Ex Africa, in mostra i capolavori universali dell'”arte negra”

L’arte africana. Fino a poco tempo fa per molti sarebbe stato difficile menzionare o raffigurarsi forme artistiche del continente africano. Tranne avere a mente maschere, tessuti o altri oggetti tipicamente associati a una sorta di consumismo turistico. Oggetti tradizionali, “etnici”, insomma. Non considerati propriamente opere d’arte.

Eppure l’arte africana ha seguito le sue strade, creato scuole, inventato stili. Proprio come l’arte in tutte le parti del mondo ha sempre fatto. Quello che è mancato negli anni è stato il riconoscimento del valore artistico di quanto proveniva dal continente sub-sahariano. Tranne spogliarlo, ripetutamente, delle opere migliori, saccheggiarlo, appropriarsi di oggetti a beneficio delle corti europee, di collezioni private, di musei. Non quelli africani, però, che con molta fatica hanno cominciato solo nel secolo scorso, e in quello attuale, a collocarsi fieramente nel novero di luoghi di cultura e di conservazione delle proprie espressioni artistiche.

La mostra Ex Africa, ospitata al Museo Civico Archeologico di Bologna fino all’8 settembre 2019, ha questo merito: restituire dignità alla produzione artistica di tutti i tempi del continente. Lo chiarisce anche il “sottotitolo” dell’evento, “Storie e identità di un’arte universale”. Sotto l’occhio – a volte stupito – del visitatore ci sono oltre 270 capolavori provenienti da grandi musei e collezioni internazionali.

Dalla sezione Semplicemente arte. Figura di reliquario Sango Kota, Gabon. Legno e metallo. Collezione privata, Belgio. Foto tratta dal sito della mostra

Cosa genera lo stupore del visitatore? Sicuramente vedere racchiusi in un unico luogo, come mai accaduto in Italia, tanti esempi e testimonianze delle diverse culture dei territori africani dove queste opere sono state concepite e create. Opere che datano lontano fino all’XI secolo e arrivano ai nostri giorni. Nell’allestimento ci sono anche sezioni dedicate all’arte contemporanea dove fanno sfoggio lavori realizzati con materiale riciclato – messaggio chiaro alla società dei consumi e degli scarti spesso inviati in Africa.

Alcune opere della Sezione dedicata all’arte contemporanea. Foto tratta dal sito della mostra

L’esposizione è divisa in 9 sezioni: Semplicemente Arte; Non creazione anonima ma arte di artisti; Un’arte antica: il caso Mande, 1000 anni di arte del Mali; Un’arte di corte: il Benin; Gli avori afro-portoghesi; Mostra di “scultura negra”, Venezia 1922; XX secolo: l’Europa guarda l’Africa; Un’estetica “diversa”. Ordine e disordine nell’arte vodu; Arte africana contemporanea.

Ad aprire il “viaggio” verso opere e storie è un’antica mappa, anzi un planisfero portoghese dell’inizio del XVI secolo dove – con una certa maestria – sono indicate le parti e i luoghi allora noti del continente, soprattutto le aree costiere. Cominciava in quel periodo il “contatto” tra gli europei e i popoli d’Africa. La costruzione del castello portoghese di São Jorge da Mina (oggi Elmina) sulle coste del Ghana (l’antica Gold Coast), centro di affari e smercio di cose e persone e ben raffigurato sul planisfero, iniziò nel 1482.

Un contatto che, se all’inizio era contrassegnato da curiosità e voglia di sapere, si trasformò molto presto in violenza, espropriazione e elaborazione di una letteratura che avrebbe per sempre segnato l’opinione e la considerazione che il resto del mondo avrebbe avuto degli africani. Quando parliamo di espropriazione ci riferiamo a quella delle opere d’arte, ma anche degli uomini, donne e persino bambini che furono oggetto di commercio durate tre secoli di tratta atlantica.

Per quanto riguarda invece la creazione di stereotipi e luoghi comuni sull’Africa e gli africani, vi contribuirono i racconti, i disegni e le litografie dell’epoca, dove i bianchi erano condottieri e i neri semplicemente nudi e selvaggi. Ma vi contribuì anche il mondo accademico.

Uno tra tutti il filosofo Hegel che nelle sue lezioni insegnava in sostanza che “l’Africa non ha storia e manifestava l’assoluta impossibilità di evolversi, nel suo carattere non si può ritrovare nulla che abbia il tono dell’umano, che opera del bianco è portare la civiltà in quei territori e che la schiavitù (non un male per i negri) contribuisce a risvegliare in loro un maggior senso di umanità.

La mostra allestita a Bologna ha il merito non solo di aver messo in un unico spazio e per la prima volta in Italia così tante opere, ma di contribuire attraverso queste a sfatare pregiudizi e vere e proprie leggende sul continente sub-sahariano e i suoi abitanti.

 Maschere di Okuyi Punu-Lumbu, Gabon, XIX secolo. Collezione privata. Foto di Antonella Sinopoli

Tutte le opere, da quelle dell’antico impero del Mali – ricordiamo che lì, nel 1236, fu promulgata la Carta di Manden, che precedeva di secoli le dichiarazioni sui diritti umani del mondo occidentale – a quelle contemporanee, sono “raccontate” seguendone la storia e la dimensione culturale dell’epoca in cui vennero eseguite. E, cosa fondamentale, si tenta di risalire agli autori. Per superare un ulteriore luogo comune: che cioè si tratti semplicemente di manufatti artigianali, documenti etnografici legati a generici saperi e abilità collettive.

Certo sarà difficile, se non impossibile, dare una paternità (o maternità) alle opere africane realizzate secoli fa, ma sicuramente è possibile dai capolavori esposti risalire a una stessa mano, a una scuola, a stili e caratteristiche formali specifiche.

Non arte anonima e senza tempo ma opere di grande pregio: come i preziosi avori (corni da caccia, saliere, cucchiai); i tesori della città-stato di Ife che gli Europei dell’epoca attribuirono a un Fidia dell’Equatore; i bronzi del celebre regno del Benin; le maschere di Okiyi del Gabon; le statue Baoulé della Costa d’Avorio; le figure di potere del Kongo; le figure femminili della Repubblica Centrafricana e quelle ancestrali Soninke o quelle rituali Djenne del Mali.

Ife. Quartiere di Wunmonije. Testa di Oni con corona, ottone, XII-XV secolo. Opera proveniente dal National Commission for Museums and Monuments of Nigeria ad Abuja. Foto tratta dal sito della mostra

Tutte opere che avrebbe ispirato i nostri Picasso, Modigliani, Giacometti, Matisse. E molti altri. Quell'”arte negra” che all’inizio del secolo XX sapeva ancora di esotico, selvaggio, ma portatrice di quel contatto con l’universale, o anche il soprannaturale, che altri avrebbero poi cercato in altre epoche e altre aree del mondo.

La mostra è stata prodotta e organizzata da CMS in occasione di Italia, Culture, Africa 2019 ed è stata curata da Ezio Bassani e Gigi Pezzoli con il contributo di studiosi italiani e stranieri. Le opere provengono dai più importanti musei europei e dalle più celebri collezioni del mondo.

È proprio vero quello che diceva Plinio il Vecchio: “Ex Africa semper aliquid novi” (dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo). Tutto sta a volerlo scoprire.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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