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Attesa nel 2020 ondata di austerity nei Paesi in via di Sviluppo

Immagine dell'utente Flickr Eric Sonstroem - Licenza Creative Commons

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[Traduzione a cura di Hannah Cartwright dall’articolo originale di  Isabel Ortiz and Thomas Stubbs pubblicato su Inter Press Service News Agency]

Dopo anni di rigore, alcuni Paesi dell’Eurozona stanno considerando la possibilità di espandere le proprie politiche fiscali. E nel Regno Unito la spesa pubblica dovrebbe tornare ai livelli visti l’ultima volta negli anni ’70. Ma in altre parti del mondo, soprattutto nei Paesi più poveri, l’austerity continua a dilagare.

Manifestazione di azioni di solidarietà con i lavoratori europei che affrontano misure di austerità ripresa da Olivier Hansen, 2012. Foto rilasciata in licenza Creative Commons

Dal 2010, molti Governi hanno ridotto la spesa pubblica. Una recente ricerca rivela che circa il 75% della popolazione mondiale, ovvero 5,8 miliardi di persone, sarà in Paesi toccati dall’austerità entro il 2021.

Questa nuova ondata di austerità comincerà l’anno prossimo e riguarderà 130 Paesi, la maggior parte in via di sviluppo. Fino a 69 Stati subiranno delle “contrazione eccessive“, riducendo la spesa sotto livelli precedenti alla crisi finanziaria globale del 2007. La lista include Paesi con seri bisogni sia dal punto di vista umano che dello sviluppo. Tra questi Burundi, Gibuti, Eritrea, Iraq, la Repubblica del Congo e Yemen.

Ma invece di investire in una solida ripresa per portare la prosperità ai cittadini, i Governi stanno riducendo le pensioni, i salari del settore pubblico (compresi quelli degli insegnanti e degli operatori sanitari), l’assistenza sociale e i diritti dei lavoratori. Le conseguenze delle politiche di austerità sono già dolorosamente evidenti. Milioni di persone saranno spinte nella povertà, molte delle quali donne, bambini e persone con disabilità.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) consiglia ai Governi dei Paesi in via di Sviluppo di intraprendere riforme di austerità. Lo fa nell’ambito delle sue regolari missioni di sorveglianza o quando i Paesi devono sottoscrivere i programmi di adeguamento strutturale per chiedere prestiti.

Le sessioni delle Aspirazioni della Gioventù del FMI in Medio Oriente e Nord Africa includevano relatori Brian Cheung, Sunil John, Syrine Chaalala e Jihad A.D. Fotografie dello staff del FMI / Stephen Jaffe

Sebbene il FMI affermi di proteggere la spesa pubblica in questi programmi, alcune ricerche indipendenti provano il contrario. Le riforme politiche obbligatorie del FMI hanno portato nei Paesi in via di Sviluppo a una riduzione della spesa pubblica nel settore dell’educazione e della salute.  Tali riforme hanno anche favorito l’aumento delle disparità di reddito, la riduzione dei diritti dei lavoratori, il calo dell’accesso all’assistenza sanitaria e l’aumento della mortalità neonatale.

Oltre a questi effetti diretti nell’ambito della protezione sociale, c’è un altro grande problema meno conosciuto. Tagliando funzionari pubblici qualificati, le politiche di austerità del FMI hanno minato l’abilità amministrativa dei Governi di fornire servizi pubblici efficaci. Prove recenti evidenziano che le riforme fiscali imposte dal FMI non risultano in un aumento di reddito dei Governi. Semplicemente cambia solo da dove proviene il reddito: più da merci deperibili e tasse sui servizi, e meno da altre fonti. Questa rappresenta un passare la palla ai membri più poveri della società.

Le riunioni annuali del FMI e della Banca Mondiale, recentemente concluse, hanno presentato un’opportunità per valutare le conseguenze dannose dell’austerità. Sulla scia delle manifestazioni diffuse a causa del programma del FMI in corso in Ecuador, seguite a quelle in Argentina, la necessità di un percorso alternativo si è avvertita con particolare urgenza. Osservatori critici speravano in una leadership intellettuale e impegni concreti che non fossero quelli dell’austerità. Ma hanno ottenuto è stato più o meno le stesse cose: false dichiarazioni sulla necessità di rafforzare la spesa sociale, accompagnate però dall’inasprimento della riduzione della spesa.

L’austerità non dovrebbe essere la “nuova normalità”. Una delle conclusioni che fa più riflettere dopo lo scorso decennio di austerità era che questi tagli di budget non sono mai stati mai davvero necessari. I Governi avrebbero potuto – e avrebbero dovuto – perseguire opzioni e politiche alternative. Queste avrebbero portato prosperità ai cittadini e avrebbero evitato l’attuale influsso di scontento sociale.

Anche nei Paesi più poveri, i Governi possono creare uno spazio fiscale per la protezione sociale. Servizi pubblici e investimenti possono essere finanziati attraverso una tassazione progressiva, un inasprimento di flussi finanziari illeciti, una migliore gestione del debito, strutture macro economiche più accomodanti, e – nel caso dei Paesi più poveri – attività di lobby per favorire maggiore assistenza. Ad esempio, negli ultimi anni oltre 60 Paesi hanno rinegoziato il debito sovrano, dando la possibilità ai Governi di spendere meno per il servizio del debito e più per le spese di sviluppo.

Queste strategie per aumentare i finanziamenti sono coerenti con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, concordati da 193 Paesi nel settembre 2015 all’ONU, con impegni specifici per l’istruzione universale, la salute, e la protezione sociale.

Per raggiungere questi obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale bisogna chiudere con le dannose politiche di austerità dell’ultimo decennio. Ancora più importante, significa riconoscere che un futuro di austerità sia una catastrofe evitabile.

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