Siria, esodi forzati e una legge per confiscare le proprietà

La situazione in Siria peggiora. Le novità dgli ultimi giorni infatti, hanno reso lo scenario ancora più incerto e, se possibile, più drammatico. L’attacco degli Stati Uniti di Trump, con Francia e Gran Bretagna in supporto, in risposta all’uso di armi chimiche sui civili a Douma – con presunta responsabilità di Assad – ha riportato in primo piano una guerra sempre più lunga e complessa.

Le pedine sullo scacchiere siriano si moltiplicano. Regime di Assad e Russia da una parte, Stati Uniti di Trump, Francia e Gran Bretagna dall’altra, con attori altrettanto cruciali come gruppi ribelli, Turchia, Israele, Hezbollah, Iran che si fanno spazio con i loro giochi di potere in questa regione.

Gli esiti della mossa a sorpresa di Trump e dei suoi alleati non sono ancora certi e le opzioni sembrano tutte aperte. L’unica certezza è l’escalation della tensione. L’ONU resta bloccato dal suo meccanismo di veti, la Francia chiede una presenza in Siria più lunga, gli Stati Uniti restano in allerta. Mentre vengono smentiti nuovi attacchi missilistici e gli ispettori OPAC sono pronti ad analizzare le prove dell’attacco chimico, i veri protagonisti negletti dello scenario siriano restano i civili.

Dal 2011 al 2017, la popolazione sfollata all’interno della Siria è arrivata a 6,5 milioni di persone. Il numero dei rifugiati nei Paesi dell’area – Libano, Iraq, Giordania, Turchia – ha raggiunto la cifra di 5,5 milioni. Oltre 400.000 civili hanno subito un assedio nelle loro case e città e il numero di persone che vivono in zone colpite dagli attacchi o a rischio esplosioni è 8,2 milioni.

Circa il 33% delle abitazioni all’interno della Siria sono state distrutte completamente. Tante, quindi, sono le famiglie che non hanno più un posto dove vivere. 400.000 persone hanno ospitato nelle proprie case gli sfollati tornati al loro Paese senza più una dimora.

Nelle ultime settimane, la situazione si è aggravata soprattutto a Ghouta est – con Douma città simbolo di questo territorio poco lontano da Damasco – con assedi massicci da parte delle forze governative di Assad nel piano di riconquista della zona. A seguito di un accordo tra gruppi di opposizione e la Russia, circa 20.000 persone sono state coinvolte in un piano di evacuazione, con destinazione Idlib, nella parte settentrionale della Siria.

Partenze con bus dei civili sfollati da Ghouta Est. Foto da video Al Jazeera
Partenze con bus dei civili sfollati da Ghouta Est. Foto da video Al Jazeera

Costrette a fuggire dalle proprie case con un misero bagaglio, intere famiglie non hanno avuto scelta. Hanno lasciato le abitazioni – senza sapere se mai le ritroveranno – e sono state costrette a salire su bus verso nuove città, con la speranza di sopravvivere. Un destino comune a tanti altri Siriani, come gli abitanti di Afrin, obbligati a fuggire a seguito di violenti attacchi armati.

Bambini nella città assediata di Douma - Foto Flickr Creative Commons - Jordi Bernabeu Farrus
Bambini nella città assediata di Douma – Foto Flickr Creative Commons – Jordi Bernabeu Farrus

Gli esodi di massa, a seguito di feroci combattimenti, hanno segnato la guerra in Siria sin dai suoi esordi. Condannati come crimini contro l’umanità da Amnesty International, gli sfollamenti di civili si sono verificati, spesso, in conseguenza di accordi tra Governo e gruppi di ribelli. Waraya, a est di Aleppo, al-Waer nella città di Homs, le città di Kefraya e Foua sono alcune delle zone coinvolte in questi patti di “riconciliazione”. Essi, in realtà, si traducono in atti brutali e di ingiustizia, poiché obbligano gli abitanti a lasciare le loro case dopo continui e massicci bombardamenti.

