Qualità del cibo, reazioni/adattamenti ai cambiamenti climatici

Alla base dei cambiamenti climatici previsti nei prossimi decenni, con il riscaldamento globale del pianeta, i crescenti rischi di siccità e gli eventi meteorologici sempre più intensi, sta il rapido aumento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera.

In particolare è stato rilevato che la concentrazione di CO2 è aumentata dagli 280 μmol/ml di prima della rivoluzione industriale ai 408 μmol/mol dei nostri giorni.

Inoltre, le previsioni indicano che aumenterà del 30- 40% nei prossimi 40 anni a causa del crescente utilizzo a livello mondiale di carburanti fossili e ai cambiamenti di utilizzo del suolo.

Che incidenza avrà tutto questo sulla qualità del cibo, diritto fondamentale di ogni essere umano?

Ci sono diversi fattori del cambiamento climatico che potrebbero avere un effetto sul cibo – spiega a Voci Globali Ana Islas Ramos, Nutrition Officer della FAOperò è importante notare che gli effetti più marcati sono sulla sicurezza alimentare, e sulla nostra capacità nel produrre e preparare abbastanza cibo diverso e nutritivo per tutti. Certamente il cambiamento climatico ha degli effetti sui nutrienti presenti nel cibo.

In che modo, ce lo spiega la professoressa Anna Maria Giusti, docente di Biochimica e Biochimica della Nutrizione presso la facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università Sapienza di Roma: “Essenzialmente – dice a Voci Globali- negli ultimi decenni numerosi studi effettuati sull’impatto dell’aumento della CO2 sulla qualità nutrizionale degli alimenti vegetali hanno messo in evidenza che un incremento di CO2 può avere effetti diversi sul contenuto delle piante di macro e microelementi importanti per la salute umana.”

La CO2 è infatti anche la principale fonte di nutrimento delle piante le quali, tramite il processo della fotosintesi, la trasformano in carboidrati e, in ultima istanza, in produzione agricola. “ In aggiunta – continua la Giusti – essa aumenta la resistenza delle piante agli stress ambientali attraverso l’incremento di zuccheri solubili nelle cellule e nei tessuti vegetali (glucosio, fruttosio e saccarosio) e di molecole antiossidanti (flavonoidi, acido ascorbico, carotenoidi, antocianine etc.). Inoltre, un maggiore livello di CO2 sembra migliorare l’efficienza dell’utilizzo di acqua da parte delle piante. L’osservazione dell’aumento della resa di alcune coltivazioni dovute ad un aumento di CO2 è stato riportato in  alcuni ortaggi come lattuga, carote e prezzemolo del 18, 19 e 17% rispettivamente. Ma anche colture come riso, frumento e soia hanno mostrato un aumento di resa del 15 %”.

Un aumento di CO2 promuove l’accumulo di antiossidanti nelle piante, migliorando così la qualità dei vegetali. “I risultati di diversi studi – spiega la Giusti – hanno mostrato che la CO2 atmosferica aumenta il livello di capacità antiossidante totale, di fenoli totali, di flavonoidi totali, di acido ascorbico e di clorofilla b del 59,0%, 8,9%, 45,5%, 9,5% e 42,5%, rispettivamente, indicando un miglioramento nella qualità nutrizionale e salutistica degli ortaggi per via dell’incremento di molecole bioattive con attività protettiva per la salute come viene  ampiamente riportato dalla letteratura scientifica internazionale”.

A fronte di questi aspetti positivi derivati dall’aumento della CO2 va segnalata però una diminuzione del contenuto proteico che può essere di diversa entità a seconda se si tratta di un vegetale a gambo, a radice o a frutto, poiché una elevata concentrazione di CO2 diminuisce la quantità di nitrati all’interno dei vegetali stessi che in ultima analisi limita la sintesi proteica.

Altro elemento negativo sulla qualità nutrizionale dei vegetali, imputabile all’aumento della concentrazione di CO2, riguarda il contenuto di sali minerali, micronutrienti essenziali molto importanti per la salute umana.  Una recente revisione sistematica di diversi lavori scientifici ha mostrato che l’aumento di CO2 induce nei vegetali la diminuzione  della concentrazioni di magnesio, ferro e zinco (Mg, Fe e Zn) del 9,2%, 16,0% e 9,4% rispettivamente, mentre restano invariate le concentrazioni di fosforo, potassio, zolfo, rame e manganese (P, K, S, Cu e Mn).

Essenzialmente – dice la Giusti –  gli studi effettuati dimostrano che l’aumento di CO2 può promuovere nei vegetali l’accumulo di zuccheri solubili compreso glucosio e fruttosio e l’accumulo di antiossidanti quali acido ascorbico, fenoli totali e flavonoidi totali, ma ridurre i livelli di proteine, nitrati, Mg, Fe e Zn”.

Ma se questo è il quadro, cosa si può fare per salvaguardare la qualità nutritiva dei cibi?

