[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Colin Beale pubblicato su The Conversation]
Sebbene gli incendi catastrofici che hanno colpito la Foresta Amazzonica siano sulle prime pagine di tutti i quodiani, da qualche giorno la NASA ha fatto notare che ad oggi [28 agosto, NdR] si registrano più incendi in alcune zone dell’Africa che in tutto il Brasile.
Questo ha portato alcuni a chiedersi se i media stiano utilizzando due pesi e due misure: stiamo ignorando un disastro ambientale ancora più grande in Africa, oppure tale risalto mediatico dato agli incendi in Amazzonia è solo uno strumento utile per criticare il leader brasiliano anti-ambientalista Bolsonaro?
Per più di dieci anni, insieme a colleghi provenienti da tutto il mondo, abbiamo studiato gli impatti ecologici che possono avere gli incendi in Africa Orientale. La domanda è: questi incendi rappresentano un disastro ambientale analogo a quello dell’Amazzonia?
Nella savana gli incendi sono frequenti
La prima cosa che c’è da sapere è che il loro impatto dipende principalmente da dove scaturiscono e da cosa brucia, più che da quanto siano estesi o da quanti focolai ci siano.
La maggior parte degli incendi africani attivi al momento sta bruciando nelle praterie, proprio in quelle zone dove ci si aspetta che ci siano incendi in questo preciso periodo dell’anno. Questi fuochi vengono di solito accesi dagli allevatori di bestiame, come parte di un modello di gestione tradizionale delle savane. Alcuni incendi vengono appiccati per stimolare la ricrescita dell’erba verde di queste zone, fonte di nutrimento per gli animali, altri invece sono usati per controllare il numero di zecche parassite o per ridurre la crescita degli arbusti spinosi.
Senza gli incendi, molte savane (insieme agli animali che ci vivono) non esisterebbero. Così il fatto di bruciarle risulta un’attività fondamentale di gestione di molte aree protette simbolo dell’Africa.
Per esempio, il Serengeti in Tanzania è conosciuto in tutto il mondo per ospitare ampie specie di animali e impressionanti mandrie di gnu. E il nostro studio mostra come metà della sua prateria vada in fiamme ogni anno.
Gli incendi della Savana sono naturali?
La domanda che spesso mi pongono è se questi incendi sono “naturali” o se fanno parte di un piano di gestione e conservazione del territorio. A questa domanda, di solito, rispondo con un’altra considerazione: che cosa c’è di “naturale” in un continente in cui i primi Hominis – i nostri antenanti e parenti più stretti – appiccano incendi già da un milione di anni?
La savana è probabilmente evoluta assieme ai nostri antenati che accendevano i fuochi, principalmente per far crescere erba verde che avrebbe attirato gli animali che loro cacciavano, e in seguito come allevatori per farli pascolare. Gli animali e le piante della savana non solo si sono adattati a sopravvivere a questi eventi, ma alcuni addirittura ne sono diventati dipendenti: il bellissimo corridore di Temminck ne è un esempio.
Quest’uccello della savana, famoso per la produzione di uova nere, fa il nido solo nelle zone bruciate da poco.
L’anno scorso ho condotto uno studio che ha aiutato a capire l’importanza degli incendi sulla biodiversità di queste zone. Abbiamo osservato quelle parti della savana colpite da diversi tipi di incendi : in alcune aree i fuochi sono stati maggiori, in altre minori, in altre più violenti o più miti e in altre ancora non ce ne sono stati. Così alla fine ci siamo resi conto che queste zone ospitavano rispettivamente fino al 30% e al 40% in più di varie specie di mammiferi e di uccelli.
Un altro fattore da considerare è che gli incendi nella savana bruciano principalmente erba secca che ricresce ogni anno: la CO2 rilasciata dagli incendi nelle praterie viene poi riassorbita dalla crescita del nuovo manto erboso l’anno successivo, il che fa sì che questi incendi producano, nell’arco di un anno, emissioni di carbonio quasi del tutto neutre.
Le foreste stanno bruciando?
Rispetto ai fuochi della savana, il vero problema sono gli incendi nelle foreste, che siano in Africa o in Amazzonia. Le foreste tropicali sono di solito delle zone calde e umide, senza erba secca per far ardere il fuoco ed è per questo che molto spesso non bruciano. Però, se per qualsiasi motivo, il terreno si secca, o per via di una siccità o per causa della deforestazione, si creano zone aride che incontrando i venti secchi causano incendi catastrofici.
Poiché le piante e gli animali di queste zone non si sono adattati agli incendi, molti muoiono e l’ecosistema impiega decenni per riprendersi. Allo stesso modo e in netto contrasto con gli incendi delle praterie, la CO2 emessa dagli incendi nelle foreste tropicali impiegherà decine di anni per essere riassorbita, e questo significa che gli incendi nelle foreste hanno un impatto enorme sulle emissioni globali.
Sebbene, al momento, ci siano degli incendi nelle foreste africane (fenomeno abbastanza diffuso), nel continente non se ne registra un evidente aumento. Mentre i dati dimostrano che, quest’anno, gli incendi in Amazzonia sono molto più abbondanti rispetto al passato.
Il vero problema resta in Amazzonia
Sfortunatamente, sembra che a differenza degli incendi in Africa, quelli in Amazzonia stiano bruciando aree di foresta in cui i costi legati alla perdità della biodiversità, ai danni subìti dalle popolazioni indigene e alle emissioni di CO2 rischiano di essere particolarmente elevati. Sappiamo anche per certo che quest’anno gli incendi sono aumentati rispetto agli anni precedenti e che, non essendoci stati periodi di siccità, molto probabilmente la causa degli incendi in queste regioni è da imputare principalmente all’uomo.
Ma poiché gli incendi non stanno avvenendo solo in Brasile ma anche in altri Paesi, non possiamo attribuire tutti questi indizi al presidente di estrema destra Jair Bolsonaro.
Quello che invece sembra chiaro è che il vero problema resta in Amazzonia, mentre la scandalosa situazione degli incendi in Africa potrebbe essere solo una distrazione.