Yemen, accordi in corso ma nessuno si aspetta ancora la pace

[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Helen Lackner pubblicato su Open Democracy.]

A meno di un mese dalla firma dell’accordo di Stoccolma tra il movimento Huthi e il Governo, riconosciuto a livello internazionale, del presidente deposto Hadi, cresce la preoccupazione per l’attuazione concreta di quanto da esso previsto.

Sotto la pressione internazionale, l’accordo è stato raggiunto in fretta e furia per due ragioni principali: in primo luogo, alla fine del 2018 la crisi umanitaria in Yemen aveva raggiunto proporzioni catastrofiche, riempiendo quotidianamente le prime pagine dei media di tutto il mondo. Le immagini di bambini affamati sono diventate ancora più strazianti una volta conosciuta la portata dell’emergenza descritta in cifre spaventose dal World Food Programme e da altre istituzioni delle Nazioni Unite. La questione è stata regolarmente affrontata nelle discussioni sullo Yemen del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

A questa estrema urgenza si è aggiunto lo sdegno internazionale conseguente all’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato del suo Paese a Istanbul. Presto sono infatti emerse prove indicanti il coinvolgimento diretto di Mohammed bin Salman (MBS), il principe ereditario dell’Arabia Saudita.

La protesta pubblica a livello mondiale è stata un incentivo per l’amministrazione statunitense a esercitare pressioni significative sul regime saudita affinché facesse alcune concessioni nello Yemen. Chiedendo il cessate il fuoco entro la fine di novembre, gli alti funzionari dell’amministrazione hanno quindi costretto l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen ad accelerare i preparativi per un nuovo incontro, dopo il fallito tentativo di settembre. Dopo anni di prevaricazione, causati dall’influenza dei principali partner della coalizione – l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – il Regno Unito il 19 novembre ha finalmente presentato una bozza di Risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

La sua approvazione è stata ritardata per via della resistenza dei membri della coalizione (che hanno agito tramite il Kuwait che era allora nel Consiglio di sicurezza dell’ONU), sebbene il progetto affermasse esplicitamente che la Risoluzione non andava a intaccare la Risoluzione 2216 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla quale il presidente Hadi basa la propria posizione e i sauditi la legittimità del loro intervento.

La nuova Risoluzione si concentrava sull’urgenza di affrontare la crisi umanitaria, chiedendo di fermare l’offensiva della coalizione su Hodeida e di facilitare l’accesso per i rifornimenti nelle aree più colpite e bisognose, la maggior parte delle quali si trova sotto il controllo degli Huthi. Ciò comportava sia l’apertura di strade chiuse da azioni militari, sia l’interruzione dei vincoli amministrativi imposti alle agenzie umanitarie, nazionali e internazionali. Dato che la mancanza di denaro contribuisce in modo rilevante all’emergenza alimentare, la bozza richiedeva anche apporti monetari internazionali nell’economia.

Un ragazzo aspetta l’arrivo dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Martin Griffiths, all’aeroporto internazionale di Sanaa, Yemen, 5 gennaio 2019. Sul cartello si legge “Stop all’assedio dello Yemen” Mohammed Mohammed/Press Association

L’accordo di Stoccolma

A seguito di ulteriori pressioni sulla coalizione, comprese le discussioni tra il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd durante il summit argentino del G20, un incontro sponsorizzato dall’ONU si è svolto all’inizio di dicembre in Svezia tra gli emissari Huthi e quelli del Governo di Hadi.

Durato una settimana, con l’ulteriore pressione della presenza di Guterres stesso nell’ultimo giorno dell’incontro, le parti hanno firmato quello che è ufficialmente chiamato l’accordo di Stoccolma, composto da 3 sezioni: la prima una dichiarazione generale, la seconda un breve impegno a formare un comitato per discutere la situazione a Taiz e la terza riguardante il governatorato di Hodeida e l’accesso dei beni di prima necessità nel Paese attraverso i porti del Mar Rosso.

Un precedente accordo sullo scambio di prigionieri è avanzato fino al punto in cui sono stati scambiati elenchi di 16.000 individui e concordati meccanismi per la sua attuazione. L’incontro non è invece riuscito a trovare un accordo su altri due importanti problemi: l’apertura dell’aeroporto di Sana’a, richiesta dalla popolazione in tutta la parte settentrionale del Paese (aree controllate da Huthi e non) e la discussione sul “quadro dei negoziati” dell’inviato speciale delle Nazioni Unite.

Oltre a un cessate il fuoco nel governatorato di Hodeida, il ritiro delle forze militari di entrambe le parti in posizioni concordate e la supervisione da parte dell’ONU della gestione portuale, l’accordo comprende anche il pagamento delle entrate portuali alla filiale di Hodeida della Banca centrale dello Yemen e il loro uso per il pagamento di stipendi.

