Voci Globali

Energia rinnovabile, in Africa il suo sviluppo ha radici coloniali

Pannelli solari in una azienda agricola. Mali. Photo: © Curt Carnemark / World Bank

[Traduzione a cura di Massimo Testa dall’articolo originale di Steffen Haag pubblicato su OpenDemocracy]

Foto di Lollie-Pop, CC by 2.0

Il ruolo dell’energia rinnovabile è notevolmente cambiato negli ultimi anni. Qualche anno fa, era una priorità solo per pochi visionari con una coscienza ecologica. Oggi, il nostro futuro non è immaginabile senza un imponente sviluppo di fonti energetiche alternative.

Questo è particolarmente vero in Africa, dove, prima di tutto, le condizioni climatiche sono indubbiamente favorevoli alle energie rinnovabili, specialmente per le tecnologie solari. In secondo luogo, queste tecnologie sono particolarmente indicate per le sfide che il continente deve affrontare per l’approvvigionamento energetico.

Solo una persona su due ha accesso a una fonte di energia affidabile e stabile, con un tasso molto più basso nelle aree rurali. Estendere la rete di collegamento per raggiungere i villaggi più remoti dell’Africa è molto costoso. Invece, soluzioni tecniche quali i Solar Home Systems, che producono energia per una singola abitazione, o le cosiddette soluzioni ‘fuori rete’, come le reti energetiche a isola dei villaggi, sono alternative più praticabili ed economiche.

La comunità internazionale ha promesso di garantire a tutti l’accesso energetico. Questo sarà possibile solo se l’energia rinnovabile avrà un ruolo determinante. In questo senso, infatti, essa contribuisce alla giustizia sociale. Il rapporto 2018 sulle Prospettive Energetiche per le Persone Povere  mostra come la mancanza di accesso alle fonti energetiche penalizzi specialmente i più poveri.

Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo calcola che per assicurare a tutti l’accesso all’energia occorra spendere ogni anno 51 miliardi di dollari fino al 2030. Oggi, si investe solo la metà di questa cifra. I Governi si sono mossi e hanno avviato i processi di trasformazione con misure politiche specifiche. In linea con queste strategie sulle energie rinnovabili, vengono promossi meccanismi di feed-in-tariff (tariffa onnicomprensiva), programmi di acquisto all’asta o incentivi.

Tuttavia, si procede a ritmo lento, e, soprattutto, i fondi sono scarsi. Per accelerare la transizione energetica nei Paesi africani c’è bisogno di fondi pubblici, ma anche del settore privato. Gli investitori, però, stanno alla larga da questi finanziamenti per due motivi: temono i rischi politici ed economici dell’Africa e diffidano, perché non le conoscono, delle tecnologie per le energie rinnovabili.

L’avvio di nuovi programmi di finanziamento

Negli ultimi anni la comunità internazionale si è data da fare, avviando in Africa numerosi programmi di incentivazione degli investimenti per l’energia rinnovabile. Si è definito, così, un panorama di programmi di finanziamento vario e complesso.

Recentemente è entrato in azione, nell’ambito delle negoziazioni per la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), il Fondo Verde per il Clima, per veicolare i finanziamenti per il clima messi a disposizione ai Paesi del Sud globale per le strategie di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.

La Banca Mondiale ha sviluppato un suo programma – Scaling Solar – con l’obiettivo di creare mercati efficienti per i progetti ad energia solare. Ora è in fase di realizzazione, con l’aiuto di diversi donatori europei, un altro programma, GET FiT, originato da un’iniziativa della Deutsche Bank. L’idea trainante è assistere i Governi africani nella creazione di un quadro istituzionale e normativo per attrarre investitori in progetti inerenti l’energia rinnovabile.

Il risultato è stato notevole. In Uganda, GET FiT ha movimentato 450 milioni di dollari per investimenti diretti a incrementare la produzione nazionale di energia di circa il 20%, garantendo la fornitura energetica a circa 200.000 nuclei familiari.

In Senegal, nell’ambito del programma Scaling Solar, sono in costruzione due impianti solari che, con una capacità di 30 MW ciascuno, diventeranno la fonte energetica più economica del Paese.

L’idea guida di questi progetti è la realizzazione di una cornice istituzionale e normativa che rassicuri gli investitori diffidenti, convincendoli a finanziare progetti di energia rinnovabile in Africa. Si tratta di ciò che gli esperti di finanza chiamano derisking: offrire una garanzia per i rendimenti degli investimenti rispetto a possibili scenari di rischio, come l’espropriazione, il mancato pagamento di oneri finanziari o disordini civili. Il concetto di derisking è considerato la componente chiave di tutti i programmi di finanziamento nel settore delle energie rinnovabili in Africa.

