2 Novembre 2024

Burkina Faso, dove l’assenza dello Stato contribuisce alla jihad

[Traduzione a cura di Silvia Miguidi dall’articolo originale di Roger Sawadogo pubblicato su Cenozo – Investigative Reporting in West Africa. Tutte le foto sono riprese dall’articolo.]

Qui manca quasi tutto.” È la constatazione, a metà tra frustrazione e rassegnazione, di Amadé Ouédraogo. Per questo giovane agricoltore della provincia di Soum, incontrato in un ritrovo (1) nel villaggio di Bakporé, questa situazione è deplorevole se si considera la ricchezza mineraria della regione.

E il cittadino elenca allora i mali della sua provincia di 400.000 abitanti sparsi su oltre 12.000 km2. “Le infrastrutture stradali sono insufficienti e poco sviluppate. Djibo, la città più grande e capoluogo della provincia, non è collegata alla capitale da una strada asfaltata. La diga che avrebbe potuto aiutare le popolazioni nelle loro attività agricole si sta asciugando sempre di più!

Il Soum è una delle 45 province del Burkina Faso. Si trova nel Nord, la parte saheliana del Paese. A livello amministrativo, il Burkina Faso conta 13 regioni e il Soum si trova in quella del Sahel, la cui capitale è Dori.

Per un altro abitante di Djibo, Amadou Dicko, i cittadini dell’area non traggono alcun vantaggio dalla presenza di compagnie minerarie straniere. “Non siamo reclutati dalle compagnie minerarie perché dicono che non abbiamo il livello d’istruzione adeguato. Per averlo, bisogna aver studiato in una scuola professionale e tecnica, ma l’intera regione non ne ha avuta alcuna fino al 2013“, spiega.

È in occasione del turno per le celebrazioni (2) del Giorno dell’Indipendenza, l’11 dicembre 2013 a Dori, capitale della regione del Sahel, che nella zona è stata costruita una scuola professionale.

Amadou Dicko aggiunge che lo sfruttamento delle due grandi miniere è iniziato diverso tempo prima di allora (quello di Belahouro nel 2009 e quello di Essakane nel luglio 2010, ndr).

Traccia un quadro ancora più cupo, aggiungendo: “A livello della più grande ricchezza, costituita dal bestiame, l’insicurezza ha allontanato gli acquirenti. E poi non ci sono strade in buono stato per trasportare gli animali. Non ci sono impianti di lavorazione in loco.

Per Dicko e Ouédraogo, l’assenza dello Stato, questo “abbandono”, spiega la radicalizzazione di alcuni residenti della regione e l’emergere di Ansaroul Islam, gruppo jihadista che si aggira per il Sahel burkinabé ed è stato fondato da Malam Dicko, un figlio del Soum, figlioccio di Amadoun Koufa, predicatore radicale del Mali.

La percezione di uno Stato lontano, incapace di fornire servizi, spiega anche l’ascesa del movimento Ansaroul Islam di Malam Dicko. La popolazione ha la sensazione che la regione del Sahel sia abbandonata dallo Stato e che il suo potenziale economico non venga valorizzato. (…) D’altronde a creare frustrazione è proprio l’esistenza di ricchezze agricole, pastorali e minerarie in contrasto con il sottosviluppo. In particolare infrastrutture stradali inadeguate, numero limitato di centri sanitari e scuole, mancanza di acqua ed elettricità (…) Djibo, il capoluogo della provincia, ospita il più grande mercato di bestiame del Paese, ma la città sta ancora aspettando l’asfalto.

Così scrive l’International Crisis Group nella sua relazione (n° 254) sul Burkina Faso dal titolo “Nord del Burkina Faso: cosa c’è dietro la jihad“.

Tra coloro che credono a questa tesi, c’è E.B., un notabile di fama che ha richiesto l’anonimato. Egli associa gli attacchi con la frustrazione provata da una parte della popolazione. “C’è una comunità di Fulani che è storicamente insediata sul territorio e che ha l’impressione di essere mal ricompensata nella Repubblica“, ha dichiarato il 31 settembre scorso, in occasione dei nostri incontri a Djibo.

Anche se regioni come il Centro (Ouagadougou è stata attaccata tre volte, ndr) e la Boucle de Mouhoun sono stati colpiti, la stragrande maggioranza degli attacchi riguarda la regione del Sahel popolata prevalentemente da Fulani.