La vaghezza e la brevità dell’accordo hanno dimostrato che un tempo di preparazione insufficiente non fa altro che rimandare i problemi. Infatti l’accordo presenta difetti interni, lasciando ampio spazio a interpretazioni multiple che, prevedibilmente, ciascuna parte usa a proprio vantaggio. Per sorvegliare il cessate il fuoco e la dislocazione, è stato istituito un Comitato di coordinamento composto di 6 membri (3 per parte) presieduto dall’ONU e con presidente un alto ufficiale militare olandese in pensione.

In seguito all’accordo di Stoccolma, il 21 dicembre è stata finalmente approvata una debole Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU (2451). Oltre ad appoggiare l’accordo, il suo principale contributo è stato quello di autorizzare il Segretario generale a spiegare una squadra delle Nazioni Unite per monitorare l’attuazione degli accordi. Tra le altre cose, sono stati rimossi i riferimenti alla responsabilità per le violazioni del diritto internazionale umanitario.

Da quando il cessate il fuoco è entrato in vigore il 18 dicembre, come prevedibile, si sono verificate molteplici violazioni, alcune più gravi di altre.

Gli Huthi hanno abilmente gestito l’apparente passaggio della gestione del porto alla Guardia Costiera, ma è stata una entità gestita dagli stessi Huthi a subentrare, un modello che probabilmente verrà riprodotto in futuro poiché entrambi i gruppi hanno istituzioni parallele. In che misura ciascuna delle parti sarà in grado di persuadere gli osservatori delle Nazioni Unite che la loro apparente attuazione dell’accordo è autentica, dipenderà in gran parte da due fattori: in primo luogo l’effettiva conoscenza dettagliata della situazione sul campo e, secondo, la capacità persuasiva dei membri del comitato e di altri portavoce ufficiali (nessuna donna coinvolta, come al solito).

Nel frattempo, nonostante le sue debolezze, l’accordo di Stoccolma è un primo segno di speranza per i 29 milioni di yemeniti che stanno disperatamente aspettando la pace e sono sopravvissuti alla guerra che dura da quasi 4 anni, e in particolare per i 20 milioni che stanno affrontando una “grave insicurezza alimentare“, ossia le parole dell’ONU per indicare la fame.

La probabilità di raggiungere la pace nel 2019 è estremamente bassa: la storia ha dimostrato in più occasioni che tali discorsi sono l’inizio di processi molto lunghi e protratti e, al momento, noncuranti della sofferenza della popolazione, non vi è alcuna indicazione che una delle parti in conflitto sia giunta alla conclusione che i negoziati e la pace sono un’opzione migliore che continuare a combattere.

“Lo Yemen sta morendo di fame”. Manifestazione a New York, 5 gennaio 2019. Foto Flickr/Felton Davis

Quale futuro per i bambini dello Yemen?

Per comprendere l’estensione dell’urgenza, quanto segue è una breve rassegna dell’impatto della guerra e della sua continuazione per il futuro dello Yemen, e in particolare dei suoi figli, i quali affrontano una molteplicità di sfide immediate e a lungo termine. Lo Yemen, prima della guerra il Paese con il più alto tasso di analfabetismo nella regione, sta ora creando una nuova generazione di adulti analfabeti, visto che oltre 2 milioni di bambini (un quarto della popolazione in età scolare) che dovrebbero essere a scuola, non lo sono. Più di 2.500 scuole sono inutilizzabili (16% del totale), sia perché sono state danneggiate o distrutte dall’azione militare (2/3 dei casi) sia perché sono state chiuse a causa della mancanza di personale, e vengono utilizzate come rifugi per gli sfollati o sono state rilevate dai militari.

In un Paese con risorse naturali limitate, qualsiasi sviluppo economico futuro di successo dipenderà da adulti altamente istruiti in grado di partecipare all’economia moderna. Persone maggiormente istruite trovano posti di lavoro più remunerati, la loro probabilità di disoccupazione è significativamente più bassa e pertanto è meno probabile che aderiscano o sostengano gruppi estremisti.

Oltre alla generazione di bambini che rimangono esclusi dall’istruzione, quelle scuole che stanno effettivamente funzionando lo fanno solo a un livello minimo senza attrezzature o altri elementi basilari e con il personale che, in molti casi, non riceve stipendio da ormai quasi due anni. Molti insegnanti hanno smesso di lavorare, cercano un reddito altrove o semplicemente non sono in grado di sostenere i costi di trasporto. Non solo l’educazione è essenziale per il futuro del Paese, ma, anche ora, mentre i bambini sono a scuola, sono meno vulnerabili a rischi quali il reclutamento come bambini soldato, lavoro minorile o, nel caso delle ragazze, matrimonio precoce.

