Crisi climatica e scomparsa delle specie: le sfide del XXI secolo
[Traduzione a cura di Gaia Resta dall’articolo originale di Farhana Haque Rahman pubblicato su Inter Press Service]
La rana del lago Oku, chiazzata e rossastra, ha fatto il suo tragico ingresso nella Lista Rossa, un elenco in rapida espansione di specie minacciate. Un tempo presente con numerosi esemplari nella foresta pluviale di Kilum-Ijim in Camerun, ormai non viene più avvistata dal 2010 ed è ora considerata a serio rischio e probabilmente estinta.
I ricercatori attribuiscono la sua scomparsa a un’infezione mortale causata dal fungo chitride. Come evidenziato dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), il fungo della cute ha distrutto la popolazione anfibia in tutto il mondo ed è noto per essere il killer più aggressivo in assoluto, responsabile della diminuzione di almeno 500 specie anfibie e di 90 presunte estinzioni.
La Lista Rossa della IUCN è arrivata a contare oltre 105.000 specie vegetali e animali e l’aggiornamento più recente, che risale a luglio 2019, riporta che il 27 percento delle specie elencate è a rischio di estinzione. Dal 2018 nessuna specie sulla lista ha visto migliorare il proprio status per poter passare ad una categoria di rischio inferiore.
Lo sfruttamento da parte degli uomini è spesso responsabile di tutto ciò, come nel caso del cercocebo dal collare cacciato come selvaggina mentre le foreste dell’Africa occidentale in cui vive vengono distrutte per far spazio all’agricoltura; o la testuggine pancake dell’est Africa in stato di pericolo critico a causa del commercio globale di animali da compagnia. Anche migliaia di specie di alberi sono ora entrate nella lista.
Con il suo approccio multidimensionale nel contrasto alla scomparsa delle specie, la IUCN ha lanciato il programma First Line of Defence against Illegal Wildlife Trade [“Difesa in prima linea contro il commercio illegale di animali selvatici”] in Africa orientale e meridionale, coinvolgendo le comunità rurali tra le collaborazioni chiave nel contrastare i crimini contro gli animali selvatici. Ma questa è solo una piccola parte di una sfida molto più ampia.
Grethel Aguilar, direttore generale pro tempore della IUCN, ha sottolineato: “Dobbiamo finalmente renderci conto che preservare la biodiversità è nel nostro interesse ed è assolutamente fondamentale al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Stati, aziende e membri della società civile devono agire con urgenza per fermare lo sfruttamento eccessivo della natura, e devono rispettare e sostenere le comunità locali e le popolazioni indigene perché consolidino mezzi di sostentamento sostenibili”.
Jane Smart, direttore internazionale del Gruppo per la Conservazione della Biodiversità della IUCN, ha dichiarato che l’aggiornamento della Lista Rossa conferma le scoperte del recente Global Biodiversity Assessment del IPBES: “La natura è in declino a livello globale a ritmi senza precedenti nella storia dell’uomo”.
Oltre un milione di specie animali e vegetali sono ora a rischio di estinzione, molte scompariranno nel giro di decenni, “a meno che non vengano intraprese azioni atte a ridurre l’intensità dei fattori che determina la perdita di biodiversità”, secondo un report dell’IPBES, la Piattaforma Intergovernativa di Politica Scientifica per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici.
Il report segnala che, a livello globale, il ritmo dell’estinzione delle specie è già superiore di almeno dieci volte alla media dei precedenti 10 milioni di anni, un ritmo che aumenterà ancora se non si agirà.
A maggio è stato diffuso un riassunto e il report intero dovrebbe essere approvato a breve, con la valutazione dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 50 anni e la descrizione dei possibili scenari futuri.
Le terribili statistiche illustrano nel dettaglio come 32 milioni di ettari di foreste vergini o in fase di recupero siano andati perduti soltanto tra il 2010 e il 2015 nella zona dei tropici, caratterizzata da un alto indice di biodiversità. Per rendere l’idea, si tratta di un’area estesa più o meno come tutta la Germania.
“Gli ecosistemi, le specie, le popolazioni naturali, le varietà e specie locali di piante e animali addomesticati stanno diminuendo, si stanno deteriorando o stanno scomparendo. Il sistema della vita sulla terra, essenziale e interconnesso, si sta riducendo e logorando sempre più” ha dichiarato il Prof. Josef Settele, co-responsabile del report. “Questa perdita è il risultato diretto delle attività dell’uomo e costituisce una minaccia al benessere dell’uomo in tutte le zone del mondo”.
In modo del tutto significativo, per la prima volta su questa scala, gli oltre 400 autori del report hanno classificato i cinque principali fattori causali di questo disastro globale. Sono elencati in ordine decrescente: (1) cambiamenti nell’uso della terra e del mare; (2) sfruttamento diretto degli organismi; (3) cambiamento climatico; (4) inquinamento e (5) specie aliene invasive.
Chiaramente, tali problematiche sono interrelate e non possono essere affrontate singolarmente. Alcune specie risentono di tutti i cinque fattori o da una combinazione fatale di essi. I ricercatori che studiano l’infezione fungina che sta spazzando via anfibi come la rana del lago Oku, ritengono che il fattore più importante nella diffusione dei patogeni sia il commercio internazionale di animali selvatici. Alcuni hanno anche dichiarato che i cambiamenti climatici su scala locale hanno consentito al fungo chitride di svilupparsi in nuovi habitat.
Non è una sorpresa che i governi non stiano affrontando questi allarmi.
“Nonostante 40 anni di negoziati sul clima globale, tranne rare eccezioni, in generale non abbiamo modificato i nostri comportamenti e ampiamente mancato di affrontare questa emergenza” hanno dichiarato in un recente report 11.258 scienziati riuniti nella Alliance of World Scientists. Nel report si legge che l’emergenza climatica sta accelerando ad una velocità che la maggior parte di loro non avrebbe mai previsto e potrebbe raggiungere punti critici potenzialmente irreversibili, rendendo inabitabili vaste aree della terra.
La conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico, la COP25, si [è svolta] a Madrid dal 2 al 13 dicembre, tra gravi segnali di tensione nei Paesi leader. Il Brasile avrebbe dovuto ospitare il summit ma il presidente Jair Bolsonaro ha escluso che avesse luogo durante la sua presidenza e nei primi nove mesi del suo governo sono stati abbattuti oltre 7.600 chilometri quadrati di foresta pluviale. Il testimone è stato poi passato al Cile che ha dovuto tirarsi indietro a causa delle proteste contro il governo. Inoltre a novembre il presidente Donald Trump ha avviato formalmente la procedura per far uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015.
La COP25 ha ereditato il lavoro arretrato della COP24, svoltasi a Katowice, capitale polacca delle miniere di carbone, con l’obiettivo di negoziare gli elementi finali del regolamento di attuazione dell’Accordo di Parigi. Inoltre in programma l’avvio dei lavori sugli obiettivi futuri per le emissioni, in anticipo sulla cruciale conferenza di novembre 2020 a Glasgow, consapevoli che gli impegni dichiarati dai governi e le attuali traiettorie delle emissioni di gas serra sono di gran lunga inferiori a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi.
“La scomparsa delle specie e il cambiamento climatico sono le due grandi sfide dell’umanità in questo secolo”, dichiara Lee Hannah, ricercatore capo in Biologia del Cambiamento Climatico presso Conservation International. “I risultati sono chiari, dobbiamo agire subito rispetto ad entrambe …”