Come la destra populista in Europa strumentalizza le donne

[Traduzione a cura di Silvia Godano dall’articolo originale di Feyda Sayan-Cengiz e Caner Tekin pubblicato su OpenDemocracy].

Marine Le Pen, leader del Rassemblement National. Foto: Flickr/Rémi Noyon. In licenza CC. Alcuni diritti sono riservati

Negli ultimi 20 anni, uno dei temi centrali del discorso politico occidentale è stato considerare i migranti musulmani come “gli altri”. La loro differenza in termini di cultura è stata accentuata e molto spesso semplificata attraverso rappresentazioni stereotipate delle relazioni di genere, dell’abbigliamento femminile e della presunta reclusione delle donne allo spazio domestico.

Sono state proprio queste rappresentazioni a fornire alla destra radicale l’opportunità di intervenire nel dibattito politico, adottando un discorso solo apparentemente finalizzato a difendere i diritti delle donne. Tale discorso definisce le comunità migranti musulmane come intrinsecamente oppressive nei confronti delle donne e le distingue in modo netto dalle popolazioni autoctone. In tal modo, i discorsi anti-migranti si vestono della retorica dei diritti umani, divenendo più accettabili.

Il discorso di genere è divenuto così una categoria centrale per analizzare e comprendere le strategie comunicative della destra radicale emergente in Europa. La svolta di genere che si registra nei partiti della destra populista europea costituisce un aspetto chiave della culturalizzazione della migrazione, sul quale ci focalizzeremo osservando da vicino i casi di Francia e Germania.

In entrambe le nazioni i partiti della destra radicale e populista forniscono esempi chiari di come si crei la distinzione tra “noi” e “loro” attraverso rappresentazioni stereotipate e di genere del migrante e dell’autoctono.

Il ritorno della cultura

Dopo la riunificazione della Germania e il venir meno dell’influenza ideologica e polarizzante della Guerra Fredda, l’elemento culturale si riaffacciò nelle politiche nazionali europee. In un contesto politico in rapido mutamento e nel quale le ideologie stavano perdendo terreno, la destra radicale potè articolare con rinnovata forza il discorso sull’identità culturale contro la frammentazione.

Come fa notare Mark Sedgwick, molti ideologi della nuova destra in Francia e Germania immaginavano una rivoluzione conservatrice capace di preservare le peculiarità culturali dell’Europa e dei suoi Stati nazionali, proteggendoli dall’immigrazione musulmana e persino dall’influenza americana. Con il Trattato di Maastricht e i successivi tentativi di realizzare un’unione politica, i partiti della destra radicale e populista si fecero sentire per la mobilitazione contro l’integrazione europea e le sue politiche migratorie.

Tuttavia, durante quel decennio gli sforzi per formare una coalizione dei partiti di estrema destra fallirono. I tentativi del Partito Nazionaldemocratico tedesco furono sventati poiché l’opinione pubblica reagì contro l’incremento della violenza neonazista che colpiva i migranti musulmani. Anche il Fronte Nazionale francese rimase marginale a causa delle sue posizioni antisemite.

Sebbene in tutto il mondo occidentale la globalizzazione fosse ormai divenuta la norma –  incontestabile e vincolante – il livello di integrazione socioeconomica che raggiunse l’Europa occidentale aveva esempi simili in poche regioni al mondo. Come suggerisce Magnus Marsdal, il rifiuto dell’immigrazione per motivi di protezione delle politiche del lavoro aveva perso efficacia a quell’epoca, mentre argomenti basati sull’accentuazione delle differenze culturali sembravano più credibili.

Inoltre, l’avanzare del neoliberalismo coincideva con l’erosione delle politiche sociali e di assistenzialismo: lo Stato sociale si stava progressivamente trasformando da diritto a privilegio. In questo contesto, l’estrema destra cominciò a vedere il welfare come una materia che doveva essere “difesa” dai migranti, rappresentati come “pigri” e “dipendenti dai benefici dello Stato sociale“. Con il tempo e soprattutto a partire dagli anni 2000, il presunto assalto all’identità culturale europea – che sostituiva il tema della protezione del lavoro – acquisì sempre maggiore importanza nella retorica anti-migratoria dei partiti di estrema destra.

Francia e Germania

La crisi economica e la crescente percezione di insicurezza nel mondo occidentale e nell’Eurozona si aggiunsero alle paure diffuse e vennero impiegate dai partiti della destra populista come temi nella retorica anti-migratoria. L’aumento degli attacchi terroristici e l’incremento della violenza presumibilmente motivati dalla fede islamica hanno rafforzato l’arsenale contro le migrazioni dall’Est.

Le campagne populiste della destra radicale erano sature di immagini violente e degradanti dell’Islam tese a confermare le innate differenze tra le popolazioni europee e quelle immigrate.

In tutta Europa si registra una tendenza a strumentalizzare il discorso di genere e i diritti delle donne per sottolineare il confine tra gli insider e gli outsider: i modi della strumentalizzazione differiscono, tuttavia, a seconda del contesto nazionale. I discorsi di genere si innestano nei dibattiti a lungo termine sul genere, l’identità nazionale e la cultura e rappresentano il tentativo pragramtico dei partiti della destra populista di allargare il consenso.

Il Rassemblement National francese (prima Front National) è un esempio paradigmatico. Sotto la guida della sua attuale leader, Marine Le Pen, il partito ha attraversato un processo di trasformazione nell’ambito della politica di “de-demonizzazione”, che Le Pen persegue dal 2011 con l’intento di estendere la propria base elettorale.