Lasciando da parte le implicazioni per il futuro dello Yemen di milioni di adulti non istruiti, i bambini stanno attualmente soffrendo di molti problemi immediati che li riguarderanno anche nel periodo post-bellico. Come ampiamente dimostrato in tutto il mondo, i bambini con basso peso alla nascita sono più vulnerabili alle malattie e la malnutrizione della prima infanzia riduce le capacità intellettuali e fisiche degli individui per tutta la vita.

Alla data di dicembre 2018, circa 1,1 milioni di donne in gravidanza o in fase di allattamento e 1,8 milioni di bambini sono malnutriti. Molti sono fondamentalmente affamati, come abbiamo visto sui nostri schermi negli ultimi mesi, non più di pelle e ossa, troppo deboli per piangere o muoversi. Come ha sottolineato più volte l’UNICEF nel corso del 2018, un bambino muore ogni 10 minuti a causa della malnutrizione. Ogni sera più di 7 milioni di bambini yemeniti vanno a letto affamati, sono la metà dei 15 milioni di persone che soffrono di grave malnutrizione.

Tutti i bambini malnutriti che sopravvivono, soffriranno di vari livelli di incapacità fisica e intellettuale per tutta la vita, questo a causa della malnutrizione precoce dovuta alla guerra. Più di 6.700 bambini sono stati uccisi o gravemente feriti, mentre si stima che 85.000 bambini, direttamente o indirettamente siano morti di fame.

Circa 1,5 milioni di bambini sono stati sfollati, altri milioni soffrono del trauma derivante dalla vicinanza alle zone di guerra, compresi i molti fronti attivi, ma temono anche attacchi da parte di droni, attacchi aerei e altri eventi terrificanti che possono accadere improvvisamente nel cielo limpido, ad ogni ora del giorno e della notte, ovunque nel Paese.

La paura e il terrore indotti da questa situazione, combinati con condizioni di vita (o meglio di sopravvivenza) sempre più difficili, per non dire insopportabili, stanno creando una generazione di persone psicologicamente traumatizzate, molte delle quali non saranno mai in grado di vivere una vita normale. L’UNICEF e altre organizzazioni stanno fornendo formazione sul supporto psicosociale a insegnanti e altre figure, ma nella migliore delle ipotesi questo può semplicemente alleviare il problema e aiutare le vittime a far fronte al loro trauma. Non può tuttavia risolvere il profondo impatto psicologico di vivere per anni in condizioni di guerra e con completa incertezza sul presente e sul futuro.

Non abbiamo menzionato qui la questione dei bambini soldato; in un ambiente in cui non ci sono posti di lavoro, dove le famiglie sono disperate e gli adulti (quando “impiegati”) non vengono pagati, entrare a far parte di una milizia o di altre organizzazioni militari rappresenta un’opzione positiva per i ragazzi fin dalla tenera età.

La cifra ufficiale di 2.700 bambini soldato è probabilmente una sottostima, poiché per molte famiglie disperate il coinvolgimento dei figli con i militari è l’unica fonte possibile di reddito in condizioni disperate dove i prezzi sono raddoppiati e i redditi sono scomparsi. Non solo i bambini soldato sono usati dalle fazioni belligeranti yemenite, ma sembra che la coalizione stia importando combattenti bambini anche dal Sudan. Nonostante questa realtà, rimangono importanti gli sforzi per attuare il Piano d’azione per porre fine all’uso e il reclutamento di bambini soldato da parte delle forze armate.

L’epidemia di colera, che è stata la più grande crisi medica del 2017, ha colpito meno persone nel 2018, ma tra gennaio e metà novembre si sono comunque verificati più di 280.000 casi, tra cui il 32% di bambini di età inferiore a 5 anni. Altre malattie si sono diffuse, la sola malnutrizione indebolisce i bambini e li rende vulnerabili a soffrire e morire a causa di una vasta gamma di malattie che sono invece innocue per bambini più forti. Come sottolineato mese scorso da Geert Cappelaere dell’UNICEF: “Da decenni gli interessi dei bambini yemeniti vengono a malapena presi in considerazione in ogni processo decisionale“.

L’aspetto ancora più importante, una volta finita questa inutile e assassina guerra, è che il futuro dello Yemen dipenderà dai suoi figli. Erediteranno un Paese distrutto da leadership egoiste che hanno causato livelli orribili e senza precedenti di sofferenza agli yemeniti, non mostrando né compassione né impegno nel trovare soluzioni ai problemi fondamentali dello Yemen. Se psicologicamente e fisicamente traumatizzati per tutta la vita, come saranno in grado di ricostruire un Paese con un Governo migliore e che sia in grado di fornire standard di vita adeguati per la sua gente?

Elena Intra

Laureata in Lingue e successivamente in Giurisprudenza, lavora come traduttrice freelance da dieci anni. Appassionata in particolare di diritti delle donne e tematiche ambientali, spera attraverso il suo lavoro di aiutare a diffondere conoscenza su questi argomenti.

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