Autismo in Africa, se tradizione e povertà ostacolano le cure
[Pubblichiamo un intervento ricevuto da Anna-Corinne Bissouma, psicologa e psichiatra infantile, responsabile del Centre M. Té Bonlé, Istituto nazionale di sanità pubblica della Costa d’Avorio. Tutte le foto sono su sua gentile concessione. Traduzione dal francese di Davide Galati. Qui la versione originale.]
In molti Paesi occidentali l’autismo è oggi una questione nazionale, un tema di salute pubblica per il quale si mobilitano tutti, sia le autorità pubbliche che le comunità.
In Costa d’Avorio, come in molti altri Paesi africani, la situazione è diversa. La cura dei bambini con disabilità, specialmente psichiche, è un’autentico problema sanitario, socio-economico e culturale. Il nostro è un contesto caratterizzato da una forte discriminazione e stigmatizzazione dei bambini con disabilità, con l’idea che un bambino che non parla non sia umano e che ci sia uno spirito o un maleficio all’origine della sua nascita, con l’idea quindi che il bambino non sia del nostro mondo e che debba essere riaccompagnato da dove proviene. Inoltre, non esiste quasi nessuna soluzione di cura e c’è una grave mancanza di competenze sui problemi della disabilità. Per di più, nonostante il fatto che la situazione di disabilità psichica sconvolga la vita quotidiana del giovane paziente e del suo entourage, non ci sono statistiche affidabili e aggiornate sulla popolazione di bambini con disabilità mentali in Costa d’Avorio, cosa che consentirebbe l’attuazione di programmi d’azione mirati, adeguati ed efficaci.
I dati disponibili in questo settore riguardano tutti i tipi di disabilità e gli individui di tutte le età. Secondo il Libro Bianco dedicato alla questione dei minori con disabilità in Costa d’Avorio (MPFFE, 2012), il numero di persone con disabilità nel Paese potrebbe oscillare tra 800.000 e 1.600.000, di cui 25.655 bambini in età scolare. Inoltre, la serie di crisi socio-politiche che la Costa d’Avorio sta attraversando da circa due decenni ha portato a un forte aumento del numero di bambini con disabilità mentali.
La situazione socio-sanitaria di questo strato vulnerabile si è considerevolmente deteriorata con il saccheggio sistematico, nel 2011, del Centro per l’orientamento infantile (CGI), l’unica struttura statale che si occupava dell’handicap psichico del bambino e delle conseguenze psico-sociali di ogni tipo di disabilità. Il CGI, primo dipartimento di psichiatria infantile, venne aperto nel 1974 in seno all’Istituto Nazionale di Salute Pubblica, e fino a poco tempo fa era l’unico servizio del Paese. In Costa d’Avorio ci sono cinque psichiatri infantili, due dei quali lavorano all’INSP per una popolazione di oltre 22 milioni di abitanti con oltre il 50% di bambini e giovani.
A fronte dell’aumento del numero di bambini accolti dal CGI per disturbi dello sviluppo (quasi il 30% delle consulenze), l’INSP ha aperto un centro specializzato per la gestione dell’autismo dal 2017: il Centre Marguerite Té Bonlé.
Da un decennio ci battiamo per migliorare non solo la situazione generale ma anche, spesso senza successo, il destino dei bambini autistici. Sono stati organizzati numerosi corsi di formazione che ci hanno permesso di aggiornare le nostre conoscenze, dalle psicosi infantili alla sindrome di Kanner fino ai Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) portandoci a una migliore comprensione clinica anche se alcuni stanno ancora faticando per integrare le conoscenze necessarie e soprattutto per metterle in pratica.
Numerose difficoltà affliggono i percorsi di cura, ostacolati dal fatalismo e dallo stupore e con l’idea che la terapia sia destinata al fallimento. La cura è tanto più difficile quando i genitori e gli assistenti sono intrisi delle credenze e delle superstizioni popolari africane: un bambino che non parla non è normale, non appartiene al mondo dei viventi… colpo basso del destino, punizione divina, oggetto di delusione e disonore, il bambino autistico testimonia che la pancia di sua madre è “sporca”. La madre considera sé stessa indegna e incapace di dare un “figlio buono” al padre.
