[Traduzione a cura di Violetta Silvestri dall’articolo originale di Ruvi Ziegler pubblicato su The Conversation]
Il destino di Aquarius, nave di soccorso di Medici Senza Frontiere rimasta bloccata per ore nel Mar Mediterraneo con a bordo 629 migranti africani, è un severo promemoria dell’attuale stallo della politica migratoria dell’Unione Europea.
Il nuovo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha ordinato ai porti di rifiutare l’attracco della nave, provocando un’enfatica rivolta di alcuni sindaci italiani. Anche Malta ha negato l’attracco, affermando che il salvataggio era avvenuto nella zona di ricerca e soccorso italiana. Mentre si stavano esaurendo le scorte della nave, il nuovo primo Ministro spagnolo, Pedro Sanchez, si è fatto avanti e ha autorizzato l’attracco a Valencia.
Il venir meno della responsabilità evidenzia il pericoloso stato del Sistema di Asilo della Comunità Europea, stabilito nell’articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e arriva poche settimane prima del Consiglio Europeo di Bruxelles con il tema migrazione in cima all’agenda. All’inizio di giugno, una riunione dei ministri degli interni dell’UE non ha raggiunto alcun accordo sulle necessarie riforme delle regole che disciplinano la condivisione della responsabilità per coloro che chiedono asilo quando raggiungono le coste Ue.
Il sistema asilo Ue affronta tre sfide fondamentali e correlate. La prima, l’equa ripartizione delle responsabilità per la valutazione delle richieste di asilo e la protezione ai sensi della legislazione dell’Ue. La seconda, l’armonizzazione di come vengono prese queste decisioni. E la terza, la libertà di movimento dei beneficiari della protezione internazionale, vale a dire quelli che hanno diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria.
La posizione predefinita, soggetta ad eccezioni umanitarie, e sotto quello che è diventato noto come il regolamento “Dublino III” è che il primo Stato membro dell’Ue il cui confine è “irregolarmente” attraversato da un richiedente asilo, è responsabile per il trattamento della richiesta di asilo, fornendo le condizioni di ricezione. Gli Stati sono responsabili poi per ospitare coloro che sono riconosciuti come “beneficiari di protezione internazionale“. In particolare, sotto Dublino III, l’obbligo spetta allo Stato membro, non ai richiedenti asilo. Alcuni richiedenti asilo possono preferire piuttosto di unirsi a parenti o amici in un altro Paese, o di raggiungere un Paese con un sistema di accoglienza e di asilo funzionante.
Dublino III ha colpito in maniera sproporzionata gli Stati membri “di frontiera”, in particolare Grecia e Italia. Ma esso crea anche un incentivo perverso per uno Stato membro a non riconoscere i richiedenti asilo, dato che dopo essere stati riconosciuti, non sono in grado di muoversi liberamente tra gli Stati membri. Per questo motivo, in precedenza ho sostenuto la creazione di uno “spazio di protezione dell’UE” in cui i beneficiari di protezione internazionale possano esercitare i diritti di mobilità.
Ricollocazione di emergenza, una procedura a rallentatore
A seguito della “situazione di emergenza” del 2015, che per prendere in prestito le parole del Trattato Ue era “caratterizzata da un afflusso improvviso” di “cittadini di Paesi terzi”, nel settembre 2015 il Consiglio europeo ha adottato due decisioni – 2015/1523 e 2015/1601 – con l’ordine di trasferire i richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia in altri Stati membri in base al sistema delle quote. L’Ungheria, che in origine avrebbe dovuto beneficiare di tale delocalizzazione, ha rifiutato di cooperare.
La ricollocazione – che è diversa dal reinsediamento – era destinata ai richiedenti asilo già nell’Ue. Secondo il modo in cui è stato progettato lo schema, erano principalmente siriani, eritrei o somali gli eleggibili per la ricollocazione. La quota di persone assegnate a ogni Stato membro è stata calcolata utilizzando una formula (40% sul volume della popolazione, il 40% per il PIL, il 10% sul numero di richiedenti asilo già ospitati e il 10% sul livello di disoccupazione).
L’articolo 80 del Trattato di Lisbona stabilisce che la politica dell’Ue deve essere “governata dal principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità“. Tuttavia, il programma di ricollocazione di emergenza ha incontrato la resistenza del gruppo di Visegrad in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Ciò ha costretto la Commissione ad avviare procedure di infrazione contro Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. A marzo 2018, una relazione della Commissione ha osservato che, a due anni e mezzo dall’inizio dello schema, 34.000 persone sono state ricollocate. L’istituzione ha inoltre invitato tutti gli Stati membri a “prendere in considerazione il proseguimento di ricollocazioni su base volontaria, al di là degli schemi di quelle di emergenza” che sono ora conclusi.
Cosa succede ora
Nella sua relazione a maggio 2018 sullo stato di avanzamento dell’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione, la Commissione Europea ha osservato che, dopo un picco di oltre 1,2 milioni di domande all’anno nel 2015 e nel 2016, i 28 Stati membri dell’Ue hanno registrato meno di 0,7 milioni di domande nel 2017.
Ci sono ancora proposte sul tavolo su come riformare Dublino III. In una relazione del novembre 2017, il Parlamento europeo ha sostenuto una revisione radicale delle regole di Dublino, basata su criteri di assegnazione automatica dei richiedenti asilo. Questo sistema si baserebbe sul PIL di uno Stato membro, nonché su basi umanitarie (legami familiari, culturali o sociali), abilità linguistiche e competenze professionali.
Tuttavia, l’ambizione delle istituzioni dell’Ue di riformare le regole sembra molto diversa da quella di molti dei suoi membri. Nessun accordo su una via da seguire è stato raggiunto all’incontro del 4 e 5 giugno, in cui i ministri degli Interni dell’Ue hanno discusso una proposta di compromesso per aggiustare alcune delle eccezioni esistenti per la regola dei Paesi UE di primo ingresso.
Il ministro degli Interni bulgaro ha parlato di “una franca discussione sugli aspetti fondamentali della riforma dell’asilo“. Ma con Cipro, Grecia, Italia, Malta e Spagna, che criticano la natura limitata delle riforme proposte, e il gruppo di Visegrad che dichiara opposizione al ricollocazione obbligatoria, l’Ue rimane in una situazione di stallo per il futuro.
Il conflitto sull’Aquarius suggerisce che il meglio che ci si può aspettare dal vertice del Consiglio europeo del 28-29 giugno è un “agire alla meno peggio”. A luglio, il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, prenderà le redini della presidenza a rotazione del Consiglio dell’UE. Data la sua retorica, un “diritto di asilo” europeo – enunciato nell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – sembra stia svanendo.
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