Siria, nessuno sta vincendo una guerra destinata a continuare

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Scott Lucas pubblicato su The Conversation]

Aleppo dopo un bombardamento. Foto Flickr dell’utente Freedom House. Licenza CC.
Aleppo dopo un bombardamento. Foto Flickr dell’utente Freedom House. Licenza CC

Mentre in Siria il conflitto sta per entrare nell’ottavo anno, molti commentatori, tra cui alcuni leader di governo, stanno tentando di trasmettere il messaggio che la guerra stia volgendo al termine. Alcuni sottolineano la sconfitta territoriale del cosiddetto Stato Islamico, altri invece hanno affermato che il regime di Bashar-al-Assad è sempre più vicino alla vittoria. Tuttavia entrambe questi punti di vista sono sbagliati.

L’attenzione mondiale si è allontanata dalle centinaia di migliaia di vittime e dai milioni di persone che subiscono bombardamenti, vengono sfollati oppure muoiono di fame sotto l’assedio. Mentre di fatto non esiste più un unico Stato siriano, ma una nazione frammentata e bloccata in una situazione di violenza in apparenza insolvibile.

Con la ritirata dello Stato Islamico, il controllo sulla Siria è diviso in tre fazioni: il governo di Damasco e i suoi sostenitori, l’opposizione/i ribelli e le forze armate curde. In questo articolo intendiamo esaminare la situazione e quello che potrebbe accadere nel 2018.

Il governo

Nell’estate del 2015 il regime di Assad sembrava destinato alla sconfitta ma, grazie all’intervento della Russia, dell’Iran, degli Hezbollah e di altre milizie straniere, adesso esercita il potere nominale in merito al controllo sulla maggior parte delle città siriane e della popolazione rimasta.

Le forze aeree russe hanno bloccato la presa di potere dei ribelli a Damasco, messo in sicurezza la rotta verso ovest che va dalla capitale al Mediterraneo e hanno aiutato a riconquistare la città più grande della Siria, Aleppo. Le forze a favore del governo di Assad adesso hanno riconquistato alcuni territori nella parte meridionale e nella parte centrale della nazione, la maggior parte dei sobborghi di Damasco e la roccaforte dell’opposizione nella città di Homs. Le truppe e le milizie russe, iraniane e degli hezbollah, supportate dal regime, hanno ripulito l’antica città di Palmira dalle forze dello Stato Islamico, le hanno allontanate da Aleppo e spinte verso il confine iracheno.

Tuttavia, il governo di Assad non ha il controllo di alcune aree della nazione. Ci sono ancora roccaforti dei ribelli nell’area che va dal confine con la Giordania al Ghouta orientale fino a quasi tutta la provincia di Idlib, nel nordest della nazione, mentre il territorio occupato dai Curdi nell’area settentrionale e orientale include la maggior parte dei giacimenti di petrolio e di gas siriani.

Nelle aree che sono sotto il controllo del governo di Assad, la presa del regime non è del tutto sicura, poiché le forze armate impoverite dipendono soprattutto dall’Iran e dalla Russia. Con la maggior parte della nazione danneggiata e ben il 75% del PIL perso, il governo di Assad necessita di miliardi per l’assistenza per la ricostruzione e, ancor più che essere isolato nel modo arabo e protetto dalla Russia durante il Consiglio delle Nazioni Unite, il regime non ha ancora ripristinato le relazioni diplomatiche con la maggior parte delle altre nazioni mondiali.

L’opposizione

La prospettiva che l’opposizione possa sostituire il regime di Assad, o che addirittura possa essere rappresentata in un governo nazionale, è ormai lontana. La Russia e l’Iran hanno represso tale ambizione, aiutate dagli Stati Uniti che hanno relegato ai margini la questione dai sostenitori dell’opposizione, compresa la Turchia che ha preferito cooperare con Mosca.

L’obiettivo dell’opposizione consiste nel mantenere le aree che sono ancora sotto il suo governo, comprese la provincia di Idlib e l’area settentrionale di Aleppo. I gruppi di ribelli nel Ghouta orientale resistono ancora ai bombardamenti e all’assedio del regime. In altre aree, il gruppo di ribelli del Fronte Meridionale è stato abbandonato dal centro operativo guidato dalle Nazioni Unite ma continua ad essere in possesso di alcune zone della provincia di Dara’a, compresa una parte della città stessa dove, nel marzo del 2011, è iniziata la rivolta.

Oltre alla minaccia di offensive e assedi da parte di Assad, l’opposizione sta affrontando anche l’ascesa del blocco islamico Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Tale blocco è stato creato nel gennaio del 2017 e comprende la fazione di Jabhat al-Nusra, coinvolta nel conflitto siriano dal 2012 e un tempo collegata con al-Qaida. Per tutto il 2017, il blocco HTS ha colto l’iniziativa militare da altre fazioni, in particolare Ahrar al-Sham, nella provincia di Idlib, e adesso sta cercando di gestire gli affari civili attraverso un governo di salvezza siriano, mettendo alla prova i consigli locali sotto il controllo del governo siriano ad interim dell’opposizione.

