e Ranch. L’evento ha prodotto un comunicato congiunto “per la difesa dei fiumi pampeani” nel quale le organizzazioni e le comunità autoctone hanno denunciato che:

I vari Governi di Mendoza, obbedienti ai settori più ricchi, ai proprietari di vigneti e terreni, stanno gestendo in maniera davvero patetica i corsi d’acqua che attraversano il loro territorio, ignorando o, addirittura, negando, l’autorità dei comitati del bacino del fiume e rigettando le regole della giustizia.

Le richieste espresse nel comunicato sono quattro: no alla contaminazione dei fiumi; no alla diga di Portezuelo gestita da Mendoza; no all’appropriazione dei fiumi; si ai fiumi Atuel e Salado a disposizione di tutti.

Il documento è stato firmato dalle comunità Ranch di La Pampa Nahuel Auca, Pangüitruz Gner, Yanquetruz, Willy Antü, Rali-Có, Ñancufil Calderón, Ñuke Mapu, Baigorrita e Ñancu Antü e dalle comunità autoctone di Mendoza, Kuyen Paine, Epü Gner Calli, Santos Morales, Ñancuñan, e Talquesca.

Le popolazioni locali avevano già espresso la loro posizione a giugno del 2017, quando le loro voci sono giunte fino alla Corte Suprema di Giustizia a proposito di un contenzioso riguardante il fiume Atuel. Carlos Campú, LonkoChe (governatore capo Rankülche) ha affermato:

Hanno fatto sparire la nostra acqua. Perché devono interrompere i fiumi? Molti dei nostri fratelli sono stati costretti ad andare via perché non avevano acqua a sufficienza nemmeno per mantenere venti capre. Hanno trasformato un corso d’acqua in una discarica.

Nella protesta a Mendoza dello scorso dicembre, che ha portato all’abrogazione della legge sulle miniere del governatore Rodolfo Suárez, si è discusso anche dell’appropriazione dei fiumi. Nel comunicato del 30 dicembre, le Assemblee di Mendoza per le Acque Pure (Ampap) sono state chiare:

In riferimento ai bacini idrografici, chiediamo anche la restituzione del flusso del fiume Mendoza per le lagune di Huanacache, e che si riesca a trovare un giusto accordo con i fratelli di La Pampa.

Le conseguenze delle dighe

Le dighe solitamente godono di una buona reputazione. Vengono pubblicizzate come fonti di energia pulita e rappresentano addirittura un’attrazione turistica (sia le mura di cemento che gli specchi d’acqua che producono).

Allo stesso tempo, però, attirano numerose denunce da parte di tutto il mondo perché appartengono a quel modello estrattivo che provoca il dislocamento delle popolazioni che risiedono nella zona, la violazione dei loro diritti e gravi conseguenze a livello sociale, ambientale e sanitario. In Argentina i principali episodi di resistenza sono avvenuti a Entre Ríos e Misiones (che hanno fermato i piani idroelettrici negli anni ’90).

Misiones rifiuta ancora il progetto Garabí (tra Brasile e Argentina), e a Santa Cruz si registra un numero crescente di lamentele contro le dighe di Condor Cliff e di La Barrancosa per la violazione dei diritti ambientali e di quelli delle popolazioni indigene.

Rosamaria Castrovinci

Laureata in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito la magistrale in Metodi e Linguaggi del Giornalismo con una tesi dedicata all'emigrazione italiana in Australia. Speaker radiofonica e redattrice, è siciliana ma da 3 anni è approdata a Venezia, dove lavora nell'ambito museale.

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