[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Chouaib Elhajjaji pubblicato su Open Democracy]
L’attivismo per i diritti delle donne in Tunisia è stato celebrato e rappresentato come un successo per tutte le donne nel mondo arabo. Tuttavia, molti osservatori stanno volontariamente chiudendo un occhio su ciò che non funziona all’interno del movimento femminista nel Paese. Il femminismo in Tunisia infatti possiede alcune caratteristiche peculiari che influenzano le forme di attivismo. Il controllo elitario da parte di alcune attiviste può essere considerata una di queste. L’esclusione della maggioranza delle donne da questo spazio ha trasformato il movimento in una piattaforma per “VIP”, mirata ad esprimere solo alcune richieste, escludendone altre. Un’altra caratteristica importante è l’egemonia maschile sulla partecipazione delle donne e la trascuratezza verso la lotta per i loro diritti, insieme a molte altre questioni che non vengono affrontate dalle stesse attiviste.
La storia si ripete
Il 13 agosto 1956, il primo presidente della Repubblica, Habib Bourgiba, pronunciò un famoso discorso in cui rendeva omaggio al ruolo fondamentale delle donne nella rivoluzione tunisina. A questo, seguì l’emissione del Codice dello Statuto Personale. Molti videro i cambiamenti introdotti da Bourgiba come un atto di emulazione di altre figure politiche liberali, tra cui Tahar Haddad e Mustafa Kemal Ataturk, non un gesto ispirato alla lunga lotta delle donne in Tunisia.
Il Codice fu celebrato come un successo di Bourgiba, ignorando le attiviste che avevano combattuto per queste leggi. I libri di storia scolastici raramente menzionano nomi come Bchira Ben Mrad, Radhia Haddad e Manoubia Ouertani, al contrario, è Bourgiba che viene celebrato come “salvatore” e “liberatore” delle donne.
Queste riforme liberali hanno inoltre creato divisioni all’interno della solidarietà tra donne in Tunisia. L’immagine di Bourgiba che rimuove il velo a una donna per “liberarla”, ha portato all’alienazione di un gran numero di donne che considerano invece il velo come una parte essenziale della propria identità.
Ben Ali (Presidente dal 1987 al 2011) ha seguito le orme del suo predecessore prendendo, tra le altre cose, una dura posizione sull’hijab, vietandolo in tutte le istituzioni al fine di mostrare ai suoi alleati occidentali il proprio impegno verso la laicità e la democrazia, visto che per molti l’Hijab era un segno di oppressione e radicalismo.
Nel tentativo di lasciare un segno, Essebsi (presidente in carica dal 2014) ha intrapreso un percorso verso il sostegno ai diritti delle donne. Ma lo stesso politico che aveva promesso di proteggere e rispettare i loro diritti, nel corso di un evento svoltosi il 13 agosto, ha attaccato Meherzia Maïza Labidi (il primo vicepresidente dell’Assemblea Costituente della Tunisia) per averlo criticato. La sua risposta misogina alla critica ricevuta, è stata che “è solo una donna“, cosa potrebbe saperne.
Tuttavia, queste non sono le uniche volte in cui ha mostrato un comportamento misogino, in passato aveva infatti affermato che le donne che indossano il Niqab non dovrebbero mai lasciare le loro case e le ha paragonate a dei corvi.
Sfruttare il successo delle donne
Bourgiba, che aveva preso sotto il suo controllo tutti i rami del Governo, aveva ampliato la sua azione unendo i tre principali movimenti dei diritti delle donne in un’unica entità chiamata Unione nazionale delle donne tunisine (UNFT), sfruttandola per definire il proprio Governo come moderno e progressista al fine di impressionare l’Occidente. Come conseguenza, ha annientato il movimento di base e lo ha trasformato in uno sponsorizzato dal Governo. Ilhem Marzouki, nota attivista femminista ai tempi, disse “le donne vengono usate per scopi che sono in contraddizione con i propri interessi e con quelli delle loro cittadine“.
Facendo un passo in avanti a tempi più recenti, lo scorso 12 giugno, il Comitato per le libertà individuali e l’uguaglianza (COLIBE), creato dal presidente Beji Caid Essebsi il 13 agosto 2017, ha pubblicato un rapporto noto come “Le rapport COLIBE”. Nel Rapporto si chiede una legge che garantisca alle donne pari diritti ereditari. Sarà il Parlamento ora a dover decidere in merito.