Nello sforzo di riformulare la retorica del partito in termini liberali e secolari, Marine Le Pen ha modificato le posizioni del partito su una serie di temi inerenti la questione femminile: il partito non condanna più l’aborto, ma lo definisce una “triste necessità”, e ha iniziato a sostenere l’assegnazione del congedo parentale a entrambi i genitori contemplando la possibilità di condividerlo: questi esempi rendono evidente la cesura rispetto alla leadership del padre.

In opposione alla rappresentazione tradizionale della donna, confinata in un ruolo passivo in ambito domestico, la retorica ufficiale del partito, così come la propaganda, assegna alle donne ruoli attivi, ponendo l’accento sulla rappresentazione della donna quale resistente liberata che difende l’identità nazionale e i diritti delle donne contro i migranti musulmani.

In questa guerra di liberazione le donne sono guidate da Marine Le Pen, che ritrae se stessa come “la donna dei tempi moderni“, e ancora:

una donna francese emancipata, che durante la sua vita ha potuto godere di libertà molto preziose acquisite dalle madri e dalle nonne [francesi]… che teme che la crisi migratoria possa segnare l’inizio della fine dei diritti delle donne.

Tuttavia, la nuova retorica è nettamente in contrasto con le proposte legislative del partito in materia di equità di genere. In questo contesto, il partito presenta il velo islamico non soltanto come una pratica aliena alla cultura francese, ma anche come un “attacco” ai valori repubblicani: la proibizione del velo diviene così non una misura punitiva nei confronti delle donne musulmane, ma un mezzo teso a difendere i diritti delle donne.

Sorprendentemente nel Manifesto del 2017 il partito contempla la promessa di “combattere l’islamismo” nel paragrafo dedicato alla “difesa dei diritti delle donne“, correlandola all’impegno di contrastare la precariertà lavorativa per le donne. Si tratta di uno spudorato tentativo di riformulare l’approccio esclusivista e islamofobico del partito nei termini liberali (in quanto opposti al nativismo culturale) di tutela dei diritti fondamentali delle donne.

Anche il partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland (AFD) si fa propugnatore della proibizione del velo. Nel Manifesto per la Germania (2017) il partito ha dichiarato che:

il velo, quale simbolo religioso e politico della sottomissione della donna musulmana all’uomo, è la negazione degli sforzi di integrazione, della parità dei diritti delle donne e delle ragazze, nonché della possibilità di piena realizzazione dell’individuo.

In altre parole, il partito afferma che il velo dovrebbe essere proibito in primo luogo perché rappresenterebbe un ostacolo all’integrazione e, in secondo luogo, perché costituirebbe un impedimento all’affermazione della parità di diritti per le donne. Tuttavia, quando si parla di famiglie autoctone e dell’educazione dei loro figli, il partito assume posizioni chiaramente anti-femministe. Si spinge fino a rifiutare le quote rosa (come il Rassemblement National) e l’educazione di genere (vista come “un’intromissione nel percorso di naturale sviluppo dei bambini“).

Inoltre, il partito denuncia i finanziamenti pubblici agli studi di genere, sostenendo che l’ideologia di genere nega “le differenze naturali tra i sessi e gli specifici ruoli all’interno della famiglia“. L’AFD è inoltre contrario agli asili nido, alle scuole a tempo pieno e alle politiche di sostegno all’impiego femminile, in quanto si tratterebbe di misure capaci di minacciare la struttura tradizionale della famiglia.

In altre parole, se da un lato il partito fa proprio l’argomento dell’uguaglianza di genere quando si tratta di affermare la proibizione del velo, dall’altro accentua le differenze di genere assegnando alle donne ruoli tradizionali legati ai doveri riproduttivi e domestici.

L’apparente contraddizione diventa palese se si osservano i materiali pubblicitari per la campagna elettorale. Alcuni poster mostrano donne tedesche con il capo coperto, calpestandone dunque l’identità. Altri ritraggono ritraggono donne incinte che “riproducono la Nazione“, o ancora corpi meravigliosi che indossano un bikini invece di un burka. Infine vi sono donne vittime di violenza da parte di migranti musulmani, che devono essere protette e salvate. Nella destra populista tedesca la donna – che sia migrante o tedesca – diventa lo strumento della propaganda nativista che traccia un confine tra outsider e insider.

Contraddizione profonda

La sensibilità di genere della destra populista non rappresenta un caso avulso dal contesto storico, ma piuttosto un’istanza del processo di culturalizzazione della migrazione condotto dalle politiche occidentali.

In secondo luogo, la svolta verso le politiche di genere e l’enfasi posta sull’uguaglianza delle donne rivelano la messa in campo di strategie comunicative con scopi ben precisi. Queste, infatti, tracciano una correlazione tra l’islamofobia e un’illusoria sensibilità verso i diritti delle donne e il bisogno di tutelarli, facendo sì che i partiti populisti di estrema destra amplino la base del consenso.

Le prospettive di genere si rivelano una chiave essenziale per comprendere le strategie attraverso le quali i partiti populisti della destra radicale strumentalizzano i diritti delle donne in termini eclettici, pragmatici e spesso profondamente contraddittori, per diffondere le loro politiche anti-migratorie,  islamofobiche e in difesa degli autoctoni.

Silvia Godano

Laureata in Filosofia Politica e Comunicazione Interculturale, vive da alcuni anni in Germania, dove si occupa di politiche per l’integrazione, dialogo interculturale e migrazioni. È inoltre giornalista pubblicista, traduttrice e viaggiatrice per passione.

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