Sui flussi migratori che ormai da tempo interessano l’Italia si è scritto tutto e il contrario di tutto.
La narrazione sul tema è stata caratterizzata da una diffusa malainformazione, che ha contribuito a creare mostri inesistenti aumentando pregiudizi e luoghi comuni.
Il clima di crescente ostilità nei confronti dello straniero è stato poi favorito dai toni populisti di alcuni nostri politici, che non si sono certo affannanti a smentire i falsi miti circolanti sui migranti, anzi li hanno alimentati.
Così buona parte dell’opinione pubblica ancora oggi è convinta che il Paese trabocchi di immigrati e, che i “poveracci” giunti via mare ricevano dal Governo uno “stipendio” di 35 euro al giorno oltre a soggiornare in comodi alberghi di lusso.
Preme anzitutto chiarire che non siamo affatto invasi dagli immigrati. Certo indicare con esattezza il numero di stranieri che, a vario titolo, vivono nel nostro Paese non è un esercizio agevole. I dati sono frammentati, rilevati da diversi soggetti in archi temporali differenti e, nel caso degli irregolari si hanno solo stime.
Ciò premesso, è plausibile ritenere che gli immigrati presenti sul territorio nazionale siano circa 6 milioni pari più o meno al 10% della popolazione complessiva, che si aggira intorno ai 60,5 milioni di persone.
Andando nello specifico, la quasi totalità degli immigrati è costituita da stranieri regolari residenti, in possesso cioè di un valido permesso di soggiorno e iscritti alle anagrafi comunali.
Si tratta, dice l’ISTAT, di 5.144,440 persone che rappresentano 200 nazionalità e nella metà dei casi sono cittadini europei. La comunità straniera più cospicua è quella romena, seguita da quella albanese e marocchina. I regolari non residenti, secondo l’ISMU, sarebbero invece circa 400 mila.
Gli irregolari – termine che comprende sia le persone entrate illecitamente nel territorio statale, sia coloro i quali arrivati in maniera regolare hanno poi perso i requisiti per rimanere nel Paese, ad esempio perchè è scaduto loro il permesso di soggiorno – ammonterebbero, in base alle stime sempre dell’ISMU, a 491 mila.
Che in Italia non sia in corso un’invasione barbarica di immigranti si rileva altresì guardando i numeri sui nuovi arrivati. I dati del ministero dell’Interno mostrano, infatti, che prosegue l’inversione di tendenza iniziata nella seconda metà del 2017 e contrassegnata da una notevole riduzione degli sbarchi. I migranti – principalmente tunisini, eritrei e sudanesi – approdati sulle coste italiane nel primi 6 mesi del 2018 sono 16.566, mentre lo scorso anno nel medesimo periodo erano 83.754.
Il rallentamento dei flussi non ha però significato una riduzione né dei costi né della presenza dei migranti in accoglienza.
Il DEF 2018 (Documento di Economia e Finanza) ha stimato una spesa tra i 4,6 e i 5 miliardi di euro, inclusi 80 milioni di contributi europei, laddove nel 2017 ne erano stati spesi 4,3. Tale importo afferisce a tutte le attività inerenti la “crisi migranti”: dal soccorso in mare fino all’uscita dal sistema di accoglienza passando per i procedimenti di espulsione. Tuttavia, gran parte di essa è comunque ascrivibile all’accoglienza, per la quale sono stati previsti oltre 3 miliardi di euro contro i 2,8 impiegati nel 2017.
La carenza di dati ufficiali più dettagliati impedisce di comprendere quali siano le singole voci di spesa concernenti l’accoglienza e, quindi, quali attività abbiano costi maggiori.
Il ministro Salvini sembra però avere le idee chiare, tanto che in un recente tweet ha affermato “entro l’estate i 35 euro al giorno per immigrato, scenderanno almeno a 25. Quello che risparmieremo in falsa accoglienza lo investiremo in sicurezza”.
La dichiarazione, dai toni fortemente propagandistici, sembrava essere solo l’ennesima manifestazione verbale di quel razzismo politico e istituzionale che, da anni,tenta di plasmare la società italiana dirottandola verso una crescente ignoranza in materia di immigrazione.
Il ministro è però andato oltre firmando il 24 luglio scorso una direttiva tesa a differenziare“i servizi offerti in relazione alle fasi di accoglienza”. Nel comunicato stampa si legge: “a tutti i richiedenti asilo verranno assicurati i servizi assistenziali di prima accoglienza, mentre gli interventi per favorire l’inclusione sociale saranno riservati esclusivamente ai beneficiari di forme di protezione”.