Con la creazione della Commissione, Essebsi non sembra abbondanare questa tradizione di sfruttamento. Oltre a voler lasciare il proprio segno, la proposta della Commissione e l’idea di un’eredità paritaria, sono arrivate subito prima delle elezioni municipali, nell’ottica di ottenere un maggiore sostegno secolare al proprio movimento e battere il loro più grande rivale, il Partito Islamista ( Ennahdha). Quest’ultimo potrebbe perdere i voti della sua base conservatrice se si allinea alla nuova proposta. Allo stesso modo, se sceglie di non approvarla, il partito potrebbe perdere il sostegno delle istituzioni e delle democrazie occidentali che lo considerano come un movimento islamico progressista disposto a fare cambiamenti.
L’esclusione delle donne nere
Il movimento femminista in Tunisia è stato vittima di un brutale sfruttamento e di una politicizzazione che ne ha frammentato le fondamenta. In effetti, diverse femministe sono state costrette ad andarsene o scomparire perché non si sentivano più gradite in un movimento che non le rappresentava più.
Pertanto, la piattaforma per il “femminismo popolare” nel Paese ha mantenuto, consciamente o inconsciamente, questo rituale di “elitarismo“.
È evidente che la “scena femminista” è dominata da donne laureate, in linea con le politiche del Governo e con la sua visione di quello che si può definire “femminismo leggero“, un tipo di femminismo che serve solo a donne appartenenti a uno specifico contesto economico ed educativo. Ciò è evidente osservando il panorama dell’attivismo femminile in Tunisia e chi le rappresenta alle diverse conferenze.
Le donne nere sono state profondamente colpite da questa “selettività”. Anche se sono in grado di raggiungere uno status socio-economico alto, sono ancora escluse dalle piattaforme femministe.
Maha Abdelhamid, dottoranda e ricercatrice di geografia sociale in Francia, ha dichiarato: “Non siamo mai state invitate a conferenze o forum sul femminismo, non siamo rappresentate“. Tuttavia, le attiviste nere hanno parlato apertamente di questo problema e si sono persino avvicinate ad altre femministe per invitarle ad affrontare la questione. Sfortunatamente, i loro tentativi hanno incontrato indifferenza.
Tentando di attirare l’attenzione su questo tema, Abdelhamid ha ripetutamente pubblicato sui social media il problema del razzismo e dell’aggressione contro le donne nere, solo per essere però ignorata e respinta. “Non abbiamo razzismo in Tunisia“, una controargomentazione ampiamente utilizzata in Tunisia.
Saadia Mosbah, fondatrice di Mnemty, associazione dedita alla lotta contro il razzismo nella società tunisina e lei stessa attivista, ricorda di aver contattato una femminista di spicco, membro del Comitato per le libertà individuali e l’uguaglianza. per affrontare la questione dell’esclusione delle donne nere. La donna ha risposto dicendo “Voi [donne nere] avrete la vostra legge“, riferendosi a una legge anti-discriminazione che è in attesa di approvazione da parte del Parlamento.
Riferirsi alle donne nere come “altre” che hanno bisogno di una “propria legge” per combattere il sessismo, rappresenta un aspetto molto problematico. Se guardiamo l’uso della parola “nero” nel famoso rapporto COLIBE, non c’è “nessun oggetto corrispondente“.
Nonostante l’ambiente inospitale, Mosbah, non si perde mai un evento femminista in Tunisia. “Dobbiamo ricordare loro la nostra esistenza“, ha detto.
Le persone di colore non sono solo escluse dall’attivismo, ma sono trascurate anche in altre diverse aree. Ciò è dovuto principalmente alla mancanza di conoscenza dei loro bisogni di rappresentazione. L’Istituto Nazionale di Statistica (INS) ha dichiarato che il numero di tunisini di colore, indipendentemente da età, sesso e altri parametri, non è noto, ma si stima che rappresentino il 10% della società, mentre altre fonti indicano il 15%.
Questo glorioso manifesto del femminismo (COLIBE), che si suppone richieda l’uguaglianza tra donne e uomini, ha ignorato prima di tutto l’eguaglianza tra donne nere e non.
Sembra quindi che le femministe nere abbiano a che fare con un’altra forma di discriminazione basata sul colore della pelle, e non sul genere, e questa volta chi discrimina sono altre donne.