Ana Islas Ramos non sembra avere molti dubbi: “Diversi attori – afferma – possono fare molto per salvaguardare il nostro cibo. I governi possono, per esempio, cominciare a valutare i rischi e gli impatti climatici nei settori dell’agricoltura, della sicurezza alimentare e della nutrizione per decisioni informate; implementare in maniera giudiziosa misure sanitarie e fitosanitarie per garantire la sicurezza alimentare e proteggere la salute degli animali o delle piante; raddoppiare gli sforzi per fornire acqua e servizi igienico-sanitari sicuri a tutti, ma in particolare alle popolazioni più vulnerabili, contribuendo a ridurre le malattie e i decessi infantili”.

E infine promuovere la diversificazione del cibo: “Gli umani hanno bisogno di diversi nutrienti e componenti bioattivi nel cibo. Un buon modo per ottenere una sana alimentazione è includere nella dieta una varietà di alimenti di alta qualità. Diversificare ciò che coltiviamo e mangiamo è il modo migliore per ridurre al minimo gli effetti del cambiamento climatico sulle nostre diete”.

La rete delle autorità internazionali per la sicurezza alimentare (INFOSAN), gestita congiuntamente dalla FAO e dall’OMS, pubblica quattro volte all’anno un sommario trimestrale che include le principali minacce alla sicurezza alimentare identificate da rischi biologici, chimici e allergenici. (qui l’ultimo rapporto)

Difficile però dire quali saranno le zone del pianeta in cui il cambiamento climatico ha avuto e avrà più incidenza nel modificare le proprietà nutritive del cibo.

Gli effetti del cambiamento climatico– dice Islas Ramos – si vedranno di più, per esempio, sulla disponibilità e l’accesso all’acqua pulita per bere e per preparare alimenti. Un aumento delle temperature può consentire agli insetti nocivi, batteri e parassiti di espandersi in aree in cui non erano presenti prima e anche esporre il nostro cibo a patogeni o tossine. Tutto questo potrebbe evidenziare nuovi problemi di sicurezza alimentare nelle zone un tempo più fredde. Ciò aumenterà il rischio di impatti negativi sulla salute, ma la vera incidenza delle malattie trasmesse dagli alimenti dipenderà dall’efficacia delle pratiche messe in atto per salvaguardare il cibo”.

Su quali saranno i cibi che risentiranno di più del cambiamento climatico risponde la professoressa Giusti: “Molti studi disponibili – spiega – mostrano come l’agricoltura e la produzione di cibo sono intrinsecamente sensibili alla variabilità e ai cambiamenti del clima, sia che dipendano da cause naturali o dalle attività umane, e delineano probabili influenze future dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni per la produzione di cibo o di foraggio, nonché altri impatti indiretti sullo stato di salute del bestiame, sul commercio del cibo e dei generi alimentari”.

 

La rassegna effettuata nel Quinto Rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha mostrato che i recenti andamenti climatici hanno influenzato negativamente la produzione di grano, mais e riso in molte regioni, mentre sulla soia le variazioni sono meno rilevanti. Anche mais, sorgo e miglio hanno risentito negativamente dei cambiamenti climatici pur con grado inferiore.

Anche se l’aumento delle concentrazioni di CO2 e delle temperature può teoricamente favorire le produzioni agricole alle alte latitudini – aggiunge – secondo l’IPCC gli impatti negativi sulle coltivazioni sono stati, su scala globale, più frequenti di quelli positivi”.

A livello generale, l’aumento di temperatura sembra portare benefici alle attività agricole che si svolgono alle alte e medie latitudini (dai tropici ai poli), con l’espansione delle aree idonee per le coltivazioni, l’allungamento del periodo di crescita delle rese. “Benefici, però – sottolinea la Giusti – contrastati dall’aumento della frequenza degli eventi estremi, come le ondate di calore, di siccità o l’aumento delle precipitazioni intense e delle inondazioni””

E aggiunge: “L’incremento di temperatura previsto per i prossimi decenni è atteso accelerare lo sviluppo delle colture, determinando una complessiva riduzione del periodo di crescita e una diminuzione produttiva per le principali colture agricole. Mentre le colture invernali potranno evitare lo stress idrico estivo, per le colture estive l’aumento della frequenza di eventi estremi come gelate al germogliamento ed ondate di calore durante la fase di fioritura potrà incidere fortemente sulla qualità e quantità della resa finale”.

Secondo molti studi, la produzione dovrebbe aumentare nel Nord Europa, ma diminuire in Africa e Sudamerica.

La conclusione importante su cui si può quindi rilevare un consenso nella letteratura scientifica – conclude la docente – è che le grandi aree del mondo dove la produttività delle coltivazioni è prevista in calo a causa dei cambiamenti climatici coincidono con i Paesi che attualmente soffrono fortemente il problema della fame.  Le evidenze del probabile impatto dei cambiamenti climatici sulla produttività delle coltivazioni in Africa e in Asia meridionale sono considerevoli per grano, mais, sorgo e miglio, mentre sono minori o contraddittorie per riso, manioca e canna da zucchero”.

 

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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