La Turchia di Erdoğan sta cancellando diritti e libertà

Le ultime notizie che arrivano dalla Turchia sono lo specchio di quanto sta accadendo nel Paese da anni. Soprattutto in tema di diritti politici, civili e di libertà, sempre più ristrette dal controllo governativo del presidente Erdoğan.

Il 13 settembre, nella zona Sud-Est della nazione, a maggioranza curda, si è verificato un grave attentato che ha causato la morte di 7 persone. Si è subito sospettato che gli autori dell’esplosione, avvenuta per strada nella regione Diyarbakir – qui si concentra la popolazione curda turca – fossero militanti del PKK. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, organizzazione paramilitare di matrice terroristica secondo Turchia, Unione Europea e Stati Uniti, lotta da decenni contro il Governo di Ankara per uno Stato indipendente.

Il grave episodio di violenza viene letto come l’apice di una tensione diventata molto forte a livello politico proprio in questa estate. In agosto, infatti, la polizia turca ha arrestato 418 persone accusate di sospetti legami con il PKK. Il ministero dell’Interno del Paese, inoltre, ha annunciato lo stesso giorno l’arresto di 3 sindaci regolarmente eletti in città curde. Nello specifico, Selçuk Mızraklı, sindaco di Diyarbakir, il primo cittadino di Mardin, Ahmet Türk e quello di Van, Bedia Özgökçe Ertan. Rimossi dal loro incarico a titolo precauzionale per favorire il corso delle indagini, i 3 sindaci sono stati accusati di militanza nel PKK e di propaganda al terrorismo curdo. Gli interessati, facenti parte del moderato Partito democratico dei Popoli pro-curdo (HDP), hanno manifestato sdegno per l’operazione, considerata infondata e arbitraria.

Sempre il 13 settembre, è arrivata anche la notizia delle dimissioni dal partito governativo AKP di Ahmet Davutoğlu. Personaggio di spicco nella politica turca – è stato ministro degli Esteri dal 2009 al 2014 e Primo ministro fino al 2016 al fianco di Erdoğan – Davutoğlu aveva criticato le ultime mosse del presidente, quali la forzata ripetizione delle elezioni a Istanbul e la rimozione dei sindaci curdi. Inoltre, aveva giudicato pesantemente la decisione di Erdoğan di sottoporlo ad una commissione disciplinare con lo scopo di espellerlo dal partito.

Canan Kaftancıoğlu – Wikimedia Commons

L’intento presidenziale di mettere a tacere ogni forma di critica e dissenso verso il potere è chiaro. Il 6 settembre scorso un tribunale turco ha deciso di condannare Canan Kaftancıoğlu a nove anni e otto mesi per insulto al presidente e diffusione di propaganda terroristica. La donna è membro del partito di opposizione Partito popolare repubblicano (CHP).

Le sue colpe sono, tra le altre, di aver espresso liberamente su Twitter la sua contrarietà alla reazione esagerata della polizia durante le proteste di Gezi Park e alla durezza di Erdoğan dopo il colpo di Stato del 2016. Probabilmente Canan Kaftancıoğlu ha pagato con la sua libertà anche per essere stata una delle protagoniste della vittoria elettorale del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu del CHP. Elezione, quest’ultima, molto complessa e contestata, ripetuta ben due volte per volontà del partito di Erdoğan (perdente in entrambe le consultazioni).

Festa in piazza per il sindaco Ekrem İmamoğlu, eletto dopo aver ripetuto le elezioni – Foto da video di Al Jazeera

La politica repressiva di Erdoğan è evidente e sempre più allarmante. In Turchia, infatti, l’esercizio dei legittimi diritti e libertà di associazione, riunione, espressione, informazione, difesa di minoranze e diritti umani è concretamente compromesso, anzi abolito. L’accanimento nei confronti dei giornalisti è tale che per il terzo anno consecutivo, nel 2018, Ankara risulta il posto dove più vengono perseguitati e incarcerati i professionisti della stampa libera. Anche se lo stato di emergenza applicato dopo il fallito golpe del 2016 è stato revocato, la Turchia continua a vivere ai limiti della legalità.

