[Traduzione a cura di Elena Intra dell’articolo originale di Manuela Andreoni pubblicato su OpenDemocracy.
L’articolo è stato scritto prima di conoscere l’esito delle elezioni presidenziali. Nel frattempo, al secondo turno si è confermato vincitore Jair Bolsonaro.]
Lo scorso novembre il Brasile ha presentato la sua candidatura ufficiale per ospitare la Conferenza sul Clima, COP25, nel 2019. La scorsa settimana la proposta ha ricevuto il sostegno da parte della presidenza del Gruppo dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi (GRULAC), un passo essenziale nel processo. Il gruppo infatti rappresenta la regione all’ONU.
Nel frattempo però, il candidato alle elezioni presidenziali Bolsonaro ha minacciato di ritirarsi non solo dall’Accordo di Parigi, ma dalle stesse Nazioni Unite, nonché di eliminare il ministero dell’Ambiente.
Lo status ospitante del Brasile quindi non è per niente garantito. Il Paese è attualmente in fermento politico mentre affronta le elezioni più importanti della sua storia recente.
Bolsonaro, un ufficiale militare in pensione che è andato vicino a vincere le elezioni nel primo turno e che ha affrontato il 28 ottobre Fernando Haddad del Partito dei lavoratori (PT) [risultandone definitivamente vincitore, NdR], ha rilasciato dichiarazioni sulla tutela dell’ambiente e sui gruppi indigeni che hanno scioccato gli ambientalisti .
Ha infatti dichiarato che il Brasile, promettendo di mantenere milioni di ettari di foreste preservate, paga un prezzo troppo alto per essere un firmatario dell’Accordo di Parigi.
“Se questa continua ad essere una condizione, mi ritirerò dall’Accordo di Parigi“, ha detto ai giornalisti durante un incontro con uomini d’affari a Rio de Janeiro il mese scorso. “Se il nostro compito è consegnare 136 milioni di ettari di Amazzonia, me ne chiamo fuori“.
Dal canto suo, Haddad è un ex ministro dell’Educazione sotto la guida di Luiz Inácio Lula da Silva. Durante la presidenza di Lula, il Brasile ha registrato i suoi più bassi tassi di deforestazione negli ultimi decenni.
Tuttavia Haddad ha avuto problemi a convincere gli elettori. L’immagine del suo partito è stata demolita da gravi accuse di corruzione. Lo stesso Lula è ora in prigione, condannato per corruzione e riciclaggio di denaro.
La COP25 rappresenta una fase essenziale nell’attuazione dell’Accordo di Parigi, in base al quale 195 paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra per limitare gli aumenti della temperatura globale a 2 gradi.
Da allora, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), un gruppo di scienziati incaricati dalle Nazioni Unite, ha avvertito che il riscaldamento deve essere limitato a 1,5 gradi.
La Conferenza del prossimo anno si terrà a novembre, mentre l’appuntamento di quest’anno si svolgerà a Katowice in Polonia (COP24) dal 3 al 14 dicembre.
Ospitare l’evento mostrerebbe alla comunità internazionale le decise politiche ambientali che hanno caratterizzato la storia del Brasile. “Il Paese che presiede (durante la Conferenza) funge da facilitatore nel processo globale“, ha spiegato Carlos Rittl, segretario esecutivo dell’Osservatorio sul clima.”Allo stesso tempo, la Conferenza offre l’opportunità di discutere su come il Paese ospitante stia progredendo nelle sue politiche interne“.
Questa opportunità trova il Brasile in una posizione vulnerabile. Tra il 2005 e il 2012, le emissioni brasiliane sono state ridotte del 52%. Ma i progressi non sono continuati.
L’allora presidente Dilma Rousseff (PT) aveva allentato le regole che frenavano la deforestazione già nel 2012. Da allora, il rallentamento dei tassi di deforestazione è diminuito e gli ambientalisti avvertono che il Paese potrebbe non raggiungere i propri obiettivi nazionali, che sono stati tra l’altro presentati all’ONU come parte dell’Accordo di Parigi.
Il Brasile è teatro di instabilità politica da oltre quattro anni e ha ospitato una delle più grandi indagini sulla corruzione al mondo, Operation Car Wash. Rousseff è stata messa sotto accusa nel 2016 e il suo successore, l’attuale presidente Michel Temer, è stato bersaglio di due accuse per attività criminali. I governi indeboliti non sono stati in grado – o non hanno voluto – frenare la deforestazione sfrenata in aree presumibilmente protette.
La crisi sembra lontana dall’essere risolta. Anche con il supporto del GRULAC, che comunque deve ancora confermare ufficialmente la propria raccomandazione, il ruolo del Brasile come ospite della COP25 è in dubbio.
“Se il segretario ritiene che un Paese non sia in grado di presiedere la conferenza, si possono trovare alternative, anche se si tratterebbe di uno sviluppo insolito“, spiega Rittl.
Tuttavia, lo stesso segretario ritiene che il sostegno regionale al Brasile, indicato dal supporto del GRULAC, sia una vittoria diplomatica. Il rapporto tra i diversi Paesi dell’America Latina è teso, per via dei contrasti politici causati dalla crisi in Venezuela e la polarizzazione politica in Brasile.
C’è qualche speranza che ospitare la conferenza possa avvicinare l’agenda del clima al centro della discussione politica.
Per decenni, il Brasile è stato un leader regionale nelle politiche ambientali. È stato proprio a Rio de Janeiro che la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), l’organismo responsabile della supervisione dei negoziati sul clima, è emersa nel 1992.
Qualsiasi perdita di leadership sarebbe dannosa per la regione e il mondo intero. Il Brasile è il settimo emettitore di gas serra e, se dovesse iniziare a ritirarsi dalla scena mondiale, potrebbe diventare un ostacolo – insieme agli Stati Uniti – agli obiettivi generali dell’Accordo di Parigi.
“Abbiamo ancora molto da dimostrare“, afferma Rittl. “Ma, allo stesso tempo, dobbiamo affrontare le nostre contraddizioni“.
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