Lasciare tracce sul web, ricercarle, replicarle, affidarle a un pubblico fantasma, di cui non si conosce mai l’esatta fisionomia.
Inseguire apprezzamenti volatili. Rafforzare la propria autostima attraverso continui cambiamenti di stato. Condividere in maniera compulsiva tutto il proprio mondo, continuamente aperto all’essere editato. E informarsi, anche. O, forse, soprattutto.
L’universo dei social network – 3 miliardi di utenti attivi su 7,5 miliardi della popolazione mondiale – è diventato, negli ultimi tempi, uno dei territori di indagine più interessanti per capire la società globale e i suoi mutamenti.
Quel che è certo è che il bisogno di istantaneità è diventato l’idem sentire del nuovo millennio. Tanto che social come Snapchat, Telegram o Instagram permettono all’utente narrazioni che si autodistruggono dopo 24h, puntando ad alimentare una seduzione che è tale proprio perché legata all’impermanenza.
Così come si disperdono nell’iperspazio del web foto, video e, in generale, microtracce dei nostri tanti Sé, anche le notizie corrono sui social più velocemente che sui canali mainstream.
E il loro pubblico aumenta, anche fra i più adulti.
L’ultimo rapporto a cura del Pew Research Center basato su un campione di cinquemila persone degli Stati Uniti non lascia dubbi: il 67% della popolazione legge le notizie dai social network.
E rispetto all’anno precedente, chi si informa attraverso i social risulta cresciuto del 5%.
In più, il 55% degli americani che legge notizie sui social ha più di 50 anni.
In testa alla classifica delle fonti social spicca Facebook (45%), poi YouTube (18%), Twitter (11%), Instagram (7%) e Snapchat (5%).
L’analisi ha riguardato anche gli utenti di ciascuna piattaforma utilizzata come canale informativo: nel caso di Twitter in un anno si è registrata una crescita degli utenti passati dal 59% al 74%; quelli di YouTube sono passati dal 21% al 32%; quelli di Snapchat dal 17% al 29%.
Nel caso di Facebook, i lettori di news costituiscono il 68% dei propri utenti (percentuale alta, se si considera che il 66% degli adulti statunitensi risulta iscritto al social di Zuckerberg).
Mentre nel decretare il successo di You Tube come canale informativo ha contato senza dubbio l’aggiunta della sezione Breaking News in homepage e l’avvio del canale YouTube Tv.
E proprio YouTube ha dimostrato negli ultimi tempi di avere tutte le potenzialità per diventare sempre più social. La dichiarazione del blog ufficiale lo ricorda: “Quando YouTube fu lanciato (nel 2005) era un unico sito web capace di supportare solo video con risoluzione 320 x 240 in formato 4:3. Le cose sono cambiate rapidamente e oggi YouTube permette di guardare qualsiasi combinazione di video in SD, HD, 4K, 3D, a 360 gradi e dal vivo su quasi tutti i dispositivi dotati di connessione a Internet: computer, telefoni, tablet, TV, consolle per videogiochi e persino visori per la realtà virtuale”.
Ogni piattaforma ha comunque la sua carta vincente nel complesso mondo del web, ma è rilevante che una buona quota di americani – il 26% – cerchi le notizie su più di una piattaforma social.
Le caratteristiche dei social – va da sé – incideranno sempre più nel confezionamento delle notizie, a partire dal contenuto prevalentemente visual che li contraddistingue.
E il cui peso nei prossimi anni è destinato a essere ancor più preponderante: Mark Zuckerberg ha già dichiarato che entro il 2021 intende fare di FB una piattaforma popolata per lo più da video.
Direzione, questa, prontamente seguita da Twitter, che ha puntato l’attenzione sull’integrazione delle piattaforme di live streaming (Periscope), consentendo la pubblicazione di video native.
L’altra questione che terrà banco nel prossimo futuro è naturalmente quella relativa alla diffusione della fake news.
Zuckerberg lo sa bene, tanto da puntare ad avere sulla sua piattaforma informazioni credibili e di qualità: entro la fine dell’anno si prevedono news a pagamento, insieme a dieci partner editoriali mondiali.
Nel frattempo si procede alla mappatura delle pagine che offrono link non idonei mediante la guida “Tips for Spotting Fake”. E non stupisce che comincino a spuntare corsi per insegnare agli studenti a identificare le fonti che sono attendibili da quelle che non lo sono: al Newseum di Washington, per esempio, hanno aperto i battenti i corsi “Fighting Fake News” [combattere le notizie false NdR].
Sia come sia, l’uso trasversale dei social dimostra senza dubbio quanto questi siano oramai presenti in maniera pervasiva nella vita degli americani.
Un dato forse allarmante ma certo significativo è quello – segnalato da The Atlantic – secondo cui il 90% dei bimbi di due anni, negli Stati Uniti, avrebbe già una presenza on line.
Non solo. È anche in crescita l’accesso compulsivo al mezzo.
Il New York Times scrive che i social stanno diventando una forza dirompente in tutto il mondo. E con loro, purtroppo, sono in crescita anche i disturbi narcisistici.
Che, com’è ovvio, colpiscono soprattutto adolescenti e giovanissimi. La spinta alla continua autopromozione stimolata dai social accresce lo spirito emulativo e insieme competitivo di chi ha meno di 30 anni, chiamato ad un confronto costante quanto più stressante con il gruppo dei pari.
Si cominciano a stilare persino vere e proprie classifiche dei social più dannosi alla salute.
Proprio negli Stati Uniti è stato coniata la definizione “selfie-syndrome”, per designare la patologia del nuovo millennio caratterizzata da un’ansia legata alla propria immagine digitale, che necessita di continua manutenzione.
La propria immagine va infatti ritoccata, rafforzata, e, naturalmente, condivisa quanto più possibile.
Una “compulsione autobiografica” che risponde al bisogno – particolarmente delicato in giovanissima età – di rafforzare la propria autostima.
Ma che finisce per rivelarsi spesso un boomerang a causa di una eccessiva esposizione che fa perdere di vista il senso del limite. Proprio e altrui.
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