Sono ormai all’ordine del giorno gli episodi di violenza domestica caratterizzati da ripetuti abusi fisici e sessuali che culminano, nei casi più estremi, con un omicidio. C’è però un tipo di abuso che fa meno notizia, ed è più subdolo delle percosse: quello psicologico. Questo, infatti, non lascia lividi, ma profonde ferite nella psiche di chi lo subisce. L’insidia maggiore è che la vittima stessa, come spesso accade, non riconosca – inconsapevolmente o meno – le vessazioni del partner. A livello legale non mancano, in teoria, gli strumenti per difendersi, ma alcune lacune normative e le molteplici sfaccettature di questa tipologia di sopruso possono ostacolare un intervento efficace.
La violenza psicologica all’interno di una relazione intima è un fenomeno complesso, caratterizzato perlopiù da dinamiche denigratorie e mortificanti nei confronti della persona che subisce. Chi la esercita assume comportamenti abusivi che si protraggono nel tempo, come le umiliazioni, la gelosia ossessiva e immotivata, e il conseguente allontanamento della vittima da familiari e amici. Le critiche continue e il sarcasmo sono solo alcuni degli strumenti usati per distruggere l’autostima del partner – condizione che garantisce una totale dipendenza nei confronti dell’aggressore, spiega a Voci Globali Enrico Maria Secci, psicologo e psicoterapeuta.
Una trappola pericolosa in cui è facile cadere e da cui è difficile liberarsi. Complice anche la diffusa stigmatizzazione della vittima. I media, il pubblico, i giuristi e, talvolta, gli stessi psichiatri e psicologi, tendono infatti a dipingere l’abusato come un elemento debole e ad accusarlo (più o meno tacitamente) di subire le angherie del partner senza ribellarsi. Il punto è che, in moltissimi casi, la vittima stessa non si rende conto del circolo vizioso in cui è precipitata.
Infatti, il “lavaggio del cervello” genera profondi sensi di colpa che inducono il soggetto a convincersi di non essere adatto all’altra persona e quindi di meritare il male che gli viene inflitto. I traumi che scaturiscono sono equiparabili a quelli causati da violenze fisiche e sessuali: ad esempio, il disturbo post traumatico da stress (DPTS) e i suoi derivati (insonnia, depressione, panico), che nei casi più gravi conducono al suicidio. È stato dimostrato che anche a livello celebrale avvengono delle alterazioni: “questi traumi producono una riduzione significativa dei volumi dell’ippocampo, un struttura sub-corticale che presiede la regolazione emotiva”, spiega Secci. Ciò determina una diminuzione delle capacità empatiche e l’impossibilità di connettersi con gli altri.
È problematico parlare di statistiche in questo contesto, vista la natura eclettica della violenza psicologica e considerato che in molti casi questa resta nell’ombra, rendendo difficile un censimento. Gli ultimi dati utili relativi all’Italia risalgono al 2014: secondo un’indagine Istat il 26,4% delle donne italiane ha subito violenza psicologica da parte del compagno. È bene precisare che anche gli uomini possono essere soggetti ad abusi psicologici, che si riscontrano indifferentemente dal sesso.
Una declinazione della violenza psicologica da non sottovalutare è la manipolazione mentale nella coppia, meccanismo che si basa sul ricorso a comportamenti vessatori e fraudolenti. In questo caso, spesso il partner dominante ricalca il profilo del narcisista patologico, un disturbo della personalità riconosciuto, che modifica l’altro con strategie sofisticate e secondo il proprio ideale d’amore: “[Egli] capisce esattamente cosa vuoi e indossa la maschera che vuole la vittima”, ci chiarisce Rosa Petruccelli, avvocato cassazionista ed esperta di manipolazione relazionale. “Il manipolatore, approfittando di quel bisogno di affetto e di fiducia che ha creato nella vittima artificialmente, la induce a farla innamorare, dandole quello vuole, e deponendola in una condizione di inferiorità atta a svalutarla”. E una volta instauratesi queste dinamiche, una volta che cade la maschera, tornare indietro è praticamente impossibile.
La storia di Anna
È proprio quello che è successo ad Anna*, una giovane studentessa con la passione per la musica e per la fotografia, che, inghiottita dal vortice di una relazione abusiva, aveva perso tutti i suoi interessi. Paolo*, il ragazzo che per oltre un anno le ha impedito di vivere una vita normale, l’aveva gradualmente allontanata dai suoi amici, facendo continue scenate di gelosia e sfoderando la sua arma migliore, il vittimismo. “Mi accusava sempre e metteva in dubbio il mio amore per lui. Insinuava che io spendessi troppi soldi… Tutto ciò che io facevo lo toglievo a quello che, secondo lui, dovevo investire nella relazione”.
