21 Novembre 2024

Tamil Nadu, i villaggi stretti tra i disastri del clima e industrie

Punnaikayal è un villaggio collocato al delta del fiume Thamirabarani, unico fiume perenne dell’intero Tamil Nadu e perciò cuore pulsante della vita dei distretti che attraversa, Tirunelveli e Thootukudi. In quest’ultimo, come descritto in un precedente articolo, il 22 marzo dello scorso anno si è svolta un’enorme protesta finita in tragedia, con tredici vittime per mano della polizia che si è giustificata adducendo il dovere di mantenere l’ordine.

Visitare Punnaikayal riesce a dare una dimensione effettiva di quella che è la situazione in vari villaggi di pescatori. Lo stile di vita di numerose comunità, sempre vissute sulla costa e abituate ai capricci del mare, ora viene sconvolto dalla sete di profitto di alcune aziende, che trovano conveniente installare i propri impianti in punti strategici in cui possono sia attingere pienamente alle acque del fiume, sia rilasciare le proprie sostanze di scarico presso il grande estuario che ne costituisce la foce.

Molti di coloro che protestavano attivamente contro questi episodi stanno infine cedendo ad una logica che quasi si impone come legge, quella dello Stato che sembra schierarsi immancabilmente dalla parte delle industrie, lasciando agli abitanti della zona poco più che il diritto di protestare.

Ma facciamo un passo indietro. La piccola realtà di Punnaikayal esemplifica in modo chiaro la complessità delle dinamiche di potere che al momento delineano i rapporti a livello globale, soprattutto riguardo ai conflitti ambientali. È pertanto necessario analizzarne il panorama partendo da lontano.

Volendo fare una breve ricostruzione storica, bisogna ricordare che la costa del Tamil Nadu è stata, prima di tutto, raggiunta da mercanti e missionari portoghesi, avvantaggiati per questo nei propri affari con l’Oriente. Ma, sorprendentemente, questi mercanti e missionari trovarono sul territorio un cristianesimo già diffuso.

La leggenda racconta che sia stato lo stesso San Tommaso, uno dei dodici apostoli, a cominciare l’evangelizzazione proprio nel sud dell’India. partendo dal Kerala, gli insegnamenti del Vangelo si sarebbero poi diffusi  attraverso i suoi discepoli nello Stato adiacente del Tamil Nadu. A Punnakayal, come in molti altri luoghi, soprattutto lungo la costa, è stato edificato un edificio di culto a suo nome.

Ho visitato la chiesa di San Thomas, a pochi metri dal mare sulla foce del fiume. Al momento è in fase di ricostruzione dopo una mareggiata. La zona di cui stiamo parlando è una delle aree più colpite dallo tsunami del 2004. Molti sono rimasti senza casa, assaliti dal vicino oceano, solitamente fonte gradita di cibo e risorse per sopravvivere.

Gli abitanti hanno dovuto quindi affrontare sfide notevoli, reinventarsi, ma sono comunque riusciti a riprendere il ritmo di vita consueto. Cosa però difficile se devono preoccuparsi anche di resistenza alle scelte dello Stato.

La gente racconta che vicino alla chiesa  avvengano miracoli, e una piccola comunità è raccolta giorno e notte nei pressi dell’edificio.

L’acqua attorno alla piccola striscia di terra è l’unione del fiume Thamirabarani con il mare e si dice che abbia proprietà miracolose e vada bevuta in tre sorsi mentre vi ci si immerge. Purtroppo si tratta in larga misura di acqua contaminata e inquinata, una sorta di trappola per i devoti.

Interno della Chiesa di San Thomas, in fase di ricostruzione

Nonostante la diffusione del cristianesimo, Punnaikayal resta un villaggio costiero indiano, e come tale conserva le differenze dettate dal sistema delle caste, basato prevalentemente sulle differenti occupazioni e seguito rigidamente.

La netta distinzione tra le classi non è in base a quanto si guadagna ma al mestiere che si svolge. Le occupazioni sono spesso ereditate, trasmesse da padre a figlio, e inseriscono l’individuo in un complesso schema di differenze e condivisioni. In questo quadro, la comunità resta comunque coesa e cerca di rimanere integra, incoraggiando le unioni su base endogamica, ossia tra un uomo e una donna appartenenti se non alla stessa casta quantomeno allo stesso villaggio.

Chi trasgredisce a queste regole non scritte viene ostracizzato, espulso dalla comunità e allontanato per sempre. Molti giovani hanno ceduto alle pressioni dell’ambiente sociale, ma trovandosi in un’unione infelice hanno deciso di togliersi la vita. Una giovane amica del posto mi ha confidato che in alcuni casi la violenza domestica viene fatta passare come suicidio, cosicché l’altro coniuge possa risposarsi. Comunque vada, questi poveri corpi disillusi vengono seppelliti infine in un lembo di terra adiacente al cimitero, ma al contempo distaccato, a rappresentare la gravità del terribile gesto e il rifiuto della comunità di riconoscerli.