Una scelta questa che finirà per peggiorare oltremodo il già articolato e a tratti inefficiente sistema di accoglienza italiano, creando ulteriori discriminazioni tra i migranti in ragione del loro status e accrescendo la sensazione di inospitalità.
La verità è che non ospitiamo i migranti per gentile concessione e neppure al prezzo pro die pro capite più alto d’Europa. Il diritto di asilo è consacrato dall’art. 10 della nostra Costituzione e diversi Paesi europei sostengono una spesa giornaliera per immigrato più alta della nostra. È così per l’Olanda (€ 63,00), il Belgio (€ 51,14), la Finlandia (€ 49,14), la Slovacchia e la Svezia (€ 40,00).
Peraltro, la decisione del ministro, sotto il profilo pratico, necessita almeno di due precisazioni.
In primo luogo, va considerato che le spese sostenute dall’Italia per accogliere i migranti vengono imputate, come si rileva dal DEF 2018, alla voce “eventi eccezionali”. Sono, quindi, spese scorporate dai vincoli di bilancio previsti dal fiscal compact europeo.
Se l’Italia deciderà di investire in sicurezza o in qualsiasi altro settore (lavoro, incentivi alle imprese e così via) gli eventuali soldi risparmiati dall’accoglienza, questi saranno automaticamente conteggiati nel computo del debito e del deficit pubblico. Di conseguenza, il Governo potrebbe rischiare di violare gli obblighi europei sanciti dal Patto di stabilità e gli italiani non trarrebbero comunque alcun beneficio da un siffatto risparmio.
In secondo luogo, per concretizzare il taglio proclamato, Salvini dovrà essere così bravo da ridurre, in un lasso di tempo brevissimo, i costi dei servizi fruiti dai centri accoglienza senza intaccarne la qualità, già in alcuni casi discutibile.
I famigerati 35 euro pro die pro capite non costituiscono, infatti, una sorta di “bonus migrante” riconosciuto dal Governo italiano ad ogni singolo straniero inserito nel sistema di accoglienza dopo il suo ingresso irregolare nel Paese. I “35 euro” non sono una diaria versata al migrante nelle more dell’esame della sua richiesta di asilo da parte delle autorità competenti.
Più semplicemente, “35 euro” è l’importo che in media viene speso dalle strutture ospitanti i richiedenti asilo per coprire le spese di vitto, alloggio, pulizie, altri beni di prima necessità e stipendi degli operatori.
Solo una piccola parte della somma viene elargita al richiedente asilo. È il cosiddetto “pocket money” che va da un minimo di € 1,50, ad un massimo di € 3,00 nei centri di seconda accoglienza dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Mentre, nei CAS (centri di accoglienza straordinaria) è solitamente di € 2,50 e può arrivare a € 7,50 per nucleo familiare.
Il finanziamento delle strutture di accoglienza avviene attraverso risorse economiche pubbliche, in parte di provenienza europea. L‘iter di assegnazione dei fondi segue due differenti filiere in base alla tipologia di centro.
Le strutture dello SPRAR – ovvero i centri di seconda accoglienza mirati all’integrazione socio-economica del richiedente asilo che ha già presentato domanda di protezione – sono finanziate mediante l’Fnpsa (Fondo nazionale per le politiche e i servizi d’asilo) gestito dal Ministero dell’Interno.
Nel fondo affluiscono, tramite il Ministero dell’Economia, anche i contributi dell’Unione Europea. Più precisamente, la dotazione finanziaria dell’Fnpsa è costituita da: risorse ordinarie del Viminale, donazioni e contributi di privati, organizzazioni internazionali e altri organismi UE, assegnazioni annuali del FAMI 2014-2020 (Fondo asilo migrazione e integrazione).
Il FAMI è stato istituito dal Regolamento UE n. 516/2014 con lo scopo esclusivo di sostenere gli Stati membri dell’UE nella gestione dei flussi migratori. È dunque un fondo vincolato. Gli aiuti economici devono essere utilizzati solo per interventi riguardanti l’immigrazione. In altre parole, non finiscono nelle casse dello Stato affinché questo ne disponga a suo piacimento.
Finora lo stanziamento comunitario FAMI per l’Italia è stato di € 381.488.100,00, a cui vanno aggiunti circa 90 milioni di euro per l’assistenza emergenziale dei soggetti più vulnerabili come i minori non accompagnati.
