Giamaica, stretta tra il controllo delle élite locali e britanniche

[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Julia O’Connell Davidson pubblicato su openDemocracy]

Dal 2005, i report Trafficking in Persons (TIP) pubblicati dagli Stati Uniti hanno costantemente rappresentato la Giamaica come un luogo sempre più problematico per via delturismo sessuale infantile e del traffico sessuale (entrambi ora definiti come schiavitù moderna da alcune ONG e politici). In effetti, i report TIP e la copertura mediatica che innescano, danno l’impressione che il “traffico sessuale” in generale, e il “traffico sessuale di minori” in particolare, siano i problemi più gravi associati al commercio sessuale in Giamaica. Per combattere il fenomeno, in molti sostengono che il Governo giamaicano debba prendere una posizione più forte contro i criminali coinvolti.

Pochi politici o giornalisti si prendono però la briga di chiedere ai lavoratori del sesso se sono d’accordo con le politiche create in nome della loro protezione. La nostra recente ricerca suggerisce che non lo sono. Nel corso di questo progetto abbiamo avuto il privilegio e l’onore di lavorare con la Sex Work Alliance of Jamaica (SWAJ), una ONG locale gestita da, e per, i lavoratori sessuali.

Abbiamo intervistato le persone coinvolte nel mercato del sesso riguardo i problemi che affrontano quando svolgono il loro lavoro e se ritengono che leggi più severe e una loro maggiore applicazione possano risolvere questi problemi. La SWAJ ha anche condotto un sondaggio su 165 lavoratori del settore riguardo alle violenze che affrontano nel corso del loro lavoro.

Stiamo ancora lavorando sui nostri dati, ma alcuni risultati sono già chiari. La maggior parte dei partecipanti alla ricerca è entrata nel settore sessuale a causa di necessità economiche piuttosto che per costrizione fisica. Tuttavia, subiscono abitualmente violenza, rapine e sfruttamento. Per i lavoratori del sesso in Giamaica la violenza è la norma, non l’eccezione. Questa violenza, però, viene raramente perpetrata da “trafficanti criminali” che cercano di costringere qualcuno a svolgere un lavoro sessuale. Al contrario, viene inflitta da clienti, membri del pubblico e agenti di polizia proprio perché la vittima fa parte di quell’ambito.

Le persone con cui abbiamo parlato vedono inoltre la violenza subita come diretta conseguenza della criminalizzazione del lavoro sessuale e dello stigma che deriva dalla sua illegalità. Prostituti uomini e trans affrontano tutto questo su diversi fronti. Oltre al fatto di praticare la prostituzione, per gli uomini c’è l’aggravante che in Giamaica la sodomia rimane un reato e l’isola è luogo di una grande quantità di pregiudizi anti-gay.

Criminalizzazione e stigmatizzazione significano che quando le persone vengono violentate, picchiate, truffate o derubate, non possono rivolgersi alla polizia per ottenere protezione o giustizia. Questo è doppiamente vero quando è proprio un poliziotto a perpetrare tali crimini. Quindi, lungi dall’essere desiderosi di vedere maggiore repressione sotto le spoglie dell’anti-tratta, vorrebbero invece vedere depenalizzati prostituzione e omosessualità.

Gli intervistati concordano sul fatto che i minori non dovrebbero lavorare nell’industria del sesso. Ma anche in quel caso la criminalizzazione non è vista come la risposta. Al contrario, sia gli intervistati che i partecipanti al sondaggio hanno discusso ripetutamente che, indipendentemente dall’età o dal metodo di guadagno, la gente comune in Giamaica trarrebbe maggior beneficio da politiche che creano inclusione e opportunità economiche ed educative, invece di esclusione e condanna.

Esclusione, criminalizzazione e schiavitù

Se vogliamo stabilire un legame analitico tra la schiavitù storica da una parte, e lo sfruttamento e la violenza attuali dall’altra, dobbiamo ricordare che la schiavitù transatlantica ha razzializzato i concetti di libertà e schiavitù. La libertà era codificata come bianca; solo le persone di discendenza europea bianca erano considerate idonee ai diritti e alle libertà di cittadinanza. Quelle razzializzate come i neri erano considerati troppo incivili e troppo rozzi per queste libertà. Non avevano onore, non ci si poteva fidare della loro parola, avevano bisogno di padroni che li controllassero e parlassero in loro vece. Questa ideologia non è finita con l’abolizione della schiavitù.

