Alzarsi da soli, un atto di coraggio per sé e per gli altri
La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento del destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità – Daisaku Ikeda, leader buddista
Ce ne sono molti di esempi al mondo – in tutte le epoche – di persone che hanno contribuito a mutamenti epocali. Battaglie civili, sociali, politiche, ambientali. Persone che si sono “alzate da sole” senza aspettare di avere le spalle coperte, di avere appoggi o consensi. Senza farsi spaventare dal giudizio o dalla paura della sconfitta. Perché gli appoggi e i consensi – e anche la vittoria – sarebbero arrivati solo quando l’impegno era già in atto, era già azione, fatti concreti.
Un recente esempio di questo atteggiamento fiducioso e pionieristico è quello di Greta Thunberg, la giovanissima attivista svedese che ha dato vita a un movimento globale contro il cambiamento climatico. Tutto è cominciato con un gesto semplice e prorompente, un cartellone scritto a pennarello, sciarpa, guanti e cappello di lana per resistere al freddo nelle giornate trascorse fuori il Parlamento della sua nazione a fare lo “sciopero per il clima“. Da sola.
Per un po’ è sembrato un fenomeno pittoresco, a cui non dare tanta importanza. Prima o poi si sarebbe stancata. Ma poi, no, qualcosa è successo. È successo che in 2000 città di tutto il mondo migliaia di persone sono scese in piazza, soprattutto giovani.
Mettendo da parte le reazioni piccate, insensate e – come spesso accade – ispiratrici di odio di tanti personaggi, anche nostrani, che hanno detto di tutto per screditare la giovane attivista, quello che conta è questo: riuscire a prendere coscienza che nessuno cambierà le cose se non saremo noi a farlo. O per meglio dire, che se davvero vogliamo cambiare le cose, dobbiamo essere noi a cominciare.
Vale per questo caso e vale per tutto.
Denigrare è un’ esercizio facile quando inutile. Inutile per avanzare costruttivamente sulla strada di un mutamento. Sono proprio le cose che sembravano più difficili, le sfide più impossibili che hanno visto in un uomo solo, in una donna sola, lo slancio per un’inversione di rotta.
Facile citare nomi come Rosa Parks, Martin Luther King Jr., il Mahatma Gandhi, nel campo dei diritti civili. O come Florence Nightingale nel campo dei diritti del malato, della cura ai feriti di guerra e poi dell’intero sistema sanitario, non solo britannico. Ma anche tanti rivoluzionari o figure del mondo dell’arte che hanno osato andare contro corrente, sfidare le regole, percorrere strade nuove e inusuali. Aprire la strada, insomma.
Siamo portati a pensare che si tratti di persone eccezionali, uniche, inarrivabili. E certo, sicuramente lo sono. Ma non solo per quei meriti, quella forza, quella determinazione che ha caratterizzato le loro vite, bensì per aver fatto quel primo passo, o quel primo gesto, per essersi “alzati da soli”.
E chi di noi non può farlo? Chi di noi non ha la facoltà di prendere in mano la propria vita e diventare motore del cambiamento? Il proprio, innanzitutto. Un cambiamento che vuol dire innescare un nuovo atteggiamento, non più passivo, ma da protagonista. Diventare critici nei confronti di tutto quello che ci viene raccontato, studiosi in grado di analizzare e capire, protagonisti attivi della società.
È una società la nostra, nella quale si delega ogni cosa. Dalla cura dell’anima a quella del corpo; dall’educazione agli affari. Strutturata in modo tale da doversi adeguare a meccanismi decisionali e di controllo in cui ognuno sembra avere una funzione prestabilita. Una struttura sociale in cui – più che fidarsi – bisogna affidarsi. Affidarsi a quello che viene insegnato, ai metodi di cura, alle burocrazie, alle decisioni imposte da sistemi di governo – locali e internazionali – meno interessate al benessere dei singoli quanto al funzionamento di una struttura fagocitante e illiberale.
Cosa c’entra tutto questo con il concetto di “alzarsi da soli”?
Prendere il proprio destino nelle proprie mani è il gesto più rivoluzionario che si possa fare. Un atto di coraggio che ci coinvolge più di ogni altra decisione che abbiamo preso nella nostra vita.
Non vuol dire prepararsi a lottare contro tutti (o peggio, contro i mulini a vento). Vuol dire rinnovare dal profondo il modo di pensare e di sentirsi in questa società e verso se stessi. Non delegare, ma decidere. Non lamentarsi ma agire. Non maledire ma capovolgere gli eventi.
È sempre molto facile incolpare qualcun altro. Additare come causa del proprio malessere, o disagio, o sconfitta una singola persona o l’intero sistema. Sfuggire alla propria responsabilità e alla domanda “cosa faccio io?“. Non sono solo i grandi uomini o donne ad aver cambiato le cose. Quelli sono passati alla Storia. Poi, ci sono le “storie di tutti i giorni”. Ognuna eroica a sua modo. Ognuna difficile da costruire, con tante cadute e altrettante riprese.
Vite vittoriose, alla fine, perché determinate a non cedere alla sconfitta.
Il filosofo e leader buddista citato in apertura parla della capacità di cambiare il destino di tutta l’umanità a partire da un singolo atto: il cambiamento interiore, la propria “rivoluzione umana“. Perché l’umanità è fatta di singoli individui e per quanto pessimisti, disincantati, provati si possa essere è solo sulla fiducia nel proprio valore, nella propria forza, nella propria capacità di alzarsi per una causa che si può contare per ribaltare situazioni che appaiono senza via d’uscita.
Cambiare dentro per cambiare fuori. Ovvio e complicato. Ovvio e indispensabile.
Ottimo sviluppo di un argomento centrale nel Buddismo. Molto chiaro e incoraggiante. Grazie!