Se, come confessa una giovane architetta di Homs, Marwa al-Sabouni: “To destroy one’s home should be taken as an equal crime to destroying one’s soul”, in Siria molte persone ancora vive non hanno più un’anima.
La distruzione di città e, di conseguenza, di abitazioni private ha trasformato gran parte del territorio siriano in un deposito di scheletri in cemento. Damasco e i suoi sobborghi di Ghouta Est, Raqqa, Homs, Aleppo sono una testimonianza di cosa lascia la guerra quando distrugge.

Homs distrutta - Foto da Flickr Creative Commons - H.usa
Homs distrutta – Foto da Flickr Creative Commons – H.usa

Ricostruire e, soprattutto, tornare nelle proprie abitazioni per riprendere una vita normale sono le speranze di tutti i Siriani, specialmente dei milioni di sfollati. Speranze, che, purtroppo, le stesse leggi nazionali sembrano negare.

All’inizio di aprile, il regime di Assad ha approvato la legge n.10 del 2018. Secondo le nuove disposizioni, i Siriani sono chiamati a registrare le loro proprietà private presso il ministero dell’Amministrazione locale entro 30 giorni. Tutte le persone titolari di beni devono fornire la prova, tramite documenti, dei possedimenti, anche attraverso un parente. Se non verrà presentato alcun certificato di proprietà, i beni diventano dello Stato e le proprietà entrano nel piano di riorganizzazione urbana del Governo.

L’articolo 2, nello specifico, annuncia che un organismo di regolamentazione è appositamente previsto per la stesura di un elenco ufficiale di tutti i proprietari di immobili nelle zone sotto il controllo del regime.
Secondo le fonti governative, la legge offre un buon sistema per evitare soprusi nelle proprietà ora disabitate e incolte e per far ripartire la ricostruzione.

Diverse, però, sono le analisi e le voci che si alzano contro il decreto n.10. Innanzitutto, il problema è il gran numero di sfollati, costretti dalla guerra e, molto spesso, dai bombardamenti di Assad, a lasciare le case. Queste persone non hanno la possibilità di tornare, entro un mese, nelle loro città proprio perché la guerra è ancora in corso. Molti, inoltre, sono i civili evacuati perché oppositori del regime. Tornare nelle zone di origine, ora sotto il controllo di Assad, significherebbe andare incontro alla morte. L’esempio dello sfollamento di massa di Ghouta est – roccaforte dei ribelli – proprio a ridosso dell’approvazione delle legge è lampante.

Le parole di Diala Shehade, avvocata esperta di diritti umani, sono chiare: “Portare avanti la fase transitoria di ricostruzione e ripopolamento prima di affrontare la questione dei milioni di profughi siriani mette in evidenza le cattive intenzioni di Assad”.

Anche il consigliere legale Khalid Shehab al-Din afferma preoccupato che: “La legge prende di mira proprio le aree abitate da oppositori al regime, trovando un modo per vendicarsi di loro e ridistribuendo le proprietà in modo settario, come un bottino di guerra. Lo scopo sarebbe di fissare un vero cambiamento demografico, ufficializzandolo nei registri di proprietà.

La stessa previsione emerge nelle parole dell’attivista siriano per i diritti civili Shammas Michel, che sulla sua pagina Facebook ha commentato che il decreto “spalanca le porte al cambiamento demografico e legittima la confisca di proprietà di milioni di sfollati”.

Nizar Ayoub, fondatore di Al-MarsadArab Centre for Human Rights – è convinto della politica strategica demografica. “Se prendiamo la Ghouta orientale come esempio, le migliaia di famiglie che ora sono sfollate per essersi opposte ad Assad potrebbero essere sostituite da persone che lo hanno sostenuto.”

Un piano, questo, che in realtà viene affermato da alcune voci e testimonianze siriane. Il membro delle commissioni politiche e legali della coalizione siriana Yasser Farhan ha dichiarato che la nuova legge vuole legittimare i progetti demografici di Assad, anche a favore del regime iraniano. In alcune zone specifiche, soprattutto ad ovest di Damasco, al confine con il Libano, e tra la capitale e Homs, per esempio, comunità sciite si sono insediate, in sostituzione dei civili sunniti. Ci sarebbe, quindi, un progetto iraniano in Siria per creare zone di controllo strategico collegate con il Libano. In cambio dell’appoggio alle forze di Assad.

Il rischio, per i tanti civili sfollati, è di subire un’ennesima ingiustizia.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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