“Non fa per noi, donne rurali”
La settantenne Mariam ha vissuto nel Governatorato di Siliana, un’area agricola, la maggior parte della sua vita, e afferma che “il femminismo non è per le donne come noi, donne delle zone rurali“. La maggior parte dei lavoratori nel settore agricolo sono donne, con una percentuale che supera il 70% della forza lavoro totale.
La maggior parte di loro riceve i salari minimi, senza assicurazioni sociali o sanitarie e/o prospettive di cambiamento nel prossimo futuro. Queste donne non solo si sentono sottorappresentate, ma sentono anche di essere state trascurate dalle stesse attiviste.
Queste donne affrontano numerosi pericoli sul posto di lavoro, che vanno dalla mancanza di attenzione alla loro salute alle ferite sul lavoro. Numeri non ufficiali mostrano che il 10% delle lavoratrici è stato vittima di incidenti sul lavoro e quasi il 63% di loro lavora in condizioni molto difficili. Veicoli vecchi e usati che possono facilmente ribaltarsi o rompersi, sono un esempio di questi pericoli. Alcune addirittura li chiamano i veicoli della morte.
E mentre alcune richieste vengono espresse lanciando iniziative e progetti da parte del Ministero delle Donne, altri bisogni sostanziali vengono ignorati. La vita non sembra migliorare, la mancanza di assorbenti per ragazze e donne impedisce loro di andare a scuola, finiscono per abbandonare gli studi e unirsi al mercato del lavoro come contadine o lavoratrici domestiche, in alcuni casi a soli 10 anni.
Mariam ha confermato queste realtà e ha concluso: “le attiviste si ricordano di noi solo nella giornata delle donne, e poi ci lasciano sole a soffrire“.
Illusioni e divisioni
Il femminismo sponsorizzato dal Governo spesso si elogia da sè per il potenziamento delle donne nell’istruzione e nell’occupazione, ma i numeri non tornano. Alcuni rapporti mostrano che il 40% delle donne con un diploma di laurea è ancora disoccupato; questa cifra arriva fino al 70% in alcune regioni. La disoccupazione femminile complessiva ha raggiunto il 22,7%, quasi il doppio della cifra delle controparti maschili (12,5%).
Ciò non è dovuto alla mancanza di risultati scolastici, anzi, nel 2014, il 67% dei laureati erano donne, mentre il 57% dei diplomi STEM (nell’ambito di Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) è stato assegnato a donne.
Ma una volta impiegata, una donna guadagna in media il 271% in meno di un uomo. Questa differenza è dovuta alla mancanza di finanziamenti alle donne imprenditrici, all’ambiente lavorativo sessista e ad altri fattori, che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte delle femministe.
Con l’aumentare dell’alienazione, le divisioni all’interno dello scenario della solidarietà femminile sono diventate molto visibili. Lo dimostrano le recenti proteste nel Paese, dove lo scorso 11 agosto numerose donne hanno protestato contro “Le rapport COLIBE” definendolo un attacco contro i valori tunisini, gli insegnamenti religiosi, mentre altre ne hanno contestato i tempi (una distrazione mentre il Paese sta attraversando instabilità economica e austerità).
Al contrario, il 13 agosto un altro gruppo ha protestato a favore del rapporto e del suo ruolo fondamentale nella creazione della Seconda Repubblica tunisina. Entrambe le parti hanno usato i social media per difendere le proprie opinioni, fornendo però l’opportunità perfetta ai troll online di diffondere propaganda e caos.
Di fronte a un rapporto di 230 pagine, ricco di linguaggio accademico e testi legali, che richiede molto tempo per essere analizzato e compreso, il pubblico ha deciso di seguire le sintesi non ufficiali fornite dalle diverse parti o condivisi su piattaforme social. Di conseguenza, entrambi i gruppi sono stati fuorviati da notizie false sul rapporto.
In conclusione, le femministe in Tunisia hanno raggiunto numerosi traguardi per garantire la piena uguaglianza tra donne e uomini. Tuttavia, la scena femminista dovrebbe essere esaminata più a fondo, con un focus sull’approccio alla base. Allo stesso tempo, ci dovrebbe essere una richiesta di maggiore intersezionalità al fine di essere inclusivi da un lato, e trattare le questioni critiche delle donne in un modo più olistico e sostenibile dall’altro.
È ora che le donne collaborino e rafforzino il loro movimento. Altrimenti, la ricerca dell’uguaglianza approderà solo a un vicolo cieco.
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