Donne, africane, femministe: un lungo percorso di riscatto
[Traduzione a cura di Alessandra Pani dall’articolo originale di Aisha Ali pubblicato su openDemocracy.]
Molti anni fa, poco prima che diventassi adolescente, mia madre e mia zia salvarono una parente di 11 anni che era stata costretta a sposarsi. Non ricordo tutti i dettagli di quanto accaduto, ma nella mia famiglia se ne è parlato molto.
La madre di quella ragazza era cugina di mia madre. I miei parenti parlarono a lungo di quello che avevano in mente i parenti paterni della giovane. Viveva con loro da quando i suoi genitori erano morti e lei era ancora una bambina.
Mia madre e mia zia decisero di intervenire. Viaggiarono da Nairobi a Lamu e di fatto la rapirono durante la notte. La portarono poi a casa di sua sorella maggiore, con cui ha vissuto fino all’età adulta.
Quando penso al mio femminismo e cerco di identificare quando sono diventata una femminista, ricordo questo episodio. Mi ricordo che guardavo mia madre, incantata dal suo coraggio. Era come una guerriera forte, che faceva sì che una ragazzina non venisse costretta a sposarsi. Mi ricordo di aver pensato di voler diventare così anche io.
Questo sentimento è rimasto con me ed è cresciuto quando, anni dopo, alle superiori, la nostra professoressa di inglese, Mrs Ondiek, scrisse una poesia intitolata “Uguaglianza, cambia lo slogan”. La mia classe la interpretò durante un festival teatrale per le scuole, a Nairobi.
Sia la poesia che la nostra rappresentazione furono così apprezzate che diventammo i campioni di teatro delle scuole superiori di Nairobi, classificandoci terzi a livello nazionale. Questa esperienza ci aveva spinti ad andare oltre gli slogan per l’uguaglianza tra uomo e donna, verso la legiferazione e il cambiamento del sistema, e ci fece notare che lo scopo non era ribaltare i ruoli di genere.
Il femminismo mi raggiunse lentamente, attraverso anni di esperienze che fecero nascere domande sulle condizioni del mondo che mi circondava e sul mio posto in esso. In qualità di giovane donna, leggere e discutere di questi problemi mi ha aiutata a mettere insieme il linguaggio necessario per capire e spiegare cosa sia il femminismo e cosa abbia significato per me.
Infine, con consapevolezza ho scelto di identificarmi come una femminista, e da quel momento ho affrontato un viaggio di riscoperta, di perdita e riapprendimento che ha radicato il mio femminismo nelle mie azioni e interazioni con gli altri, oltre che nei sistemi nei quali esisto e mi muovo.
Questa visione del femminismo non è rara, molte donne africane ci sono arrivate col tempo, attraverso momenti simili vissuti con le loro madri e nonne, insegnanti, vicine di casa e altre donne che hanno osservato mentre crescevano.
Molte di queste donne, nonostante seguissero le regole imposte dalla società al genere femminile, riuscivano ugualmente a trovare diversi modi per resistere e posare piccole pietre che sarebbero diventate i massi sui quali ora stiamo in piedi. A volte, anche i nonni aiutavano ad immaginare cosa potesse significare essere un essere umano completo e una donna africana nel nostro continente.
Sebbene non venga sempre identificato in questa maniera, il femminismo è parte di noi, così come l’essere africane. L’unica differenza è che essere africane era considerato qualcosa di innato, qualcuno che sei dal momento in cui sei nata.
La Storia africana è un complesso arazzo di eventi che per giorni, anni e secoli ci hanno connessi, per portarci all’Africa di oggi. Le differenze tra le genti del continente, le loro culture e le loro storie, rendono difficile indicare una cosa precisa e dire “sì, questo puntino nero è ciò che fa di te un Africano.”
Al tempo stesso, sarebbe ingiusto e ipocrita cercare di identificare una cosa sola, un solo momento per definire il Femminismo Africano. Questa rivoluzione è un movimento multi – generazionale stratificato. È anche l’insieme dei singoli momenti, parole e azioni che, anche da sole, sono complete, complicate e valide espressioni del movimento.
Noi siamo la raccolta di parole e azioni passate. Siamo anche ciò che noi stessi ci definiamo. Non possiamo comandare l’autenticità di un movimento che, per la sua stessa natura, è in continua evoluzione e in continuo cambiamento, in modo da accogliere il nuovo e buttare via quello che non serve più.
In numerosi dibattiti, articoli e conversazioni sui social media, ho sentito e letto l’idea (sbagliata) secondo la quale ‘il femminismo è non – africano’. Per poter sostenere che qualsiasi cosa si possa considerare ‘non – africana’, ritengo che uno debba provare, senza lasciare dubbi, che non esistano Africani che stanno facendo quella cosa specifica e che non ci siano Africani che la stanno facendo proprio ora.
È facile sostenere che nulla sia mai stato fatto dagli africani. Sappiamo che la Storia viene distorta e che è stata rimodellata per favorire gli interessi di chi la racconta. Le donne sanno bene quanto sia facile cancellare i ricordi della nostra esistenza, dei nostri contributi e della nostra partecipazione alla storia. Affidarsi a dei resoconti storici distorti è difficile.
Tuttavia, è impossibile sostenere che qualcosa non esista quando ci sono delle persone, esattamente qui e ora, che stanno facendo proprio quella cosa. È impossibile dire che il femminismo sia non – africano, visto che oggi le donne africane sono femministe. Il femminismo africano, in questo momento, non è a sé stante – è nato dal femminismo africano del passato.
È impossibile separarci dalle donne africane del passato: le madri che hanno salvato delle ragazze, le insegnanti che ci hanno insegnato l’uguaglianza, e molte altre. Fare ciò vorrebbe dire cancellarle e cancellare noi stesse.
Noi donne africane di oggi siamo portatrici di cultura a pieno titolo, e la cultura è dinamica. Se ogni Africano, sia chi è nato nel continente sia un figlio della diaspora, può ‘rivendicare’ l’Africa in qualche modo, allora le donne africane hanno il diritto di ridefinire e ricreare le culture africane.
Il nostro valore non si ferma ad una connessione con il passato. Esistiamo adesso, come quei singoli momenti del movimento che non richiedono spiegazioni o giustificazioni. Il femminismo africano esiste perché esistono le femministe africane. È impossibile separare l’uno dalle altre senza separare in modo violento le donne africane dall’Africa.
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