I Curdi

Combattenti curdi. Foto Flickr dell’utente KurdIshstruggle. Licenza CC.
Combattenti curdi. Foto Flickr dell’utente KurdIshstruggle. Licenza CC

Il conflitto ha dato l’opportunità di perseguire il potere ai gruppi curdi siriani, soprattutto al Partito Unionista Democratico del Kurdistan (PYD), in particolare nei cantoni di Kobani e Cezire nel Nord-Est della Siria lungo il confine con la Turchia e l’Iraq.

I curdi sono sempre risultati vittoriosi nei confronti dello Stato Islamico, dopo essere sopravvissuti all’attacco subito tra il 2014 e il 2015, segnato dalla difesa della città di Kobane. Nell’autunno del 2015, gli Stati Uniti hanno smesso di sostenere i ribelli a favore di un nuovo gruppo curdo, il Fronte Democratico siriano (SDF).

Adesso il Fronte Democratico, che comprende l’ex capitale dello Stato Islamico Raqqa, si estende dalla provincia di Aleppo, dove si affaccia sui fronti dei sostenitori di Assad e dei ribelli, attraverso le province di Raqqa e di Hasakah fino alla provincia di Deir ez-Zor, ad est, vicina alle unità dei sostenitori di Assad supportate dalla Russia.

E ora Ankara vuol mantenere la promessa di una campagna militare contro il cantone di Afrin nel nord-ovest e contro le aree che si trovano sotto il controllo dei Curdi, come la città di Manbij.

Bambino siriano gioca alla guerra ad Harasta. Foto Flickr dell’utente Jordl Berabeu Farrùs. Licenza CC.
Bambino siriano gioca alla guerra ad Harasta. Foto Flickr dell’utente Jordl Berabeu Farrùs. Licenza CC

E adesso?

Nonostante il processo politico guidato dalla Russia abbia dichiarato alcune zone come “aree di distensione”, coprendo il territorio dell’opposizione dal nord-ovest fino al sud, queste zone sono sottoposte ripetutamente ad attacchi e assedi da parte delle forze sostenitrici di Assad (e in alcuni casi dagli aerei militari russi).

Nel dicembre del 2017, uno di questi assalti ha sopraffatto una zona dell’opposizione vicino alle Alture del Golan, occupate da Israele. Continua il tentativo di sottomettere l’area di Ghouta orientale portandola alla fame e bombardandola, ed è in corso una campagna militare per la provincia di Idlib.

La Russia sta ancora calcolando la misura del proprio supporto a Bashar al-Assad, dato che l’intervento russo ha un costo elevato e sta indebolendo un’economia fragile e il capitale politico di Putin, oltre a costare la vita dei militari russi.

Ed è questo il motivo per cui Vladimir Putin ha parlato di ritiro alla fine del 2017, poco prima di confermare la permanenza della propria base navale a Tartus, nella Siria occidentale. Mosca preferirebbe ripartire l’onere dei miliardi necessari alla ricostruzione, ma è improbabile che la comunità internazionale desideri contribuire al sostegno di un regime sanguinario.

Nel frattempo Assad ha un asso nella manica: non esistono alternative. Il suo governo esige che tutti i territori in mano all’opposizione si arrendano oppure che siano riconquistati prima di iniziare qualsiasi trattativa politica.

Ma né l’opposizione né i curdi intendono arrendersi, e ci sono anche altre forze all’opera. La Turchia continua a sostenere le forze dei ribelli in alcune zone nord occidentali; Israele ha un atteggiamento cauto nei confronti dell’Iran e degli Hezbollah sul confine delle Alture del Golan. E anche se i curdi rinunciassero ai giacimenti di petrolio e di gas in loro possesso, anche se affrontassero l’intervento militare della Turchia, la loro ricerca di autonomia in una parte del Kurdistan siriano continuerà ad andare avanti.

Quindi sembra che la situazione nel 2018 non cambierà. Continueranno ad esserci bombe e granate, che colpiranno anche i civili. Assedi, carestie e morti causate da malattie curabili, a causa di una campagna di disinformazione diffamatoria sostenuta dalla Russia per fare credere che i medici e i soccorritori sono pupazzi nelle mani di al-Qaida e degli Stati Uniti. Incontri politici che producono solo luoghi comuni. Più la situazione cambia più sembra rimanere la stessa.

Benedetta Monti

Traduttrice freelance dal 2008 (dall'inglese e dal tedesco) soprattutto di testi legali, ama mettere a disposizione le sue competenze anche per fini umanitari e traduzioni volontarie.

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