I social e la dopamina che ci esalta. Riappropriarsi della mente

[Traduzione a cura di Marika Giacometti dall’articolo originale di Simon McCarthy-Jones pubblicato su The Conversation.]

Dipendenza dai social, immagine su licenza CC.

Come possiamo riuscire a vivere la vita che vogliamo noi, evitando le distrazioni e le manipolazioni delle altre persone? Per farlo dobbiamo capire come funzioniamo. “Conosci te stesso“, insistevano gli antichi.
Purtroppo, spesso non ci dimostriamo molto bravi nel farlo.

Mentre, al contrario, gli altri ci conoscono molto bene. Informazioni su di noi, sul nostro orientamento sessuale e su molto altro possono essere capiti dai nostri ‘mi piace’ su Facebook. Le macchine che utilizzano i dati provenienti dalle nostre tracce digitali conoscono la nostra personalità meglio dei nostri amici o dei nostri familiari. Presto l’intelligenza artificiale, utilizzando i dati provenienti dalle nostre piattaforme social, ci conoscerà ancora più profondamente. La sfida del ventunesimo secolo sarà come vivere quando gli altri ci conoscono meglio di noi stessi.

Ma, oggi, quanto siamo liberi? In presenza di aziende che investono nel catturare e vendere la nostra attenzione utilizzando l’esca migliore, ovvero le piattaforme social. Facebook, Instagram e Twitter ci hanno avvicinato tutti al falò della nostra umanità condivisa. Ma ciò accade a un prezzo, sia personale che politico. Gli utenti dovranno decidere se i vantaggi superano gli svantaggi.

Questa decisione deve essere presa liberamente. Ma come possiamo, se i social network sono capaci di creare dipendenza? La decisione deve anche essere consapevole, ma com’è possibile se non conosciamo cosa accade dietro le quinte?

Sean Parker, il primo presidente di Facebook, ha descritto recentemente il processo mentale che ha portato alla creazione di questo social network. Lo ha illustrato così:

Il punto è: come possiamo farti consumare più  tempo e attenzione cosciente possibile?

Per farlo, l’utente doveva avere:

Una scarica di dopamina di tanto in tanto, perché qualcuno cliccava ‘mi piace’ o commentava una foto o un post… e ciò lo spingeva a partecipare ancora di più.

Parker ha continuato:

È proprio il genere di cosa che poteva venire in mente a un hacker come me, perché si sfrutta una vulnerabilità nella psicologia umana… Gli inventori, i creatori, io e Mark [Zuckerberg]… lo capivamo  molto bene… E lo abbiamo fatto comunque.

I bisogni umani creano vulnerabilità umane

Quali sono queste vulnerabilità? Gli esseri umani hanno un bisogno primario di appartenenza e il desiderio di possedere uno status sociale. Quindi, il nostro cervello considera le informazioni su noi stessi come un premio. Quando il nostro comportamento viene ricompensato con il cibo o dei soldi, si attiva il nostro  “sistema di valutazione”. Questo sistema si attiva anche quando incontriamo delle informazioni riguardo noi stessi. Ovviamente diamo molta importanza a queste informazioni. Questo è il motivo per cui se qualcuno dice il nostro nome, anche in una stanza molto rumorosa, cattura immediatamente la nostra attenzione.

Le informazioni relative alla nostra reputazione o al nostro status sociale sono molto importanti e ne siamo molto sensibili. Già all’età di quindici mesi comprendiamo l’influenza sociale.

Le piattaforme social ci attirano perché coinvolgono le nostre informazioni personali e influenzano il nostro status sociale e la nostra reputazione. Più abbiamo bisogno di appartenenza e di essere popolari e più i centri di ricompensa del cervello rispondono in maniera potente al miglioramento della nostra reputazione, e la sirena di queste piattaforme social diventa irresistibile.

Le piattaforme social creano dipendenza?

Il gioco d’azzardo crea dipendenza, perché non sappiamo di quante puntate abbiamo bisogno per vincere. B.F. Skinner lo ha dimostrato nel 1950 con un esperimento in laboratorio fatto con dei piccioni. Se al piccione veniva dato cibo ogni volta che beccava su un bottone, lui lo faceva ripetutamente. Se invece il cibo gli veniva dato soltanto casualmente, non solo beccava di più, ma lo faceva anche in modo più frenetico  e ossessivo.