Il bambino in condizione di handicap indica sfortuna e non è gratificante. È vissuto dai suoi genitori come una persecuzione. Il nostro compito è quindi anche quello di accompagnare il disagio dei genitori in modo che tornino a occuparsi del loro figlio. Quelli che riceviamo provengono dalla città di Abidjan, e le famiglie hanno un modesto tenore di vita. Devono impegnarsi in un percorso di assistenza che richiede viaggi regolari dalla loro residenza al Centro perché non c’è un trasporto medico per i bambini. Anche se la cura che offriamo è a una tariffa ridotta (circa €31/mese; da €100 a €200 / mese in un istituto privato), i costi aggiuntivi sono numerosi (trasporto, adulto mobilitato per accompagnare e riaccompagnare il bambino) e non c’è alcun aiuto da parte dello Stato per sostenere le cure. I bambini di famiglie disagiate hanno quindi problemi per ottenere le cure necessarie. Ce ne sono molti che vengono respinti dai loro parenti, nascosti e maltrattati, senza mai ricevere una diagnosi o una terapia.
Sin dall’inizio, con l’avvio del progetto del Centro specializzato, abbiamo ripreso la formazione e oltre alla gestione della clinica abbiamo cominciato a imparare i metodi di cura, e da allora la speranza è riapparsa… iniziamo a vedere piccoli progressi nei bambini.
L’autismo è ancora un problema difficile da concepire e gestire, ma è emersa la speranza: stiamo tessendo una rete di collegamenti intorno al progetto, i genitori si mobilitano per sostenere i bambini. Abbiamo iniziato con 4 pazienti. Oggi ne accogliamo 16. Tutti hanno gravi disturbi, la maggior parte sono non verbali con ritardo cognitivo importante e significativi disturbi sensoriali. Normalmente eseguiamo una valutazione approfondita che consente di organizzare meglio la presa in carico.
Abbiamo privilegiato un approccio terapeutico, pedagogico ed educativo, in modo da poter provare a creare il modello delle Terapie di Scambio e Sviluppo, dei workshop, abbiamo ricevuto una panoramica dei metodi TEACCH e ABA, ma per il momento non abbiamo ancora una formazione specifica.
Non riceviamo finanziamenti, non gestiamo un budget, ma abbiamo la nostra volontà e il nostro desiderio di fare bene… Ma nel gennaio 2018 è nata l’Association Autismes Côte d’Ivoire (2ACI), presieduta da un genitore, per sostenerci nella battaglia. Grazie a quest’associazione nutriamo la speranza di spostare davvero la situazione.
Qualche parola sulla situazione altrove e sui Paesi con i quali collaboriamo nel quadro di una rete di professionisti che è stata istituita dal novembre 2017 dopo un incontro a Grenoble (Francia), l’Autisme Afrique Alliance:
– in Congo, Suor Ida Louvouandou si batte per aiutare i bambini autistici ospitati nell’Ecole Case Dominique. Non esiste uno psichiatra infantile e quindi la diagnosi è difficile, ma il team di educatori e insegnanti aiuta i bambini respinti a causa della loro disabilità. Ospita 300 bambini in unità di insegnamento funzionale (UPF). Una di queste UPF ospita 42 bambini autistici. La sua squadra è attiva a Brazzaville e Pointe-Noire.
– in Ruanda, Rosine Duquesne ha aperto un centro con Autisme Rwanda che opera come scuola e accoglie 36 bambini e adolescenti con autismo. Non esiste uno psichiatra infantile e anche lì la diagnosi è difficile. Il team implementa essenzialmente un approccio comportamentale.
Altri Paesi partecipano a questa rete: Francia, Bénin, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, ciascuno con una diversa esperienza di autismo, e vogliamo avanzare insieme.
È insieme che saremo più forti per formarci e per riflettere e condividere le nostre pratiche professionali, pratiche che dobbiamo continuamente inventare, adattare. Insieme, stiamo lavorando sulla questione delle competenze ricevute durante la formazione che dobbiamo affrontare per crescere.
Continueremo a batterci per la causa dei bambini autistici della Costa d’Avorio.
E per questa causa combatteremo e vinceremo.
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