Sono ancora tanti, infatti, i protagonisti di storie di ingiustizia e oppressione. Lo scrittore turco Ahmet Altan sta scontando l’ergastolo da quando, nel 2016, è stato accusato di lanciare messaggi alla popolazione favorevoli al colpo di stato. Il processo al quale è stato sottoposto insieme a suo fratello, professore universitario, ha fatto il giro del mondo proprio come esempio di farsa e preoccupante parodia della giustizia in atto in Turchia.

Erol Önderoğlu, giornalista di Reporters sans Frontières in Turchia, dopo essere stato assolto in primo grado a luglio, dovrà ripresentarsi in appello per le confermate accuse di propaganda terroristica, giustificazione di atti criminali e incitazione al crimine. In più, a novembre dovrà affrontare anche il processo per sostegno e propaganda terroristica solo per aver appoggiato la campagna di attivisti che chiedevano lo stop delle azioni militari nella Turchia curda.

Ad agosto, 19 difensori dei diritti LGBTI sono venuti a conoscenza di un procedimento penale contro di loro, per le accuse di partecipazione a un’assemblea illegale e di resistenza nonostante l’avvertimento. La colpa imputata è la partecipazione alla pacifica LGBTI + Pride March ad Ankara il 10 maggio 2019.

L’avvocato per i diritti umani Hanifi Barış dovrà presentarsi in prima udienza al Tribunale penale di primo grado per difendersi dall’accusa di insulti al presidente turco tramite dei post su piattaforme social. Sta scontando la prigione dopo la condanna a maggio a 3 anni e 9 mesi anche l’attivista per i diritti umani Eren Keskin, accusata di propaganda al terrorismo per aver scritto alcuni articoli sulla rivista Özgür Gündem.

Queste sono soltanto alcune delle persone perseguitate per aver espresso libere opinioni contrarie al Governo e per aver operato a favore dei diritti umani. Tante sono le storie di chi, anche se ora assolto, ha subito processi e detenzioni assolutamente arbitrarie.

Intanto nel Paese continua lo stato di assedio sull’esercizio delle fondamentali libertà. Nell’ambito del processo contro gli attivisti delle proteste di Gezi Park, il 16 luglio è stato oscurato il sito web geziyisavunuyoruz.org. Il portale era stato creato per informare il popolo turco sulle vicende giudiziarie in corso, con testimonianze, fotografie, video.

La palese volontà della giustizia governativa è di mistificare la realtà di un processo già considerato infondato. Nell’ultima udienza di luglio, la Corte ha stabilito il proseguimento di detenzione di Osman Kavala, accusato di aver finanziato ed organizzato le proteste di piazza del 2013 con il tentativo di rovesciare il potere. Tutti i difensori dei diritti umani coinvolti rischiano l’ergastolo.

Proteste e gas lacrimogeni a Gezi Park – Foto Flickr Creative Commons – Reskaros

A testimonianza del clima di oppressione che si respira in Turchia c’è anche la decisione in agosto della terza Corte penale di pace di Ankara di bloccare e cancellare ben 136 siti web. Secondo quanto detta la legge 5651 approvata nel 2007, infatti, l’oscuramento sarebbe giustificato da violazioni della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, del diritto alla vita. Tra i siti già coinvolti spicca bianet.org, portale di giornalismo indipendente esemplare in Turchia.

In ambito di restrizioni si evidenza anche la chiusura di Wikipedia nella versione turca. La censura è iniziata nel 2017 e continua ancora oggi. La grave decisione di Ankara è arrivata fino alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), che ha da poco deciso proprio di accelerare la presa in carico del caso.

La deriva verso la dittatura è davvero prossima in Turchia. Nonostante diversi appelli affinché vengano riformate giustizia, protezione delle libertà, divisione dei poteri da parte del governo, Erdoğan non sembra voler cambiare rotta. La recente visita della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e la missione di organizzazioni internazionali per la libertà di stampa avvenute in Turchia hanno lanciato forte l’allarme.

Servirebbe un più fermo intervento delle istituzioni UE, al momento coinvolte soprattutto in accordi convenienti per l’immigrazione con lo stesso Erdoğan.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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