Mattanza di attivisti ambientali, superstizione di onnipotenza
Non sono uno di quelli che rifuggono dalla protesta contro l’ingiustizia e l’oppressione – Ken Saro Wiwa
Nel 2017 quasi 4 persone ogni settimana sono state uccise perché lottavano per la salvaguardia dell’ambiente. Interi territori naturali, foreste, parchi patrimonio dell’umanità sono il teatro in cui si è svolta questa ecatombe.
È l’ultimo report di Global Witness che ci mette al corrente di quanto questo mondo e le sue radici stiano franando. Perché se un uomo è costretto a diventare un martire per difendere questa terra, allora è chiaro che c’è qualcosa che non va. E questo qualcosa riguarda tutti.
Il 2017, su cui si concentrano gli ultimi dati aggregati, risulta un anno funesto, oltre 200 persone uccise. Attivisti ambientali che stanno lì a lottare dove dovremmo essere tutti. 207, per l’esattezza, uomini e donne, che hanno lasciato la vita, come in battaglia, sulle terre e le risorse che tentavano di difendere dall’avidità umana. E, ovviamente, non è un caso, che questi omicidi abbiano interessato i Paesi cosiddetti in via di sviluppo. In particolare l’America Latina, luoghi dove la ricchezza di materie prime e di risorse naturali è direttamente proporzionale alla mancanza di leggi di tutela dell’ambiente o anche direttamente proporzionale alla violenza di Stato.
L’agrobusiness e il settore minerario sono gli ambiti più incriminati. Settori che le grandi aziende e multinazionali fanno a gara per accaparrarsi. Ed è l’agrobusiness che nel 2017 ha fatto più danni e più vittime.
Terre smembrate e svendute con la complicità dei Governi locali che parlano di sviluppo quando a guardar bene si tratta di distruzione. Per fare spazio a ponti, dighe, autostrade. E, soprattutto, a immense piantagioni a larga scala, canna da zucchero, piante di palma per quell’olio tanto criticato quanto prodotto ed esportato, mais, caffè, frutti tropicali. Produzioni massive che vanno a sostenere il fabbisogno (indotto) delle società occidentali.
In Africa sono soprattutto le foreste, i parchi e la sua fauna ad esseri presi di mira da speculatori senza scrupoli e da cacciatori di frodo al soldo di ricconi o anche di imprese che pagano bene chi libera loro il campo da ogni possibile interferenza. E non importa se quella “interferenza” sia un essere umano che ha destinato la sua vita a proteggere la natura.
E quel numero, 207, potrebbe essere ancora più alto. Spesso, infatti, ci sono azioni che non vanno alla ribalta, violenze che non raggiungono neanche la dignità di una denuncia, dello sdegno. Anche chi uccide rimane spesso senza nome e senza volto. Secondo il report la maggior parte delle azioni criminali non ha un colpevole, ovvero il colpevole, i colpevoli, rimangono sconosciuti. Subito dopo, in questo conteggio del male, ci sono le gang criminali, poi le forze armate, la polizia, le forze paramilitari.
Spesso si usa la parola “scontri” o anche “difesa delle attività in corso”, ma che scontro è quello tra persone disarmate o armate di striscioni e tra altri aggressivamente armati a cui sono stati impartiti ordini altrettanto aggressivi? Che difesa è quella che vuole consentire la distruzione e l’accaparramento di beni e risorse senza consultare le popolazioni locali o fregandosene di loro diritti o richieste? No, questi sono omicidi. Nient’altro.
Il 2017 è stato l’anno più terribile dal 2002, anno in cui si sono cominciate a registrare le morti degli attivisti ambientali. Ma brutti segnali da questo 2018 sono già arrivati da tempo. Basta volgere lo sguardo (ancora) all’Amazzonia in Brasile o al Parco Virunga nella Repubblica Democratica del Congo, all’India o alle Filippine di cui sappiamo così poco, solo per citare situazioni che restano drammatiche.
Apparteniamo all’ambiente, ne siamo parte integrante, ma pensiamo esattamente il contrario. Pensiamo che possiamo continuare a “domare” la natura e i suoi beni a nostro piacere e all’infinito. E che questa natura appartenga all’uomo, quello più furbo e spregiudicato.
È una superstizione di onnipotenza che ci fa pensare e credere di poter tutto, di poter dominare, controllare, modificare ogni cosa per interessi economici, per acquisire spazi di mercato, per prevaricare. Una superstizione che ha armato la mano di chi ha ucciso centinaia di attivisti, ma che rimane in disparte a guardare silenziosa – e senza sporcarsi le mani – la mattanza. Nella maggior parte dei casi tali azioni criminali restano impunite e i politici usano le argomentazioni più varie per starne fuori o volgere le accuse alle vittime.
A contrastare (e contestare) questa ideologia malsana e pericolosa rimangono dunque loro, persone comuni e nello stesso tempo eroi impavidi di cui non conosceremo mai i nomi, di cui non andremo ad approfondire la storia. Sono quelli che hanno difeso l’ambiente anche a nome nostro. A quale costo? È la domanda e il titolo del report. A costo della propria vita.
Se vivo o muoio è irrilevante. Basta sapere che ci sono persone che impegnano tempo, denaro ed energia per combattere questo male tra tanti altri predominanti in tutto il mondo. Se non ci riusciranno oggi, ci riusciranno domani – Ken Saro Wiwa