Francia, studenti stranieri traditi da Macron, per loro più tasse
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Constance Laisné e Gabriel Bristow su openDemocracy]
Nel 2017, il Partito Laburista inglese si era impegnato a creare in Inghilterra un National Education Service al fine di “avanzare verso un’istruzione dalla culla alla tomba che fosse gratuitamente fruibile” e che comprendesse anche l’abolizione delle tasse scolastiche. Appena al di là del Canale della Manica, la Francia, che vanta da sempre un sistema d’istruzione gratuito a vita, vede oggi questo stesso sistema soffrire a causa di scarsi finanziamenti.
Per noi autori (una di nascita francese, l’altro inglese) entrambi i sistemi sono stati fondamentali e hanno significato: l’apertura verso nuovi mondi, la possibilità di riorientamento delle nostre vite e un modo per riaccendere quell’avida curiosità che segna la fine della nostra infanzia. Tuttavia, ora è proprio la base universale di tale modello ad essere minacciata.
Lo scorso 19 novembre, il Primo Ministro francese, Édouard Philippe, ha annunciato nuovi piani governativi che vedono un aumento astronomico delle tasse universitarie per gli studenti non comunitari. Finora, infatti, il Paese di provenienza non incide sui contributi universitari che, annualmente, ammontano a circa 170 € per le lauree triennali, 243 € per quelle magistrali e 380 € per i dottorati di ricerca. Ora invece il Governo prevede di aumentare le tasse per gli studenti extraeuropei: 2770 € all’anno per la triennale e 3770 € per specializzandi e dottorandi.
#BienvenueEnFrance (“Benvenuti in Francia”), è questo l’hashtag che, attraverso una dedica in chiave ironica alla politica di Trump, introduce la serie di misure riguardanti l’aumento delle tasse. L’obiettivo dichiarato dal Governo è quello di incrementare, entro il 2027, il numero di studenti stranieri da 324.000 a 500.000 nonostante un rincaro delle tasse di almeno dieci volte.
Il modello anglo-americano
Visto dalla prospettiva del modello inglese dell’istruzione superiore – elitario, a pagamento e nazionalista – sarebbe normale restare più colpiti dalla parziale apertura dell’attuale sistema francese piuttosto che dai cambiamenti proposti. Effettivamente, un confronto tra i due modelli rappresenta un’azione preveggente perché sembra sempre più chiaro che l’obiettivo della mossa del Governo Macron sia quello di importare nel Paese il modello anglo-americano di istruzione superiore.
All’inizio di quest’anno, il Governo ha introdotto dei criteri di selezione più rigidi per i diplomati che desiderano andare all’università. Un’azione simile è stata ampiamente vista come un allontanamento dall’idea di un tipo di scuola non selettiva e comprensiva, alla base delle università pubbliche francesi. Il principio di non selezione – incarnato dall’Università Paris 8 e istituito in seguito ai movimenti studenteschi del ’68 come un esperimento di istruzione aperta al popolo – è stato sempre minato sia dagli scarsi finanziamenti ricevuti, sia dall’esistenza delle Grandes Écoles (un piccolo gruppo di Istituti altamente selettivi ed elitari come l’École Normale Supérieure).
Eppure, questo principio continua ad influenzare fortemente i dibattiti sul futuro dell’istruzione superiore in Francia. In realtà, le prime due misure del Governo riguardanti le università – accrescere la loro selettività e tracciare confini finanziari – segnano un cambiamento preoccupante nell’ambito della mobilità studentesca.
Minaccia esistenziale
Come scrive il sociologo Éric Fassin sul quotidiano Le Monde, l’obiettivo dell’ultima misura governativa risiede palesemente nella volontà del Governo di attirare i più ricchi e respingere i più poveri. Sebbene il numero delle borse di studio per gli studenti esteri godrà di un loro aumento da 13.000 a 21.000, questo non sarà che una goccia nel mare in quanto, oggi, gli studenti stranieri sono circa 324.000.
E anche se il numero delle borse di studio andasse a compensare l’aumento delle tasse, l’introduzione della verifica dei mezzi economici costituisce sempre una minaccia esistenziale al principio dei servizi universali pubblici: una volta che si inizia a indagare chi dovrebbe pagare e chi no, si imbocca l’ambigua strada verso la privatizzazione.
In concomitanza con l’insufficiente aumento nell’erogazione di borse di studio, Édouard Philippe, ha dichiarato l’intenzione del Governo di voler attirare più studenti provenienti da “Paesi emergenti (quali Cina, India, Vietnam e Indonesia) e quelli non francofoni dell’Africa sub-sahariana”. E ciò è in netta contrapposizione con l’attuale tipo di popolazione studentesca straniera.
Delle 10 nazioni che mandano la maggior parte degli studenti in Francia, 6 sono Paesi dell’Africa francofona con studenti africani che, generalmente, costituiscono circa il 45%. Questi sono gli studenti che il Governo spera di riuscire a dissuadere dallo studiare in Francia: i figli delle sue ex colonie.
Tradizione repubblicana
Tutto questo affonda le sue radici in quello che alcuni considerano una consolidata tradizione repubblicana: ovvero se si sa parlare il francese e si hanno le qualifiche, si può studiare nel Paese praticamente con pochissimo. Tale tradizione – che ha funto, inizialmente, da strumento coloniale nella formazione delle élite governative delle colonie francesi e, in seguito, da misera forma di riparazione post-coloniale – ha contribuito all’emergere di alcuni dei più noti pensatori e scrittori degli ultimi decenni: Achille Mbembe, Albert Memmi, e René Depestre, giusto per citarne alcuni.***
Al fine di compensare, il Governo francese sta proponendo di contribuire allo sviluppo degli Istituti d’istruzione superiore al di fuori dell’Europa. Sebbene questa mossa potrebbe essere ben accetta tra coloro che preferiscono studiare nel proprio Paese natale, la proposta presenta, comunque, dei problemi. Si tratta non solo di un tentativo di rafforzare l’influenza globale della francophonie (che cerca di raggiungere la stessa diffusione nel mondo delle più note Università americane o inglesi), ma anche di limitare le dinamiche dell’attuale decolonizzazione nelle stesse ex métropoles. Come afferma in una famosa frase Stuart Hall, “siamo qui perché voi eravate lì”.
La stessa è stata più volte pronunciata dagli studenti delle ex colonie che erano presenti al meeting indetto poco dopo l’annuncio da parte del Governo. Il tentativo di aumentare le tasse per gli studenti provenienti dalle ex colonie rappresenta un cambiamento forzato delle attuali dinamiche di decolonizzazione – un processo in corso non solo nelle ex colonie ma anche negli ex centri di potere coloniale.
Patriottismo come apertura?
La pura e semplice ipocrisia di una tale mossa è tanto più scioccante se si pensa alla posizione internazionalista di Macron a livello mondiale. Solo il mese scorso, durante la visita di Trump a Parigi in occasione del Centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, il presidente francese era impaziente di denunciare il nazionalismo economico a favore di un vago concetto di patriottismo come apertura.
Che questo poi coincida con l’aumento delle tasse universitarie per gli studenti non comunitari, ci rivela tutto ciò che c’è da sapere sugli aspetti elitari dell’internazionalismo neoliberista.
*** Non menzioniamo qui figure come Frantz Fanon e altri in quanto la Martinica resta, sul piano amministrativo, parte della Francia.