Balcani, ondata di sessismo. La risposta delle donne
[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Lidija Pisker pubblicato su Open Democracy]
La giornalista scientifica e blogger bosniaca, Jelena Kalinić, è abituata alle divergenze quando commenta i post sui social media, ma lo scorso febbraio non si aspettava che lo scrittore bosniaco Goran Samardžić trasformasse una discussione su Facebook riguardo la gravidanza in un’intrusione sessista nella sua vita privata.
“Posso ‘mungerne’ un po’ in una tazza di caffè e congelarlo per te se vuoi rimanere incinta,” ha scritto Samardžić privatamente a Kalinić in seguito a uno scambio di commenti pubblici sulla sua pagina Facebook. I due erano semplici conoscenti. Kalinić è rimasta scioccata dal suo messaggio e ne ha condiviso uno screenshot su Twitter con il commento “questo è il fondo del fondo“.
Sui social media, le persone hanno iniziato a reagire e condividere lo screenshot. Alcuni utenti hanno anche criticato la sua decisione di condividere il messaggio privato di Samardžić, ma la giornalista ha spiegato che intendeva esporre pubblicamente l’insulto perché voleva che la gente sapesse.
Le regole patriarcali tradizionali, gli stereotipi e l’indifferenza verso le richieste di uguaglianza di genere sono pervasivi in Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Croazia e in altri paesi dell’ex Jugoslavia. Online, le donne sono i bersagli principali di pregiudizi e molestie, ma ora, un numero sempre più crescente di esse in tutta la regione sta utilizzando Internet proprio per combattere il sessismo.
La giornalista e attivista bosniaca Masha Durkalić è stata tra i primi utenti sui social a rispondere al cosiddetto caso della “tazza di caffè”. In un lungo post su Facebook, ha condannato la tacita approvazione delle molestie sessiste online, scrivendo: “Il sistema di supporto ai sessisti che esiste nella nostra società è spaventoso“.
Cosa ha spinto Durkalić a partecipare a questo dibattito online? “Viene dalla mia personale frustrazione verso il silenzio e la [costante] indifferenza nei confronti di così tanti palesi problemi nella società bosniaca“.
Il post di Durkalić ha toccato un nervo pubblico. Dozzine di utenti Facebook bosniaci hanno condiviso il post, mentre diversi siti web per i diritti umani come Diskriminacija.ba, che si concentra su questioni di discriminazione, e Mreža za izgradnju mira, il portale online di una rete per la pace, lo hanno ripubblicato come articolo.
Nel frattempo, almeno due scrittori, Lejla Kalamujić e Dragan Bursać, hanno cancellato i contratti con la casa editrice Buybook di Samardžić spiegando in un post sui loro profili Facebook che “lavorano contro i sessisti, non per loro“.
Il 6 marzo, lo stesso Samardžić ha scritto su Facebook: “Mi scuso con Jelena Kalinic e il pubblico in generale per il sessismo. Consapevole del tipo di danno che ho fatto, mi ritiro da tutte le posizioni che ricopro nella casa editrice Buybook. Oltre ad essere l’autore del contenuto inaccettabile del messaggio e dei commenti, sono un marito e padre di due figlie, e spero che l’inizio del movimento “MeToo” in Bosnia ed Erzegovina, di cui io sono stato uno sfortunato istigatore, contribuirà alla ‘depatriarcalizzazione’ della nostra società e aprirà una discussione sui problemi che la maggior parte delle donne affronta“.
Durkalić considera l’istruzione vitale per aprire la strada al rispetto verso le donne. Per questo motivo, lei e le sue amiche Amila Hrustić e Hatidža Gušić hanno creato zeneBiH (Donne della BiH) – una campagna online che si è svolta a marzo in occasione del mese delle donne nella Storia, mirata a far conoscere al pubblico online donne bosniache di rilievo, come scienziate, scrittrici e cineaste. Tra i loro progetti c’è un libro riguardante più di 50 donne bosniache che include le loro biografie e illustrazioni di artiste e designer. Entro la fine dell’anno intendono avviare una campagna di crowdfunding per questo progetto.
In Croazia anche Nataša Vajagić, coordinatrice presso il Centar za građanske inicijative (Centro per le iniziative civiche), adotta un approccio educativo per affrontare il sessismo. L’anno scorso, insieme ad altri volontari del sito web Libela ha creato una pagina Facebook, Seksizam naš svagdašnji (Il nostro sessismo quotidiano), che ora è un progetto del centro.