Tagliatori di canne da zucchero in Giamaica, 1880. Foto, Wikipedia

Nei Caraibi, così come negli Stati Uniti, dopo l’abolizione le persone precedentemente schiavizzate erano considerate una classe di individui pericolosi, minacciosi e “senza padrone“. Per tenerli sotto controllo, il codice penale veniva frequentemente utilizzato per disciplinarli e gestirli. In particolare, i loro sforzi per vivere in modo indipendente erano oggetto di controllo e di punizione. Ciò ha favorito un’associazione tra la blackness e la criminalità, e un’intensificazione di tutti gli stereotipi disumanizzanti che erano stati usati per giustificare la schiavitù, vale a dire stereotipi razzisti sulle persone di colore come pigre, inette, inaffidabili, disonorevoli, imbroglione, ladre e bugiarde.

In Giamaica, questi stereotipi continuano ad essere applicati a coloro che non possono accedere a quelle tipologie di istruzione e impiego che conferiscono “rispettabilità” e appartenenza. Si tratta di una parte significativa della popolazione. La Giamaica non è mai stata compensata per le devastazioni causate da secoli di colonizzazione e schiavitù, e i suoi abitanti hanno sofferto ulteriormente per via delle severe condizioni imposte dagli istituti di credito internazionali e dai pacchetti di austerità legati ai prestiti. Il Governo giamaicano spende attualmente più denaro per il servizio del debito che per l’istruzione e i servizi sociali messi insieme. Di conseguenza, un gran numero di giamaicani non è in grado di raggiungere l’istruzione di base necessaria per ottenere un lavoro precario, anche a basso reddito, nel settore del turismo.

Proprio l’industria del turismo estende e aggrava queste linee di esclusione. Le offerte di pacchetti all-inclusive, ad esempio, rinchiudono i turisti dietro recinzioni, filo spinato e sistemi di sicurezza, rendendo difficile per chi si trova dall’altra parte guadagnarsi da vivere vendendo gioielli, tour, bevande e frutta ai turisti. Se un venditore locale da spiaggia si siede su un lettino per mostrare a un turista la sua merce, viene inseguito dalla sicurezza privata o dalla polizia turistica.

I giamaicani poveri sono guardati con sospetto e ostilità, controllati come potenziali minacce. E sebbene spesso abbiano idee geniali e creative per piccole imprese e l’imprenditoria indipendente, sono esclusi dalle opportunità di realizzare i loro progetti. Non possono ottenere prestiti per avviare attività commerciali. Molti non riescono nemmeno ad avere il permesso di aprire un conto in banca, perché si presume che coloro che sono poveri e disoccupati siano truffatori e cialtroni.

Lavoratori sessuali neri ed Home Office britannico nell’era post-coloniale

I lavoratori sessuali sono trattati con ancora meno rispetto dei venditori ambulanti, e non solo dalla polizia giamaicana. L’Home Office britannico, nonostante il suo impegno nel combattere la tratta di esseri umani, ha trattato i nostri partner locali con sospetto e disprezzo quando hanno chiesto i visti per aiutarci a presentare le nostre scoperte alla British Academy, che tra l’altro ha finanziato la nostra ricerca.

Abbiamo invitato i membri del team SWAJ ad unirsi a noi per due eventi a Londra all’inizio di aprile, uno dei quali era intitolato “Talking Trafficking With Sex Worker and LGBTQ Voices From Jamaica“. Alla fine, tuttavia, solo la regista, Miriam Haughton, è stata ammessa nel Regno Unito. L’esperienza degli altri nostri partner la dice lunga sul modo in cui i discorsi contemporanei di “schiavitù moderna” rappresentano un diversivo per distogliere l’attenzione dagli strascichi dell’effettiva schiavitù transatlantica e del colonialismo.

