Il 4 febbraio scorso la penisola balcanica ha ufficialmente accolto la Repubblica della Macedonia del Nord. Non un nuovo Stato, ma un Paese con un nome finalmente definito e condiviso.
La decennale questione relativa all’accettazione da parte greca della Macedonia come entità statale con questa denominazione, aveva di fatto bloccato la partecipazione dello Stato all’Unione Europea e alla Nato. E creato una tensione con la Grecia dai pericolosi toni nazionalisti, molto diffusi nell’area geografica in questione.
Finora il Paese balcanico è stato denominato “Ex Repubblica jugoslava di Macedonia” (conosciuta con l’acronimo inglese Fyrom), in base ad un compromesso raggiunto a livello internazionale che ha permesso a Skopje di diventare membro dell’Onu nel 1993.
Come per gli altri Paesi di questa complicata regione, anche per la Macedonia gli squilibri interni e gli attriti esterni sono esplosi nel 1991, all’indomani della dissoluzione della Federazione di Jugoslavia.
Non appena lo Stato macedone dichiarò la sua indipendenza, iniziarono le rivendicazioni e le riserve per il riconoscimento del Paese. La Bulgaria, convinta che l’etnia macedone fosse stata un’invenzione del tutto artificiosa da parte di Tito, affermò che la popolazione macedone aveva, in realtà, un’origine bulgara. Sofia riconobbe lo Stato, lanciando però lo slogan “Due Paesi, una sola nazione”.
Se con il Governo bulgaro non ci furono particolari tensioni e le dichiarazioni non ebbero conseguenze significative, le maggiori difficoltà per la neonata realtà statale autonoma macedone emersero nei rapporti con la Grecia. Nacque un vero e proprio contenzioso tra i due Paesi che ha trovato una soluzione solo oggi, a distanza di 25 anni.
La denominazione “Repubblica di Macedonia” non veniva assolutamente accettata dal Governo di Atene, innanzitutto perché era un richiamo troppo esplicito alla omonima regione interna della Grecia. Secondo i greci, uno Stato confinante con questo nome ufficiale poteva facilmente avanzare pretese territoriali sull’area di Salonicco, chiamata, appunto, Macedonia.
Inoltre, alcune disposizione della nuova Costituzione macedone erano considerate potenzialmente pericolose per l’integrità greca. L’art. 49, per esempio, recitava: “La Repubblica vigila sulle condizioni e sui diritti dei cittadini dei Paesi vicini d’origine macedone, sostiene il loro sviluppo culturale e si incarica della promozione dei rapporti con essi”. (articolo poi riformulato in questo modo: “La Repubblica di Macedonia non interverrà nel diritto di sovranità degli altri Stati e nei loro affari interni).
In più, Atene non accettava il simbolo scelto da Skopje per la bandiera nazionale, ovvero il Sole di Verghina, considerato l’emblema dell’antica dinastia macedone, madre del mondo ellenico. Lo Stato macedone, secondo i greci, doveva identificarsi nell’appartenenza slava, poiché soltanto la Macedonia greca poteva essere considerata patrimonio storico e culturale degli antichi ellenici.
L’intransigente opposizione di Atene all’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea e nella Nato, valutate fondamentali a Skopje per la costruzione di una più salda identità e di una rete forte di rapporti internazionali, si scontrò con il forte nazionalismo dei conservatori macedoni. Infatti, con l’arrivo al potere di Nikola Gruevski nel 2006, a guida del partito VMRO DPMNE, il nazionalismo assunse toni esacerbati e il Governo improntò la sua politica sulla costruzione di una identità macedone retaggio dell’imperialismo ellenico.
Il progetto “Skopje 2014” voluto dal premier voleva dare un volto forte allo Stato, richiamandosi anche alla mitica storia alessandrina (celebre la statua del guerriero a cavallo che pur non avendo un nome ufficiale è stato identificato con l’imperatore Alessandro Magno). I sontuosi lavori pubblici dovevano tradursi in un’antichizzazione del Paese in nome degli eroi ellenici, per rafforzare quel processo di costruzione identitaria che molto accomuna e ossessiona i Paesi dell’area balcanica.
La forte tensione tra Grecia e Macedonia cominciò ad attenuarsi soltanto con l’arrivo al potere del socialdemocratico Zoran Zaev nel 2017. L’intesa con Alexis Tsipras nel voler superare i dissidi del passato e accordarsi sulla questione del nome in modo definitivo, ha portato i due leader a iniziare un fruttuoso processo di pace.
Sono arrivati, quindi, gli accordi di Prespa nel giugno 2018, grazie ai quali si è giunti a una denominazione definitiva ed accettata soprattutto dalla Grecia: Repubblica della Macedonia del Nord. La rinuncia a qualsiasi riferimento ellenico e irredentista e alcuni cambiamenti al testo costituzionale hanno garantito l’accettazione del nuovo nome da parte greca.
Non sono però mancate le proteste in Grecia di una parte di popolazione contraria all’intesa, valutata come un segno di debolezza per l’integrità nazionale.
Il Governo di Skopje ha poi indetto un referendum popolare. La consultazione, svoltasi il 30 settembre 2018, non ha avuto esito a causa del mancato raggiungimento del quorum di affluenza previsto al 50%. L’analisi dell’impostazione del quesito, però, è di fondamentale importanza per comprendere la vera posta in gioco per la Macedonia in questa vicenda.
Il popolo è stato chiamato a rispondere alla domanda: “Sei favorevole all’adesione a Unione europea e Nato, e all’accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Grecia”? È evidente che l’accordo assume un significato storico perché consente alla Repubblica della Macedonia del Nord di inserirsi in modo ufficiale in un contesto geopolitico ben preciso: quello euro-atlantico.
Infatti, dopo l’approvazione degli accordi da parte dell’Assemblea macedone e di quella greca, avvenuta per entrambi nel mese di gennaio, è arrivato il giorno tanto atteso e di vero cambiamento: il 6 febbraio scorso la Nato ha firmato il Protocollo di adesione della Repubblica della Macedonia del Nord, approvato qualche giorno dopo anche dalla Grecia.
Non ci sono più veti, quindi, sul cammino di Skopje verso la definizione della sua politica estera orientata verso Occidente. Il prossimo giugno dovrebbero avviarsi anche i negoziati con Bruxelles.
La soluzione della contesa greco-macedone assume significati ampi. Innanzitutto rafforza la posizione Ue in questa regione, diventata cruciale per la gestione dei migranti e per la lotta al terrorismo. Paesi come Albania, Bosnia, Serbia, Kosovo trattengono da anni relazioni con le istituzioni europee che, seppure con tempi piuttosto lunghi, mirano all’ingresso degli Stati balcanici nell’Unione.
Inoltre, l’allargamento della Nato sempre più evidente verso Est rappresenta una perdita di influenza per la Russia. In questo lembo del mondo, infatti, continua a giocarsi la sfida di potere tra Occidente e Oriente. Putin non ha gradito l’accoglimento internazionale del nuovo nome e l’avvicinamento di Skopje all’Ue e all’alleanza atlantica. L’accusa mossa dal presidente russo è di ingerenza degli Usa e del mondo occidentale in un’area considerata ancora – come nella Guerra Fredda – strategica.