Seksizam naš svagdašnji identifica e denuncia le fonti di informazione online croate spiegando perché sono sessiste. Il progetto è nato da una ricerca effettuata lo scorso anno da Libela, che ha rilevato come solo il 18% dei titoli di notizie pubblicate dai più popolari portali di notizie online in Croazia parlava di donne, mentre il 4,5% dei titoli includeva osservazioni esplicitamente sessiste. Questa ricerca ha dimostrato che la copertura mediatica delle donne è concentrata soprattutto nelle sezioni di spettacolo e moda, e che l’apparenza fisica e i ruoli stereotipati di genere come madri, casalinghe, modelle o attrici sono eccessivamente enfatizzati.
In alcuni casi, i media online hanno persino usato discorsi di incitamento all’odio, attaccando le donne sulla base del loro genere, con articoli che hanno ridotto al minimo le segnalazioni di violenza contro le donne. L’anno scorso, quando una modella croata ha sporto denuncia contro tre uomini che avevano condiviso online video espliciti di rapporti sessuali con lei, alcuni portali si sono concentrati sul suo comportamento, descrivendola come ubriaca, piuttosto che sul presunto crimine di aver registrato e distribuito questi video senza il suo consenso.
“È diventato chiaro per noi che le persone spesso non notano il sessismo perché è così profondamente radicato che nemmeno lo riconoscono“, ha detto Vajagić. “Sono abituate e non lo percepiscono come qualcosa che contribuisce alla disuguaglianza [tra] donne e uomini“. Alcuni utenti di social media hanno criticato il progetto su Facebook in quanto “vede il sessismo in tutto“. Vajagić ribatte che lo scopo preciso della pagina è proprio quello di rendere le persone consapevoli del fatto che il sessismo è davvero onnipresente.
Una rubrica pubblicata su Libela, intitolata Stup srama (Il pilastro della vergogna), mette in luce le dichiarazioni sessiste dei politici croati. Uno dei casi più eclatanti è quello di un membro del parlamento, Ivan Pernar, che lo scorso anno ha dichiarato ai media che “la causa della violenza domestica è una donna che sceglie di vivere con un uomo che è prepotente con lei“.
Tale pregiudizio, diffuso nei Balcani, è ciò che ha spinto anche Hana Ćurak, bosniaca laureata in Scienze politiche, a sfruttare i social media nella sua battaglia contro il sessismo. La sua pagina Facebook femminista, Sve su to vještice (Tutte loro sono Streghe), critica il sessismo attraverso meme satirici e conta più di 40.000 seguaci. Ćurak prende in giro i discorsi sessisti nei Balcani, ad esempio, uno dei suoi meme dice “Non far preoccupare tua madre“, un’allusione al tono condiscendente spesso usato per screditare il comportamento o le prospettive delle donne nella regione. Immagina anche brevi conversazioni satiriche tra donne famose come Simone de Beauvoir e Virginia Woolf, facendo il verso ai modelli sessisti di comunicazione attraverso una specifica scelta di parole e l’uso del gergo.
Anche altri account gestiti da donne, come Krajnje Neuračunljive e @dodjoskaa, prendono in giro gli stereotipi di genere. “No, non è la PMS [sindrome premestruale], sei tu che mi infastidisci“, è uno dei meme popolari dell’account.
Ćurak è felice di osservare una crescente consapevolezza delle prospettive delle donne. È anche positivo, aggiunge, “che ci siano nuove voci che usano Internet per articolare” questi aspetti.
In Serbia, l’organizzazione femminista Autonomni ženski centar (Centro autonomo per le donne) lo scorso anno ha utilizzato Internet per lanciare una campagna di sensibilizzazione sulla violenza nei rapporti tra giovani. “Abbiamo capito che dobbiamo essere presenti nella sfera online se vogliamo raggiungere i giovani“, ha detto la coordinatrice del progetto Sanja Pavlović.
Ecco perché la campagna del gruppo, Mogu da neću – Ljubav nije nasilje (che si traduce approssimativamente come “Posso rifiutare – l’amore non è violenza“) utilizza un’applicazione online chiamata Aj ‘Odchataj (Chat Off) dove i giovani serbi possono condividere le loro esperienze di comportamenti violenti nelle loro relazioni. Più di 240 giovani – per lo più donne – hanno contribuito anonimamente con i propri esempi di discussioni abusive nella galleria online del progetto.
“L’applicazione è una preziosa fonte di conversazioni autentiche tra i giovani in cui le forme più comuni di violenza – controllo, manipolazione, isolamento e gelosia vengono chiaramente delineate“, ha spiegato Pavlović. L’applicazione trasforma i dialoghi della vita reale in chat per smartphone, e ogni conversazione termina con lo slogan della campagna “Posso rifiutare”. Secondo Pavlović, questo progetto può aiutare le donne a riconoscere i modelli di comportamento violento e come combatterli.
Questa lotta è esattamente ciò che sta facendo questa nuova generazione di donne nei Balcani. “Posso rifiutare” potrebbe essere lo slogan condiviso da tutte loro.