I nostri partner hanno pagato una grande somma di denaro per richiedere i visti per entrare nel Regno Unito così da poter partecipare ai nostri eventi. Hanno mostrato le lettere di invito da parte della British Academy dichiarando lo scopo della loro visita nel Regno Unito e sottolineando che sarebbe stata interamente finanziata. Abbiamo prenotato i loro voli e la sistemazione in hotel, e gli abbiamo inviato prove di tutto ciò perché le portassero ai loro colloqui per il visto. Ma nonostante tutte queste prove, l’ufficio per i visti e l’immigrazione del Regno Unito ha rifiutato il permesso, accusandoli implicitamente di essere bugiardi, imbroglioni e criminali. Ecco l’estratto di una delle lettere di rifiuto:

Non sono convinto che tu sia un vero visitatore o che tu abbia fondi sufficienti per coprire tutti i costi ragionevoli collegati alla tua visita senza lavorare o accedere a fondi pubblici … Non sono convinto delle tue intenzioni riguardo il voler viaggiare nel Regno Unito. Non sono convinto del fatto che intenda davvero compiere solo una breve visita … e che lascerai il Regno Unito alla fine della visita.

Come ha potuto l’ufficio per i visti e l’immigrazione del Regno Unito permettersi di insultare questi candidati, accusarli di mentire nonostante tutte le prove del contrario, rifiutare loro l’ingresso e quindi trattenere i loro soldi? La risposta si collega strettamente ai risultati della nostra ricerca. Osano fare tutte queste cose perché i giamaicani poveri non sono ancora considerati come soggetti idonei alla libertà, e quindi non sono ancora ritenuti persone affidabili.

La statua di Paul Bogle a Morant Bay in Giamaica. Il diacono battista Bogle guidò nel 1865 una ribellione duramente repressa dal Governatore britannico. Foto, Flickr: Dubdem Sound System

Lyndsey Stonebridge ha recentemente sostenuto che nell’era successiva alla Seconda guerra mondiale, anziché diventare soggetti della legge sui diritti umani come hanno fatto i rifugiati europei, i popoli sfollati e sfrattati del Sud globale sono diventati oggetto di attenzione umanitaria, separati e ineguali dalla “comunità internazionale” che pretende di agire per loro conto.

Una conseguenza è che ricercatori ed esperti europei e nordamericani possono liberamente viaggiare per il mondo, mentre la mobilità delle loro controparti nel Sud globale continua ad essere patologizzata e fortemente limitata. I giamaicani possono contribuire alla ricerca sulla “schiavitù moderna” – infatti i partner locali sono richiesti per molte domande di finanziamento britanniche – ma non è garantito loro un posto accanto agli accademici e ai responsabili politici britannici quando viene discussa quella ricerca. L’emancipazione dalla schiavitù non era, e apparentemente non è ancora, la stessa cosa di libertà e uguaglianza.

Depenalizzazione e oltre

La criminalizzazione e la marginalizzazione sono forze risultate fondamentali per l’applicazione del potere statale coloniale e post-coloniale.  Da questo punto di vista, i giamaicani che combattono per la depenalizzazione del lavoro sessuale e degli atti consensuali di intimità tra persone dello stesso sesso, fanno parte della più ampia lotta per annullare il colonialismo e trasformare le pratiche oppressive mantenute dagli Stati dopo l’indipendenza.

Questa lotta è ostacolata, non aiutata, dal discorso diffuso nel Nord globale sul “traffico e la schiavitù moderna” e dalla sua invadente  preoccupazione per il diritto penale e l’applicazione della legge nei Paesi del sud del mondo, come la Giamaica.

L’attenzione delle politiche deve spostarsi sui fattori che effettivamente lasciano vulnerabili allo sfruttamento e alla violenza i nostri partner e i partecipanti alla ricerca. Piuttosto che parlare di “tratta“, dobbiamo parlare di questioni quali: affrontare la marginalizzazione e la criminalizzazione, eliminare il debito internazionale, combattere l’evasione e l’elusione fiscali da parte delle grandi imprese e rimediare ai torti storici della schiavitù e del colonialismo.

Quest’ultima è una sfida complessa, ma un semplice primo passo che il Regno Unito potrebbe compiere è quello di rimuovere completamente tutti i controlli di immigrazione sulle persone provenienti dalle ex colonie britanniche.

Elena Intra

Laureata in Lingue e successivamente in Giurisprudenza, lavora come traduttrice freelance da dieci anni. Appassionata in particolare di diritti delle donne e tematiche ambientali, spera attraverso il suo lavoro di aiutare a diffondere conoscenza su questi argomenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *