Libertà, coraggio e diversità che diventa motivo per arricchire la propria cultura. Sono questi i temi che hanno colpito la giuria della IX edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani, arrivato alla sua conclusione l’11 novembre a Napoli.
La settimana di dibattiti, incontri e proiezioni sul tema dei diritti umani e civili nel cinema ha portato a Napoli più di 200 pellicole tra documentari, lungometraggi, corti e film d’animazione. I migliori sono stati premiati all’interno della cornice della Biblioteca dedicata ad Annalisa Durante, a Forcella, nel cuore del centro storico partenopeo.
Per la categoria “Human Rights Animation” ha trionfato il cortometraggio “Teddy Bear” del regista Hermes Mangiaraldo, il quale ha saputo descrivere con sensibilità e coraggio i viaggi dei migranti dai campi d’accoglienza fino alle scene più difficili sui barconi in mare. Un viaggio in cui una bambina si aggrappa al suo orsacchiotto per potersi salvare dalle guerre in patria ma anche dalle difficoltà dell’essere stranieri in una nuova nazione. Menzione speciale alla regista argentina Irene Blei con “A letter from Leticia”.
Per quanto riguarda la sezione “Human Rights Shorts” per i migliori cortometraggi è stato scelto “Barber Shop” del regista Luc Vrydaghs il quale in collegamento con il Festival ha raccontato che il film è stato tratto da una serie ambientata in sei differenti negozi di parrucchieri, tra cui Rio de Janeiro e New Delhi. Il regista attraverso le voci dei protagonisti ha descritto temi attualissimi come la Brexit e l’importanza di far valere i propri diritti all’interno della società da parte delle donne.
Per “Human Rights Doc” dedicata ai documentari e lungometraggi, la giuria ha premiato con una menzione speciale “Complicit”, una riflessione sul diritto alla salute degli operai cinesi impegnati alla lavorazione dei materiali che compongono i cellulari moderni. La regista Heather White in collegamento Skype, ha raccontato quanto è stato difficile diffondere questo film in luoghi come Taiwan, dove i lavoratori non hanno diritti e nemmeno la possibilità di protestare.
Il primo premio invece è andato a “Coffee for all Nations” della regista palestinese Wafa Jamil ed è stato tra i momenti più emozionanti del Festival poiché tratto da una storia vera. La regista palestinese in collegamento dalla Svezia, nel momento in cui è stata premiata ha raccontato commossa le sue difficoltà nel girare un film a Betlemme: più di 7 anni di lavorazione e ogni volta che si accingeva a finirlo, succedevano altre cose che dovevano essere raccontate.
Il caffé del titolo è una caverna nei pressi del confine israelo-palestinese dove il protagonista del film riesce a relizzare un piccolo coffee shop per tutte le popolazioni e non solo per i palestinesi. Un luogo di incontro tra diverse culture e un posto in cui smettere di essere nemici. La regista originaria di Ramallah, ha spiegato al pubblico in sala l’affetto e il legame speciale che si è creato con il protagonista, il quale ha dovuto proteggere per anni questo luogo dall’esercito israeliano che tentava di chiuderlo ogni volta.
Gli ultimi premi sono stati quelli della giuria popolare del Festival, la quale ha decretato la vittoria de “El color de camaleon” del giovane regista cileno Andrès Lubbert: un film ispirato al trauma di chi ha vissuto gli anni della dittatura di Pinochet. Un documentario che ha colpito non solo per il tema ma anche per il modo di rappresentarlo, partendo proprio dall’esperienza personale del padre del regista, il quale attraverso i ricordi e i luoghi della dittatura passa in rassegna uno dei periodi più bui della storia dell’America meridionale. Il film è un monito per tutte le generazioni: “Vivere in un Paese civile dove la libertà non è condizionata da una sola persona non è una cosa scontata. Bisogna ricordare a noi stessi e ai nostri figli che verranno quanto ciò sia importante ” ha affermato il regista della pellicola in concorso.
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