Zohra, la musica delle donne afghane che credono nella libertà

Vedo un sorriso sui volti delle ragazze quando suonano, non penso a nient’altro.” Negin Khpolwak ha 20 anni, viene dalla provincia di Kunar in Afghanistan ed è una direttrice d’orchestra, la prima del suo Paese e una delle due a lavorare stabilmente con Zohra, la prima orchestra interamente femminile afghana. La sua è una storia di povertà e difficoltà, simile a decine di altre: nel suo villaggio non c’erano scuole e la famiglia non disponeva di risorse a sufficienza per consentirle di studiare, allora il padre l’ha mandata a Kabul, la capitale, a vivere in un orfanotrofio nella speranza che qualcosa potesse accadere.

Quella svolta inaspettata, per Negin e per le altre 30 musiciste dell’ensemble, ha un nome e un cognome: Ahmad Naser Sarmast, musicologo di origine afghana-australiana, fondatore dell’Afghan National Institute of Music e promotore della Zohra. L’idea di un’orchestra tutta al femminile in un Paese dove le donne devono lottare ancora tutti i giorni per l’affermazione dei propri diritti è nata proprio in aula, dal confronto con le sue studentesse. Doveva essere un piccolo gruppo di musica da camera, nel giro di pochi anni il progetto si è evoluto al punto da coinvolgere più di 30 musiciste.

negir direttirice d'orchestra afghanistan
Negir. Fonte: anim-music.org

Sarmast è un pioniere dell’educazione musicale nel Paese asiatico ed è convinto che il terrore e la guerra si combattano anche educando alla bellezza. Nella scuola che ha fondato non si insegna solo il solfeggio, ma anche il dialogo e l’importanza della convivenza pacifica. Metà dei posti sono riservati a bambini e ragazzini senza casa oppure orfani, a sottolineare la vocazione spiccatamente sociale dell’attività proposta, ben lungi da essere presentata come un passatempo elitario.

Anche musicalmente Sarmast propone una sua personale visione “meticcia”: si studiano infatti i classici della tradizione occidentale e le basi della musica tradizionale afghana. Due voci che animano anche il programma che l’orchestra delle donne afghane presenta in tournèe:La musica è libertà per cui uno dovrebbe avere la possibilità di imparare, suonare, esprimersi attraverso  qualsiasi repertorio. Utilizzare quello che senti più vicino alla tua sensibilità:  Beethoven, Bach, Rossini, Verdi o chiunque altro”, spiegava il musicologo in occasione della cerimonia di premiazione Cultural Heritage Rescue Prize 2016, attribuitogli proprio in virtù dell’attività di salvaguardia del patrimonio culturale e musicale della tradizione afghana.

Non che progetti di questo genere, rivoluzionari nella loro semplicità, godano di vita facile: nel 2014 Sarmast è rimasto gravemente ferito in un attacco orchestrato dai Talebani. Un kamikaze si è fatto esplodere in platea proprio durante un concerto dell’orchestra femminile che deve il suo nome alla divinità della musica della tradizione persiana, “Zohra” appunto. Sarmast ha recuperato solo parte dell’udito terribilmente danneggiato, ma le giovani e giovanissime musiciste non hanno perso la fiducia nel loro percorso.

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La Zohra orchestra. Fonte: freemuse.org

Hanno tutte tra i 13 e i 20 anni, molte di loro provengono da famiglie povere, molte altre sono state ripudiate perché hanno scelto una strada diversa da quella che la società patriarcale vorrebbe per loro.  Suonano il sitar, il rubab afghano, la tabla, ma anche violini, oboi, violoncelli. La musica è poi un pretesto, un canale più efficace di altri per lanciare un messaggio. Negir, intervistata da La Repubblica, spiega: “Tanti vorrebbero richiuderci nelle case, impedirci di fare musica. Io invece voglio dimostrare ogni giorno che le donne afghane possono fare tutto. Se mi ammazzano non mi importa, io non mi fermo. Lo devo alle altre donne”. 

Per bambine, ragazze, donne, madri, nonne, zie la vita in Afghanistan, infatti, non è semplice. Come denuncia l’attivista Aisha di HAWCA (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan), esiste ancora un’ampia realtà sommersa di violenze: le donne vivono senza alcun potere e senza alcuna libertà. Le modalità sono molte, spiega: “Violenza domestica, stupro, stupro di gruppo, matrimoni forzati, matrimoni precoci, vendita delle bambine e fra le violenze vi è anche l’auto-immolazione.” 

Un segnale di speranza viene proprio dalla società civile che, lentamente, sembra voler reagire al ripercuotersi della disparità. Una massa critica che in Afghanistan vive in clandestinità – come le attiviste RAWA chiamate semplicemente “Erre” – ma è riuscita a ritagliarsi importanti spazi di visibilità di fronte alle istituzioni internazionali. La Zohra Orchestra, per esempio, si è esibita per la prima volta fuori dall’Asia a Davos in occasione del World Economic Forum lo scorso gennaio.

Una delegazione di attiviste, inoltre, ha avuto audizione al Parlamento Europeo con delle richieste ben precise: un report periodico sui diritti delle donne, aderenza dei programmi e dei fondi UE al rispetto dei diritti umani, revisione in questo senso delle strategie e del programma di finanziamento (2014 – 2020) dell’Unione Europea per l’Afghanistan.

La strada che molte donne afghane vogliono percorrere è segnata. L’auspicio è che, anche grazie alla musica, possano raccogliere un sostegno sempre maggiore per raggiungere i propri obiettivi che sono, o dovrebbero essere, quelli stessi enunciati nelle carte costituzionali europee e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: pace, dignità, eguaglianza.

Angela Caporale

Giornalista freelance. Credere nei diritti umani, per me, significa dare voce a chi, per mille motivi, è silente. Sogno di scoprire e fotografare ogni angolo del Medio Oriente. Nel frattempo, scrivo per diverse testate, sono nata su The Bottom Up.

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