Secondo Mikaïlou Sidibé, esperto in infrastrutture per il G5 del Sahel, in analogia con gli altri Paesi del G5 del Sahel, vale a dire Mali, Niger, Ciad e Mauritania, sembra che gli attacchi terroristici siano più comuni nelle zone caratterizzate da una mancanza di infrastrutture sociali di base.

L’analisi della configurazione dei gruppi terroristici mostra che i loro seguaci provengono da ambienti poveri in infrastrutture, aggiunge.

Nella maggior parte dei casi, le persone arruolate nei gruppi jihadisti, ad eccezione di Daesh, sono provenienti da ambienti svantaggiati“, ha dichiarato il colonnello di polizia in pensione Jean Paul Bayala, in una conferenza sul terrorismo tenutasi nella sala riunioni del municipio di Djibo nel gennaio 2017.

Non si conta più il numero di soldati uccisi in questa zona.

Malam Dicko, fondatore del gruppo terroristico Ansaroul Islam, ne è un esempio. È originario di Saboulé, località situata nella provincia di Soum (nel distretto rurale di Baraboulé). Figlio di un predicatore povero, contesta l’organizzazione sociale in vigore nella provincia di Soum e per anni ha sostenuto l’uguaglianza tra le classi sociali nelle sue prediche alla radio, La Voix du Soum e LRCD (La radio lutte contre la désertification). Radicalizzato, si unisce alle truppe di Hamadoun Koufa in Mali con le quali combatte. La sua organizzazione ritiene lo Stato del Burkina Faso responsabile della povertà nella provincia di Soum e lo accusa di maltrattare il popolo di questa parte del Burkina.

Secondo E.B., l’assenza di azioni concrete di sviluppo a livello locale e la corruzione delle autorità amministrative e di sicurezza, “che ricattano spesso la popolazione“, spiegano l’adesione di giovani ad Ansaroul Islam.

Come i seguaci di Malam Dicko, punta il dito sui maltrattamenti e le umiliazioni di cui sono a volte oggetto gli abitanti del Sahel, principalmente i Fulani.

Un problema di isolamento

Prima dell’agosto 2016, ci volevano otto ore di strada per coprire i 200 km che separano la capitale Ouagadougou da Djibo, tanto erano disastrose le condizioni della strada. Perché l’asfalto finiva a Kongoussi (95.7 km da Djibo). Annunciata per l’ultimo trimestre del 2015, l’asfaltatura della tratta Kongoussi-Djibo alla fine non è iniziata che il 12 agosto 2016, dopo molte manifestazioni della popolazione che ne denunciavano il suo stato disastroso. È il caso in particolare delle diverse manifestazioni del settembre 2014, scoppiate a Djibo sulla spinta della società civile per denunciare lo stato della strada per Ouagadougou e rivendicarne l’asfaltatura.

Oggi, con i lavori di asfaltatura, che hanno migliorato lo stato della strada, il calvario dei viaggiatori si è dimezzato. Le condizioni sono migliorate“, afferma Abdoulaye Nacanabo, dipendente della compagnia di trasporto STAF che serve la provincia.

Ma per la gente i lavori avanzano troppo a rilento. Durante l’ultima visita al cantiere da parte del ministro delle Infrastrutture, il 29 marzo 2018, questi aveva annunciato il completamento dei lavori nei due mesi successivi. Il 14 novembre 2018, quando abbiamo visitato il sito, ovvero almeno cinque mesi dopo l’annuncio del completamento dei lavori, la strada non era ancora operativa al 100%.

All’epoca dei primi attacchi terroristici nell’area, quello dell’isolamento si poneva ancora come un problema grave. Lo stato della strada favoriva le rapine e l’attività economica ne risentiva. Nel 2016, un cittadino ghanese venuto a comprare del bestiame fu ucciso. I suoi compatrioti hanno quindi smesso di venire nel Soum per l’acquisto di bestiame.

Una sensazione di abbandono

Baraboulé, un’altra località nella provincia di Soum, in diverse occasioni è stata bersaglio di attacchi terroristici, al punto che il suo capo riconosciuto si rifugia a Ouagadougou, dopo essere sfuggito a un tentativo di assassinio da parte di sospetti terroristi. Secondo una fonte della sicurezza della gendarmeria nazionale, è per la sua presunta collaborazione con le forze di difesa e di sicurezza che il notabile è stato preso di mira dai terroristi.