Entrata nel circolo della dipendenza affettiva, una conseguenza molto frequente della manipolazione mentale, Anna aveva iniziato a dargli retta. Pian piano aveva preso le distanze dagli amici più cari e aveva diradato i frequenti viaggi all’estero, di cui prima non poteva fare a meno. “Cose di cui ora mi vergogno… Ma questa relazione era diventata veramente una droga” ricorda la ragazza. I litigi – furiosi – erano continui e seguivano uno schema preciso: duravano qualche giorno, dopodiché lui si presentava a casa di Anna con una sorpresa, che fosse un libro o una scatola di cioccolatini. “Questi episodi positivi mi ricaricavano, prima dell’inevitabile crollo successivo. Ed era tutto talmente sistematico che sembrava fosse stato architettato al millimetro, in modo che io continuassi a vivere quella dipendenza”.
La confusione mentale generata da tali dinamiche impedisce a chi viene raggirato di capire quello che gli sta realmente succedendo, e quindi di agire in maniera razionale. In questo frangente, è importante sfatare il mito della predisposizione, ossia la teoria che la vittima soffra necessariamente di patologie pregresse che la portano a farsi sottomettere. “Ho visto uomini e donne che prima non sapevano cosa fosse il dolore, essere completamente rovinati da queste relazioni, e in tempi velocissimi”, è l’esperienza di Secci con i suoi pazienti. In realtà, sono proprio i comportamenti tipici dell’abuso psicologico – come i discorsi ambivalenti, la svalutazione, ecc. – e la loro cronicizzazione, che permettono a questi meccanismi di radicarsi profondamente nella psiche di chi li subisce. Puntualizza infatti l’avvocato Petruccelli: “se tu vai a colpire una persona nelle sue relazioni affettive, stai colpendo l’essere umano nella sua essenza principale e nella sua identità”.
Come Anna, svuotata della sua essenza, che pur non rendendosi conto di quel che le stava succedendo, ben percepiva il suo profondo malessere. Non riusciva a sentirsi felice, le mancava la spensieratezza dei mesi precedenti durante il suo Erasmus in Grecia*, le mancava la passione per le cose che faceva prima di stare con Paolo. “Mi ricordo un momento in cui ero seduta di fronte a casa e mi dicevo ‘Pensa a qualcosa che ti può far stare bene, pensa a qualcosa che sia solo per te stessa’. E non mi veniva in mente nulla. Qualsiasi cosa non sarebbe mai stata alla sua altezza. Ormai tutta la mia vita ruotava intorno a lui”. Anna ancora non sapeva, però, che l’unico modo per uscire dal baratro era chiudere la relazione, perché “pensi sempre che il problema sei tu”.
Gli strumenti legislativi
Ma come si può far fronte a queste situazioni dal punto di vista legale? La questione è complicata. In Italia si interviene sotto il profilo civilistico. Laddove non subentri alcuna violenza fisica o economica, ma soltanto psicologica, è necessario farla virare verso atti persecutori come il maltrattamento che, protraendosi nel tempo, diventa un reato perseguibile d’ufficio (cioè, anche se la vittima non presenta nessuna querela). Questo consente alla rete di persone esterne alla vittima di intervenire. “Non c’è però una norma precisa”, ci spiega Paola Lattes, vicepresidente dell’associazione di accoglienza e di orientamento Telefono Rosa. “È il magistrato che deve valutare di volta in volta se quella è una violenza grave o meno. Ci vogliono dei testi, ci vogliono delle prove, perché purtroppo la violenza psicologica è molto sottile e spesso difficile da provare”.
Nello stesso modo viene affrontata la manipolazione mentale. Tuttavia, questa presenta caratteristiche precise che la rendono identificabile, e quindi denunciabile. In questi casi ci si trova infatti davanti a un aggressore la cui personalità ha criteri ben definiti: il narcisismo patologico, descritto nel manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5). Inoltre, una persona che subisce una manipolazione relazionale efficace mostra dei segni riconoscibili, primo fra tutti il repentino cambio di personalità: da vitale e appassionata diventa improvvisamente dipendente e paurosa, spiega Petruccelli.
La soluzione proposta dall’avvocato è l’introduzione del reato di gaslighting nell’ambito delle relazioni e della famiglia. Il gaslighting è un maltrattamento psicologico in grado di alterare la percezione della realtà della vittima, la quale, attraverso strategie manipolatorie, si sente confusa e dipendente, e arriva a dubitare della propria sanità mentale. “Nel momento in cui si lede l’integrità psichica, si rischia di menomare anche l’identità personale e tutte le libertà costituzionalmente garantite”, è la denuncia di Petruccelli. In Gran Bretagna, per esempio, è stato riconosciuto come reato il comportamento coercitivo e controllante nelle relazioni di coppia e all’interno del nucleo familiare.