Si potrebbe affermare che l’esperimento dei piccioni di Skinner sia stato rifatto ad Harvard nel 2004 con due modifiche. Si chiamava Facebook e non usava i piccioni.

Quando controlliamo su Facebook non sappiamo se qualcuno ci ha lasciato delle informazioni personali o no. Le piattaforme social sono come delle slot machine che ricompensano con delle informazioni personali. Per questo motivo miliardi di persone tirano la leva. Ma come possono i social creare dipendenza?

Inizialmente Facebook si pubblicizzava come una “droga universitaria”. Oggi alcuni ricercatori dichiarano che la droga Facebookè diventata una realtà” . Comunque non è stata classificata come un disturbo psichiatrico e ci sono molte problematiche legate a quest’idea.

Su Facebook le persone compiono moltissime attività, dal gioco all’interazione. Inoltre il termine “dipendenza da Facebook” è riduttivo. Nonostante si tratti di una delle maggiori piattaforme social, sarebbe più opportuno parlare di “dipendenza da social network”.

Ma, il termine “dipendenza” resta un problema. La dipendenza viene solitamente definita come una condizione cronica che causa problemi nella nostra vita. Uno studio durato cinque anni ha evidenziato che alcuni comportamenti eccessivi come per esempio il troppo esercizio fisico, il troppo sesso, il troppo shopping o il troppo utilizzo dei videogiochi, che vengono definiti dipendenze, sono in realtà temporanei. Inoltre un uso eccessivo delle piattaforme social non causa problemi a tutti. Quindi etichettare come “dipendenza” un coinvolgimento esagerato in una qualche attività potrebbe causare una “sovra-patologizzazione” dei comportamenti quotidiani. Il contesto è fondamentale.

Ciò nonostante è stato sostenuto in maniera convincente che un utilizzo eccessivo delle piattaforme social provochi dei sintomi simili a quelli della dipendenza. Tra questi citiamo la preoccupazione nei confronti delle piattaforme stesse, il loro utilizzo per modificare il proprio umore, il bisogno di utilizzarle sempre di più per avere gli stessi effetti, e gli effetti di astinenza che conducono a ricominciare ad utilizzarle. Le stime più accreditate rivelano che circa il 5% degli utenti adolescenti mostrano sintomi importanti, simili a quelli della dipendenza.

Riprendere il controllo

Come possiamo beneficiare dell’utilizzo delle piattaforme social senza farci consumare? Le aziende potrebbero modificare i loro siti per ridurre il rischio di dipendenza. Potrebbero eliminare di default le caratteristiche che incoraggiano la dipendenza e facilitare l’utente ad autoregolarsi. Però c’è chi afferma che pretendere che le aziende informatiche “si impongano di essere meno capaci nel loro mestiere è una richiesta ridicola”. Quindi potrebbe essere necessaria una regolamentazione pubblica simile a quella utilizzata per le aziende di tabacco.

Gli utenti dovrebbero anche valutare la propria vulnerabilità a un uso problematico dei social per motivi personali. I fattori premonitori di un utilizzo eccessivo comprendono la tendenza a provare emozioni negative, l’incapacità di affrontare i problemi quotidiani, il bisogno di promuoversi, la solitudine e la paura di essere esclusi. Questi fattori ovviamente non valgono per tutti.

Per concludere, gli utenti devono riprendersi il proprio potere. Grazie ad applicazioni come Freedom, Moment e StayFocusd, è già possibile limitare l’utilizzo di queste piattaforme social. Ci sono moltissimi utenti di Facebook che si sono presi volontariamente una pausa dall’utilizzo del social, nonostante abbiano incontrato molte difficoltà.

Io sono il signore del mio destino, il capitano della mia anima”, recitavano i versi più famosi di Invictus. Purtroppo le generazioni future potrebbero trovarli incomprensibili.

Marika Giacometti

Laurea in “Scienze della Mediazione Linguistica”. Dopo due corsi di traduzione letteraria alla FUSP di Misano Adriatico, ha iniziato la carriera di traduttrice dal francese e dall’inglese in ambito economico, medico, ambientale, turistico, letterario.

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