Il Piano di sviluppo comunale del distretto rurale di Baraboulé, consultato nell’ambito di questa inchiesta, mostra che il comune dispone in tutto di 77 pozzi operativi, oltre ad una AEPS (fornitura di acqua potabile semplificata). Contiamo 33 pozzi in panne.

Sulla base dello standard nazionale di fornitura di acqua potabile, che è di un PEM (punto di acqua potabile moderno) funzionante per 300 abitanti, il comune presenta un rapporto di un PEM per circa 461 persone.

Inoltre, vi è mancanza di personale con 61 insegnanti per 84 classi, cioè un deficit di 23 insegnanti. Il personale amministrativo è gravemente insufficiente, con diversi servizi del CEB (collegio d’educazione di base) in cui mancano i funzionari.

Alcune scuole sono in cattive condizioni. I tassi di copertura per le infrastrutture ausiliarie sono il 23,53% di pozzi, il 50% di latrine e il 72,61% di locali“, stando al Piano.

Abdoul Ouédraogo, un agente dell’amministrazione pubblica in servizio nel comune, parla con amarezza della sua vita in questa località: “il problema a Baraboulé è che non ci sono dighe. Trascorriamo mesi e mesi senz’acqua. Abbiamo appena tre mesi di pioggia continua. Non è facile quando non ci sei abituato. Inoltre, qui i servizi statali sono molto limitati.

Un confronto tra gli indicatori di sviluppo di Djibo e quelli di altre tre città, capoluogo delle province limitrofe, dove non ci sono attacchi terroristici, mostra chiaramente che, rispetto ad altre province limitrofe, la provincia di Soum è sprovvista di infrastrutture socio-economiche di base.

Un confronto tra le infrastrutture socio-economiche del Soum e di altre 3 province
Un confronto tra le infrastrutture socio-economiche del Soum e di altre 3 province.

La città di Nassoumbou (nella provincia di Soum) ha registrato il 16 dicembre 2016 uno dei più letali attacchi terroristici che abbiano colpito l’esercito burkinabé. Verso le cinque di mattina, una quarantina di jihadisti del Mali attaccano la postazione militare dell’esercito burkinabé a Nassoumbou, uccidendo 12 soldati e ferendone molti altri. Ansaroul Islam, primo gruppo terroristico burkinabé, aveva commesso il suo primo attentato.

Nel distretto di Nassoumbou la situazione dell’accesso all’acqua potabile non è molto migliore. Di dieci pozzi esistenti nel 2009 solo sei sono funzionanti, per una popolazione stimata di 20.165 abitanti.

La tesi secondo cui la radicalizzazione e le manifestazioni di violenza da parte di alcuni cittadini della provincia di Soum (luogo d’origine di Ansaroul Islam), sia legata alla mancanza di investimenti pubblici è in parte vera.

Per Mamadou Savadogo, specialista in gestione del rischio per le ONG e consulente sulle questioni della resilienza di fronte all’estremismo ed alla radicalizzazione nel Sahel, “l’assenza dello Stato al servizio della popolazione ha costituito un terreno fertile, che i gruppi terroristici hanno saputo cavalcare per orientare la gente del Sahel verso la radicalizzazione e l’estremismo violento“. Secondo lui, chi impediva di “far saltare la serratura”, in questo caso il capitanato tradizionale, è stato politicizzato ed indebolito dai politici.

L’altra realtà è la frustrazione generata dai rapporti difficili tra gli abitanti della regione, prevalentemente Fulani, e i rappresentanti dello Stato. Un veterano di Ansaroul Islam, detto Gorko Boulo, aveva confidato a Le Monde, in un’intervista pubblicata il 10 dicembre 2017, le ragioni che hanno spinto Malam Dicko ad attaccare i soldati del Burkina Faso e tutti i simboli della Stato. “Nel mese di novembre 2016, Malam è tornato in Burkina Faso per vedere la famiglia. Ha trovato il suo villaggio, Soboulé, assediato ed umiliato. I soldati erano lì. […] Hanno attaccato i contadini poveri. Era come se gli fosse stato detto che tutti i Fulani erano jihadisti. Non li hanno uccisi, li hanno umiliati. Hanno riunito le famiglie nel villaggio, spogliato i vecchi, li hanno fatti correre, ballare, cantare e fare flessioni davanti alle loro mogli e suoceri, perché sapevano che, per i nostri costumi, ciò è un oltraggio“, ha spiegato.