Se si considera che per l’anno in corso il ministero dell’Interno ha stanziato circa 150 milioni di euro solo per finanziare i centri dello SPRAR, verrebbe da pensare che l’Europa non ci stia supportando in maniera significativa. Ma non è così.
Il FAMI non è un pozzo senza fondo. Al contrario, ha una propria dotazione finanziaria che da 3,1 miliardi è stata già ampliata a 4,5 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Queste risorse devono però essere distribuite, in base a criteri oggettivi, tra tutti gli Stati membri dell’UE. E l’Italia, dopo Francia e Germania, è il Paese che finora ha ricevuto il maggior sostegno economico.
Destinatari dei finanziamenti provenienti dall’Fnpsa sono gli Enti locali, che accedono ai contributi dietro presentazione di una domanda. Se la richiesta viene accolta, l’Ente locale – unico titolare del finanziamento triennale – può avvalersi (ma anche no) di organizzazioni del terzo settore, ad esempio cooperative o associazioni, per l’attuazione del progetto di accoglienza. L’Ente gestore viene individuato con una procedura d’appalto assegnata mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con importi a base d’asta intorno ai 35 euro.
Meno trasparente risulta la provenienza dei fondi per la gestione dei CAS. Non è chiaro se questi vengano (o meno) finanziati dall’Fnpsa. Di certo, spetta alle Prefetture corrispondere direttamente all’Ente gestore del CAS gli importi per ciascun ospite assistito.
Le Prefetture sono infatti tenute, su espressa richiesta del Viminale, ad individuare nei territori di competenza le strutture da destinare alla distribuzione di un certo numero di posti di accoglienza in base ad una sistema di quote regionali.
I servizi di accoglienza sono affidati mediante procedure d’appalto, alle quali possono partecipare soggetti pubblici e privati.
Ed è proprio in questo contesto che vengono in rilievo i fantomatici alberghi di lusso in cui alloggerebbero i migranti. Le strutture recettive, al pari di qualsiasi altro operatore economico in possesso dei requisiti indicati dal bando, hanno diritto di concorrere alle procedure di evidenza pubblica. Difficilmente però saranno hotel lussuosi visto che l’importo a disposizione rimane sempre di circa 35 euro al giorno comprensivi di pocket money.
D’altronde, gli alberghi, come ogni altra abitazione adibita a CAS, servono a sopperire alla mancata attivazione degli hub regionali/interregionali.
I CAS, introdotti dal D. Lgs 142/2015, erano stati concepiti quali strutture eccezionali da allestire in situazione di emergenza una volta esaurita la disponibilità di posti negli hub. Fatte salve alcune eccezioni, come Bologna, gli hub non stati attivati, i posti nei centri governativi già esistenti sono limitati e i CAS hanno finito con il coprire oltre il 90% dell’accoglienza.
Non è da escludere che in futuro il ministro Salvini sia davvero in grado di abbassare o meglio ottimizzare i costi dell’accoglienza con buona pace di tutti. La riduzione indiscriminata della spesa giornaliera per migrante potrebbe, però, non essere la soluzione più adeguata.
Si dubita, infatti, che gli impegni economici sostenuti dallo Stato in detto ambito siano imputabili in via prevalente ai “35 euro” in quanto tali. È più probabile che dipendano da falle proprie del sistema di accoglienza italiano.
Intanto, ve tenuto conto che i CAS – diventati la regola anziché l’eccezione – non hanno l’obbligo, a differenza dello SPRAR, di rendicontare le spese effettuate. La carenza di controlli circa l’utilizzo del denaro pubblico favorisce ampi margini per una cattiva gestione delle risorse economiche, aprendo la strada a sprechi e facili guadagni sulla pelle dei migranti.
È vero che “mettendo le mani in tasca ai gestori” – sostiene nel report “Straordinaria Accoglienza” l’associazione In Migrazione – “è possibile avviare un processo virtuoso per arrivare a un profondo cambiamento dei CAS” in termini di qualità e di costi. Il suggerimento però non è di abbassare i 35 euro die pro capite bensì di “abbandonar(li) definitivamente (…) e prevedere pro die pro capite diversificati a seconda della dimensione del centro di accoglienza“.
Infine, si ritiene che a far davvero lievitare i costi dell’accoglienza siano i dilatati tempi di permanenza dei migranti nei vari tipi di centri. Ciò è dovuto, da un lato all’eccesiva durata dei procedimenti amministrativi e giudiziari per l’esame delle domande di asilo; dall’altro, al fallimento del progetto comunitario di “relocation“.
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