Seguire le radici coloniali

A un esame più attento, la nozione di derisking può essere fatta risalire al settore finanziario del periodo coloniale. Le imprese private furono determinanti per la sottomissione dei territori stranieri, per l’estrazione delle risorse naturali e per lo sfruttamento del lavoro.

Queste aziende non operavano solo con capitale proprio. Normalmente, per l’espansione sui mercati esteri esse godevano di aiuti statali. Per assicurare gli investitori privati contro i rischi nei territori coloniali, i Governi garantivano con risorse pubbliche tassi minimi di rendimento.

Il Governo coloniale del Regno Unito, per esempio, assicurava ai privati un rendimento minimo del 5% sugli investimenti per la costruzione della rete ferroviaria in India. In altri termini, si utilizzavano i soldi delle tasse per ripagare gli investitori, qualora il solo investimento non generasse un determinato tasso di profitto.

Il derisking trae origine dall’opinione comune che vede l’Africa come un posto desolato, arretrato e selvaggio. Il filosofo congolese Mudimbe, autore del famoso libro ‘L’invenzione dell’Africa’, sostiene che questa idea di Africa è un’invenzione dell’Occidente e ha radici coloniali.

Ma la nozione di derisking non è la sola forma di colonialismo camuffato. L’odierno scenario della finanza riproduce l’ordine gerarchico finanziario globale risalente al periodo coloniale. Il panorama dell’establishment finanziario segue una precisa distribuzione di ruoli. I finanziamenti provengono dal Nord globale e fluiscono verso il Sud del mondo.

Questo comporta diversi problemi. Primo, il flusso unilaterale di risorse finanziarie crea dipendenza e costringe i Paesi africani ad assumere una posizione di sottomissione. Gli utili dei progetti per l’energia rinnovabile, invece di essere reinvestiti nel continente, sono destinati ad altri territori e i profitti ritornano agli investitori del Nord.

Secondo, l’attuale sistema finanziario provoca notevoli distorsioni sul mercato energetico africano. Lamine Ndiaye è un pioniere dell’energia rinnovabile in Senegal. Durante una ricerca sul campo nel settore per conto di alcune piccole imprese, ebbi modo di conoscerlo e di discutere con lui del ruolo della finanza globale nel mercato locale dell’energia.

Nonostante guardasse con favore alla recente diffusione della energia rinnovabile in Africa, affermò che:

Scaling Solar venderà elettricità a un prezzo inferiore a 4 centesimi di euro / kWh, il che ucciderà il settore. Nessun altro attore sarà in grado di vendere a quel prezzo, che rischia di diventare l’unico riferimento.

Gli attori locali, quindi, saranno tagliati fuori dal mercato.

Inoltre, i promotori dei progetti di energia rinnovabile del Nord globale importano quasi tutto, dalla tecnologia utilizzata alla manodopera qualificata per costruire gli impianti. Ciò rischia di escludere le imprese africane, impedendo la creazione di valore sul posto.

Boniface Mabanza, un esperto di sviluppo e attivista politico per la giustizia socioeconomica nel Sud dell’Africa, sostiene che le iniziative più recenti, con le quali il continente è stato riscoperto come destinazione di investimenti proficui, abbiano ignorato il punto di vista dell’Africa.

Ritiene che i Paesi africani debbano rifiutare i programmi di promozione degli investimenti privati finché non saranno in grado di regolamentarli. Secondo Mabanza, l’attuale sistema normativo favorisce gli investitori stranieri invece di produrre una reale trasformazione del continente.

I programmi che oggi puntano a incrementare gli investimenti privati nel settore dell’energia rinnovabile in Africa sono giunti a un punto morto. Mentre c’è urgente bisogno di risorse per una indispensabile transizione energetica, gli attuali programmi non sembrano rispondere alle esigenze delle popolazioni locali.

C’è necessità, pertanto, di finanziamenti che tengano seriamente conto degli attori africani e del loro punto di vista. Diritto di proprietà e partecipazione non devono essere solo parole vuote nei documenti politici. La popolazione locale interessata deve essere ascoltata e deve trarre un vantaggio materiale dagli investimenti.

Perché non dare a ciascun nucleo familiare della popolazione locale una quota di partecipazione nell’impianto di energia rinnovabile e fare in modo che sia un organo elettivo locale a decidere come reinvestire? Fino a quando il finanziamento dell’energia rinnovabile darà priorità ai tassi di profitto rispetto alla mitigazione dei mutamenti climatici, il continente continuerà a subire le conseguenze del riscaldamento globale.

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