Al di là della complessità del problema, secondo Secci la responsabilità di tali vuoti normativi va ricondotta sia alle istituzioni che alla categoria di psichiatri e psicoterapeuti in Italia: “Si minimizza moltissimo quello che è il trauma relazionale. L’abbandono produce dei traumi immensi e silenziosi, che non siamo sufficientemente preparati ad affrontare”.
Prevenire la violenza per combatterla
È molto importante che vi sia una tempestività di intervento qualora abbia luogo una qualsiasi forma di violenza psicologica. Si può contattare il numero di pubblica utilità 1522, attivo 24h su 24, che gestisce e accoglie le richieste di aiuto delle vittime di violenza. Tuttavia, lo strumento più efficace, perlomeno per la tutela delle prossime generazioni, sembra essere la sensibilizzazione sul tema. La giustizia, infatti, soccombe sotto il numero ingente di casi di violenza e le strutture di rifugio e recupero non possono accogliere tutte le richieste.
È infatti nelle persone, soprattutto nelle donne, che deve cambiare la percezione del proprio valore, è l’opinione di Paola Lattes. “Ci deve essere un’attività di insegnamento al rispetto di se stesse. Nelle scuole si cominciano a vedere le ragazzine che già intorno ai 14 o 15 anni sono succubi dei loro compagni di scuola, che le comandano a bacchetta. Se uno ti dice ‘non ti devi vestire così, non devi portare i capelli in quel modo’, non è forse questa una violenza psicologica?”
Se avesse riconosciuto sin dal principio quelle dinamiche malsane, probabilmente Anna avrebbe incominciato a difendersi. “Prima di allora non avevo nessuna idea di quanto una relazione potesse essere malata. Mentre adesso se ne parla di più, io non sapevo neanche cosa fosse la sindrome del narcisista”. La ragazza si dice profondamente cambiata a seguito della fine della storia con Paolo, che si allontanò gradualmente fino a scomparire del tutto, lasciandola impotente e psicologicamente stremata.
Soltanto diverse settimane dopo la separazione, grazie a un delicato lavoro di psicoterapia, riuscì a capire in che in che gioco di potere fosse rimasta invischiata per tutto quel tempo. “Prima di iniziare una relazione bisogna sempre essere sicuri di essere pronti ad amare veramente se stessi, di avere la consapevolezza della propria autostima, di non perdere di vista i propri obbiettivi, i propri interessi e le proprie amicizie” è la sua raccomandazione. “Non perdere mai di vista le persone che hai a fianco, è importante ascoltare attentamente quello che ti dicono, perché quando ci sei dentro non potrai mai capire a fondo dove sei finita”.
Un’informazione mediatica completa e accurata, la consapevolezza di sé e di certe dinamiche psicologiche e comportamentali, conoscere quali sono strumenti legislativi idonei: tutto ciò può quantomeno fungere da “vaccino” contro il dilagare di un fenomeno tanto silenzioso quanto devastante, quello della violenza psicologica.
*I nomi e i luoghi sono stati cambiati per proteggere la privacy dei protagonisti.
[Per le informazioni di natura giuridica ha collaborato l’ufficio legale dell’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia]
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Mi sono tragicamente rivista nel presente articolo e da protagonista di un amore malato posso confermare che il fulcro del problema sta in questo stato di quasi ipnosi o totale soggiogazione in cui si ritrova la vittima. L’aiuto più grande va dato a chi subisce impotente e disarmata le astute, subdole e talvolta anche inconsapevoli manipolazioni del partner narcisista patologico. Se non è la vittima a diventare consapevole, decidere e a volere fortemente la rottura di questo legame morboso, essa ne verrà risucchiata senza possibilità di svolta. Le vittime troppo spesso non vengono comprese dagli altri e sostenute adeguatamente e vengono guardate come pazze o deboli… Invece spesso si tratta di persone colte, brillanti e in gamba che cadono nelle trappole di questi esperti della violenza psicologica. Bisogna aiutare le vittime di abuso a venirne fuori. Lavorare su di loro. Sulle loro menti abusate e rese succubi e dipendenti di un amore malato.
ho trovato tutto molto utile dal momento in cui ho subito sia violenza psichica che fisica leggendo l’articolo ho sentito quelle parole vere profonde di conforto, solo adesso con l’aiuto di una psicologa e del taichi sto piano piano uscendo dal baratro, dall’incubo, mi sento diversa sto riprendendo contatti con il mondo, sto scavando molto dentro di me, spero di far tornare il sereno.
Grazie