Torniamo al forte inquinamento della zona. La presenza di grandi fabbriche, che scaricano direttamente in mare o nel fiume, e le cui emissioni aeree rendono l’aria mefitica, hanno portato ad un numero impressionante di casi di cancro, quasi 700 negli ultimi anni su una popolazione di meno di 16.000 abitanti. Di questo si sa molto poco e non esistono vere e proprie conferme o smentite dalla stampa, semplicemente è una situazione che tutti conoscono ma che viene solo mormorata.

Le mie fonti sono gli abitanti, ben consci di quello che sta succedendo nel luogo in cui vivono. Ma cosa possono farci? È una domanda che cade nel vuoto, visto che nemmeno le fonti d’informazione ufficiali riescono a dare voce a un simile disastro.

Il danno, ovviamente, non riguarda solo la salute della popolazione, seppure questo sia un problema evidentemente grave. Prelevare la sabbia dal letto del fiume – attività comune – fa scivolare l’acqua dolce in mare a grande velocità, e ciò disturba il ritmo delle correnti e allontana sempre di più i banchi di pesce, prima molto abbondanti, e che usualmente transitavano poco lontano dalla costa.

Questo vuol dire che i pescatori devono andare sempre più lontano per trovare cibo per le proprie famiglie e da vendere per mantenersi, e che rischiano di essere travolti dai tifoni monsonici.

Viaggio in barca verso la foce del Tamirabarani

Le stagioni stanno cambiando e così capita che estati come questa, tra le più calde sul pianeta, in cui nel Sud dell’India si attendeva l’incrocio dei due monsoni provenienti da Ovest e Nord, non arrivi una goccia d’acqua fino all’autunno. I temporali sparsi sulla costa sono ovviamente molto pericolosi per i pescatori che escono in nottata e potrebbero essere sorpresi dal loro arrivo. Sempre più spesso per la mancanza di pesce devono appunto avventurarsi sempre più lontano dalla costa, e assentarsi da casa per molti più giorni, lasciando le famiglie in pena e con il rischio di non tornare mai più.

In una comunità basata per il suo sostentamento quasi integralmente sulla pesca, la mancanza di tale risorsa ricade ovviamente anche sul mercato, e i prezzi aumentano vertiginosamente. L’abbondanza di una volta si è trasformata in scarsità, al punto che i venditori non lasciano più spazio alla carità: in passato se qualche donna in stato di bisogno allungava una mano e prendeva alcuni pesci piccoli per la sua famiglia non veniva fermata né tanto meno disprezzata. Ad oggi questi piccoli meccanismi di redistribuzione non trovano più spazio. Non c’è più solidarietà, questo perché altri “più in alto” hanno lasciato i più indifesi alla mercé delle leggi di produzione-vendita-guadagno.

Pescatori al lavoro al mercato del pesce, appena tornati da una nottata in mare

Nonostante la situazione possa solo peggiorare fino ad obbligare molti ad andarsene – ci spiega il parroco locale – nella comunità c’è la forte volontà, anche tra i giovani, di restare radicati nel proprio luogo di nascita.

Quella di Punnaikayal, come tante altre comunità sulla costa, è fortemente attaccata alle proprie radici, e non intende lasciare che i cambiamenti climatici, le fabbriche sempre più numerose, la scarsità di cibo o l’inquinamento di aria e mare distruggano quanto hanno costruito e tenuto assieme negli anni.

Statua di Gesù sul molo presso la spiaggia di Punnaikayal

Una situazione speculare si riscontra in molti altri villaggi, stretti tra sviluppo e occupazione da un lato e sopravvivenza delle tradizioni dall’altro.

È un braccio di ferro tra un Davide imperfetto, depotenziato dalle proprie contraddizioni interne e tradizioni a tratti soffocanti, e un Golia pronto a spianarsi la strada con la forza, sostenuto da due importanti convinzioni: che il lavoro è comunque meglio che la disoccupazione e che il sostegno dello Stato passa dalla promessa di maggiore ricchezza, anche se non è chiaro a quale prezzo.

Cosa promette dunque il futuro? Di sicuro le proteste potrebbero riorganizzarsi. Quello che rivela un contesto come quello di Punnaikayal è che un vero miglioramento non può giungere da una sola direzione e che per ottenere risultati duraturi e positivi per ogni parte bisogna trovare soluzioni e azioni comuni, cosa di cui al momento non c’è traccia.

[Le foto sono dell’autrice dell’articolo]

Alessandra Innocenti

Originaria di Arezzo, ha studiato Sviluppo e Cooperazione all'Università di Bologna e sta attualmente completando una laurea magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia all'Università di Torino. Si interessa di giornalismo e scrittura. Attualmente è particolarmente immersa nelle vicende del Tamil Nadu, inserite nel più ampio contesto dei cambiamenti climatici e delle scelte politiche a livello globale.

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