“I progressi scientifici e tecnologici stanno diversificando i mezzi e i metodi di guerra e la capacità di attori non statali di effettuare attacchi. Mentre l’impatto dei conflitti armati continua ad essere in gran parte legato alla tecnologia secolare – bombe e proiettili – nuove armi stanno rapidamente emergendo. Gli sviluppi scientifici e tecnologici stanno creando nuovi rischi…abbassando le barriere all’accesso e all’apertura di nuovi potenziali domini per i conflitti.”
L’agenda per il disarmo 2018 dell’UNODA (Ufficio ONU per il disarmo) descrive in modo chiaro le minacce che incombono sulla nostra società nel presente e nel futuro prossimo. Oltre a sottolineare quanto i conflitti civili si siano diffusi negli ultimi decenni, delineando scenari globali molto insicuri, il report mette in guardia Stati e Istituzioni internazionali sull’uso improprio di scoperte scientifiche e tecnologiche sempre più sofisticate.
La biotecnologia, l’intelligenza artificiale e la robotica, in convergenza con le potenzialità della chimica, dell’ingegneria, dell’informatizzazione potrebbero dar vita a forme di armamenti di nuova generazione, che sfuggono ai controlli e ai divieti normativi vigenti. La storia della guerra in Siria, per esempio, ci insegna come le armi convenzionali siano facilmente sostituibili da metodi offensivi brutali e innovativi. Gli attacchi chimici sulle popolazioni di Ghouta, Damasco, Aleppo nel 2013 testimoniano come possano pericolosamente evolvere le metodologie belliche.
E l’agenda del disarmo ONU sottolinea con evidente preoccupazione come:
“armi moralmente ripugnanti, condannate per lungo tempo dall’intera umanità, sono state usate ripetutamente”.
A lanciare l’allarme di una possibile corsa agli armamenti di nuova generazione è anche il SIPRI, (Stockholm International Peace Research Institute). Le biotecnologie, quelle che rendono veloce, meno costoso e più facile manipolare la composizione genetica degli organismi, dai batteri agli esseri umani, possono interagire con altre tecnologie cosiddette emergenti e offrire armi inaspettate.
L’istituto di ricerca focalizza l’attenzione sulla convergenza tra biologia e manifattura additiva (esempio la stampa in 3D), biologia e robotica e biologia con intelligenza artificiale.
Quali pericoli si nascondono dietro queste evoluzioni scientifiche? Se applicate al settore della guerra, questi connubi potrebbero rivelarsi davvero esplosivi. Anche perché non troverebbero limiti legislativi e di codificazione internazionale abbastanza aggiornati per essere scoperti in tempo e banditi. Per questo il richiamo alla responsabilità degli Stati e al rinnovamento di convenzioni e accordi è forte.
I sofisticati metodi di manifattura additiva, per esempio, potrebbero servire per favorire la proliferazione di armi proibite, aggirando i canali classici di trasporto e, quindi, di controllo. L’industria additiva può essere utilizzata anche per stampare parti specifiche per attrezzature di produzione e di laboratorio e altri articoli pertinenti alla realizzazione di armi biologiche. Questa modalità semplifica i processi di ottenimento di pezzi anche molto sofisticati. Quindi risulterebbero meno visibili ai controlli lo sviluppo di armi biologiche e il tentativo di produzione clandestino.
Inoltre, la digitalizzazione dei file di costruzione si traduce in una trasferibilità molto più semplice ed efficace. Sia elettronicamente, senza dover passare materialmente la dogana, o attraverso il viaggio di una persona con le competenze necessarie, queste informazioni utili per costruire nuove tipologie di armamenti potrebbero circolare eludendo leggi e barriere.
Il legame biotecnologia-intelligenza artificiale ha potenzialmente la capacità di affinare le tecniche di una guerra biologica, facendola diventare mirata. Le conoscenze acquisite attraverso l’intelligenza artificiale dalla genomica e dai dati sanitari, infatti, potrebbero tradursi in armi biologiche progettate per specifici individui. L’incrocio tra evoluzione biotecnologica e disponibilità di dati sempre più dettagliati su vaccini, componenti genetiche e vulnerabilità immunitaria di singole persone renderebbe più facile creare sostanze letali per gruppi di nemici mirati.
La digitalizzazione dei dati biologici, inoltre, potrebbe facilitare la manomissione di patogeni poiché non è più necessario un laboratorio fisico per rendere un agente dannoso per la salute. In più, questa diffusione di dati digitali espone informazioni biologiche delicate a cyber-attacchi di una certa pericolosità.
Anche la robotica sempre più avanzata potrebbe dare supporto alla proliferazione di armi biologiche. I sistemi di robotica miniaturizzati potrebbero teoricamente essere utilizzati per un uso più mirato di questi armamenti. Droni dalle dimensioni di insetti potrebbero essere usati per contaminare un individuo specifico. Nano-robot o nano-dispositivi in grado di diagnosticare o riparare i tessuti potrebbero anche essere impiegati per il rilascio di agenti patogeni.
Lo scenario descritto è comunque considerato ancora “in potenza”. L’applicazione di queste sofisticate tecnologie al settore armi non è poi così semplice, poiché richiede alte conoscenze, strumenti adeguati, test in laboratori attrezzati, investimenti. La probabilità che vengano usate da singoli attori non statali di matrice terroristica, per esempio, risulta ancora piuttosto remota.
La prospettiva, però, non può essere ignorata. Soprattutto in un momento storico dove la corsa agli armamenti sembra tutt’altro che frenata. Il disarmo nucleare, per esempio, pietra miliare della politica della pace e della sicurezza internazionale, appare piuttosto in arresto.
Nonostante l’adozione dell’Assemblea delle Nazioni Unite del Trattato di Proibizione delle armi nucleari nel luglio 2017 – passo storico e di grande importanza per giungere all’ambizioso traguardo dell’eliminazione di queste armi – il clima internazionale oggi non è così rassicurante. Innanzitutto l’accordo, vincolante tra le parti, non è ancora vigente poiché non ha raggiunto le 50 ratifiche dei parlamenti nazionali. Sono in stallo, inoltre, i colloqui bilaterali tra le potenze per accordarsi su programmi condivisi di disarmo nucleare.
All’inizio del 2017, nove Stati – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – possedevano circa 4.150 armi nucleari operativamente dispiegate. Un numero complessivo di armi nucleari leggermente inferiore rispetto al 2016. L’intenzione del disarmo, però, appare lontana se si analizzano i forti piani di modernizzazione degli arsenali che Stati Uniti, Russia, Cina, Corea del Nord, India, Pakistan stanno attuando. La potenza statunitense, per esempio, ha stanziato un budget di 400 miliardi per aggiornare le sue forze nucleari tra il 2017 e il 2029. Lo Stato cinese sta migliorando il suo arsenale con un piano a lungo termine e l’India e il Pakistan mirano ad aumentare la potenza dei missili in possesso.
Ad aggravare lo scenario ci sono anche i dati sul mercato delle armi. Nel periodo 2014-2018 il volume di scambio degli armamenti più importanti è aumentato del 7,8% rispetto al 2009-2013 e del 23% se confrontato con gli anni 2004-2008. I cinque maggiori esportatori sono stati Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Cina. Tra i compratori spiccano Arabia Saudita, India, Egitto, Australia e Algeria. Il flusso di armi verso il Medio Oriente ha segnalato un evidente aumento (l’87%).
Il mondo, dunque, sembrerebbe tutt’altro che orientato al disarmo. Anzi, le ambizioni delle potenze sono di dotarsi di armi sempre più innovative ed efficaci. Per quale sicurezza?
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