Secondo Ousmane Bélem, direttore regionale dell’Economia e della Pianificazione della regione del Centro-Nord, peraltro originario della provincia di Soum, “la mancanza di infrastrutture non è la ragione primaria degli attacchi terroristici, ma è una delle cause“. Ci sono altri problemi in quella zona.

Nel dipartimento di Nassoumbou, precisamente nel villaggio di Kourfayel, un insegnante di nome Salifou Badini è stato assassinato nella sua scuola, quasi di fronte ai suoi alunni. La ragione è che non ha rispettato l’ordine dei terroristi di avvertire che d’ora in avanti i moduli didattici sarebbero stati tenuti in arabo anziché nella lingua francese precedentemente in vigore.

La risposta del Governo

Dopo la caduta del regime di Blaise Compaoré, i nuovi leader del Paese (in carica dalla fine del 2015) hanno manifestato la volontà di colmare i divari di sviluppo tra le regioni, in particolare per quanto riguarda il Sahel.

Il PUS-BF (Programma di Emergenza per il Sahel) 2017-2020, è stato lanciato il 3 agosto 2017 con l’obiettivo di “contribuire a migliorare la sicurezza delle persone e delle merci, ridurre la vulnerabilità, rafforzare la presenza dello Stato nella regione Sahel“.

Nonostante il costo complessivo stimato in 455,32 miliardi di franchi CFA, questo programma non ha portato ad oggi risultati visibili. Ciò contribuisce ad esacerbare la situazione, tanto che “il governo continua così a perdere credibilità nella regione“, riconosce un dirigente dell’ MPP (Movimento Popolare per il Progresso), il partito di governo. Inoltre, sostiene Mamadou Savadogo, “gli investimenti nel Sahel, quando non sono rari, comunque non si adattano ai bisogni delle popolazioni.

Secondo Mikaïlou Sidibé, esperto di infrastrutture per il G5 Sahel, “nelle zone in cui lo Stato non è in grado di garantire una minima sicurezza e le infrastrutture sociali di base, non c’è possibilità di sviluppo. Ciò perché lì gli investitori non ci andranno e le popolazioni ne risentiranno. Questa è la prova dello stretto legame tra sviluppo e sicurezza“, spiega.

Ecco perché, dice, “notiamo che le aree in cui lo Stato è meno presente sono le più esposte al fenomeno dell’estremismo violento. È il caso del nord del Mali, del Burkina Faso settentrionale, del Niger sudoccidentale, ecc.

La regione del Sahel, in particolare la provincia di Soum, che è l’epicentro dell’aumento della violenza estrema, fa dunque parte di questa logica, secondo l’esperto.

Mikaïlou Sidibé, che riconosce come questa crisi derivi in parte da quella del Mali, è convinto che siano necessarie risposte adeguate. Secondo lui, “è attraverso la realizzazione di infrastrutture interconnesse (ospedali, dighe, strade, scuole…) che gli Stati saranno in grado in maniera solidale di ridurre al minimo le divisioni tra confinanti“.

È urgente porre un accento particolare sullo sviluppo e la messa in sicurezza delle aree transfrontaliere che soffrono di sottosviluppo, scarsità demografica e lacune amministrative, lavorando per far emergere veri e propri poli di sviluppo. Solo questi poli saranno in grado di proteggerci dai giovani che, per mancanza di lavoro, finiscono per arruolarsi nei gruppi armati“, conclude.

Note
(1) Il grin de thé in Africa non è un locale specifico, ma un luogo condiviso dove ci si incontra a chiacchierare intorno a una tazza di tè o caffè.
(2) Il Burkina Faso adotta il sistema della célébration tournante, la “celebrazione a turno”, che permette l’implementazione dei servizi nelle varie località che di anno in anno accolgono le celebrazioni ufficiali.

Silvia Miguidi

Traduttrice, insegnante di lingue, consulente in Pari Opportunità e Diversity Management, amministratrice pubblica e madre adottiva di una bimba di origine etiope. Ha vissuto a lungo in Svizzera e Canada, collaborando con scuole, camere di commercio, studi legali ed agenzie di traduzione.

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